Sto ancora girando attorno ai problemi di metodo. Prima o poi vi dirò come si costruisce un questionario, come si gestisce un focus group e cose simili (aspetto sempre vostre richieste a claudio.bezzi@me.com), ma al momento mi diverto troppo a insistere su preliminari a cavallo tra epistemologia, semiotica, e stranezze assortite. Inseguendo certi pensieri mi è venuta voglia di descrivervi come nasce una ricerca sociale per me. Sapete che io mi occupo ormai solo di ricerca valutativa, che è una forma particolare di ricerca sociale, quindi non è che cambi molto. Ebbene, la descrizione della mia esperienza di ricerca, quando mi si propone una nuova attività, sto parlando con un nuovo committente, incomincio a confrontarmi col mio gruppo di lavoro, non ha a che fare con le tecniche, e questo lo avete già capito leggendo i post precedenti. Insomma: non è che mi chiedono di valutare un programma socio-economico e io giù a pensare qualcosa tipo “Questionario… campione rappresentativo… interviste ermeneutiche, sì, almeno dieci…”. Sono certo che nessuno di voi pensa in questo modo, ma vi assicuro che questa deriva tecnicista è molto diffusa. Il perché non possa produrre buoni risultati l’ho scritto qui.

Come nasce una ricerca sociale

Il mio modo di pensare, sotto un profilo metodologico, il problema che il committente mi pone, ha solitamente a che fare con quella che in valutazione chiamiamo “stipulazione del mandato”, che in parole povere significa capire cosa vuole lui/lei che mi chiede la valutazione: cosa intende farsene, come utilizzerà i dati, che problema crede di avere e quale, probabilmente, ha davvero, se lui/lei è veramente la persona che mi può conferire l’autorità (indispensabile) per valutare. E intanto cerco anche di capire in quale contesto si cala il programma da valutare, che sarà poi il contesto dove dovrò calarmi io per fare la ricerca valutativa. ‘Mandato’ e ‘contesto’ sono due elementi chiave in valutazione che per varie ragioni sostituiscono ciò che nella ricerca sociale chiamiamo ipotesi e teoria (è troppo lungo spiegarlo qui, se volete potete approfondire in questa nota). In ogni caso, senza sottilizzare troppo, chiunque faccia qualunque tipo di ricerca (sociale, valutativa…) deve focalizzarsi inizialmente su Mandato e Contesto. Chi vi chiede quella data ricerca; perché la vuole fare; con chi; su chi; per chi…

La rappresentazione della ricerca

Ecco, se iniziate a pensare così la vostra ricerca non vi verranno in mente questionari o focus group, ma persone e relazioni sociali. L’amministratore-decisore che desidera valorizzare il programma a cui ha legato, semmai, la sua fortuna politica; il dirigente pubblico che da un lato, certo, deve accontentare l’amministratore, ma che ha forse anche lui una qualche posta in gioco; poi coloro che lavorano a quel programma (uso il termine in senso astratto; può essere un servizio territoriale o qualunque altra cosa), e che sperano di lavorarci a lungo… E gli utenti, i beneficiari del programma? E altri ancora, naturalmente. Bene: com’è nato quel programma, servizio, organizzazione che dovete indagare? È stato un colpo di genio del politico? Una forte pressione esercitata a lungo da cittadini? La risposta a un obbligo di legge? Cambia tutto, ovviamente. Che relazioni fra i diversi attori sociali? Gerarchica o stellare? Partecipativa o conflittuale? Cosa si aspetta, ciascuno, dalla valutazione? E infine una questione fondamentale. Ciò su cui si fa ricerca (valutativa o no) non è mai la delibera, il programma, il piano deciso in un organo amministrativo. Almeno non dal punto di vista del ricercatore. Ciò su cui si fa ricerca è la rappresentazione che gli attori sociali hanno del programma; e questa rappresentazione sarà naturalmente diversa fra il decisore, il tecnico, l’operatore e il beneficiario. Nelle teste di ciascuno ci sono idee differenti sul perché quel tale programma fosse necessario, in virtù di quali meccanismi sociali dovrebbe funzionare (il concetto di ‘meccanismo’ è estremamente rilevante in questa discussione). Ecco allora che il ricercatore deve compenetrarsi con quella che, in realtà, è una matassa ingarbugliata, e che prossimamente vedremo come debba essere dipanata.

Parola d’ordine: pensare

Il ricercatore – con vari approcci, con alcune tecniche e con molto pensiero – entra in tale matassa ingarbugliata per iniziare a comprendere se c’è la possibilità, l’opportunità, la convenienza per un approccio standard o uno non standard; se è possibile coinvolgere alcuni attori sociali con tecniche partecipate oppure no. Queste riflessioni fanno sorgere, nella mente del ricercatore, una specie di struttura approssimativa del percorso da compiere; forse deve approcciare con maggior vigore il committente per fargli comprendere certi rischi di ricerca (ogni ricerca ha dei rischi); o forse deve fare una qualche esplorazione preliminare, semmai delle interviste, per dipanare nodi non chiari. Per esempio, in un lavoro che ho in corso devo valutare (fare ricerca su; non lasciatevi confondere da questi termini) un certo servizio territoriale per minori. Ho fatto decine e decine di ricerche su servizi più o meno analoghi e pensavo fosse tutto abbastanza facile. In questa fase esplorativa, invece, mentre stipulavo il mandato e cercavo di mettere a fuoco il contesto, mi sono pian piano accorto che c’era qualcosa di non chiaro. Non chiaro per me, intendo. La descrizione di questo servizio era notevolmente differente fra decisori, management, operatori del servizio e terze parti. Com’è possibile? Approfondendo ho potuto appurare che c’era addirittura un problema rilevante di definizione condivisa sugli obiettivi del servizio; su cosa si potesse intendere, in maniera univoca, come “efficacia” di quel servizio (noi valutatori siamo un po’ fissati con l’efficacia). Insomma: ho dovuto riflettere a lungo, confrontarmi a lungo, pescare pensieri laterali e cercare soluzioni fra discipline anche diverse dalla nostra. Non vi svelo il risultato, semmai ne riparleremo. Il fatto è che le tecniche sono apparse molto dopo. Dopo avere stipulato il mandato, compreso il contesto, capito che c’era distanza fra l’idea del servizio che ne avevano gli attori etc. Se vi lasciate trasportare dal pensiero che necessariamente vi porterà a unire questi nodi, arriverete alle soluzioni operative adeguate. Non c’è niente di mistico. Si tratta di elaborare concetti, discernere gli appropriati indicatori, trasformarli in definizioni operative. Tutto questo può essere un processo abbastanza formalizzato, razionale, deduttivo. Ma il ricercatore abbastanza esperto può anche perdersi nel bosco, solo un po’, e ritrovarsi nella radura che gli mostrerà come procedere tecnicamente. Sempre, assolutamente sempre: prima pensare.

Precedenti contributi de “Il metodo siamo noi

  1. Il metodo siamo noi
  2. Tecniche e formato informativo dei dati
  3. I numeri sono un linguaggio
  4. Parlare bene per pensare bene

Claudio Bezzi

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