«Al trasporto dei migranti sono assegnate le carrette del mare, con in media 23 anni di navigazione. Si tratta di piroscafi in disarmo, chiamati ‘vascelli della morte’, che non potevano contenere più di 700 persone, ma ne caricavano più di 1.000, che partivano senza la certezza di arrivare a destinazione».

                                             Museo nazionale dell’emigrazione italiana

Nel corso della storia l’homo sapiens è stato sempre abituato a spostarsi, sin da quando gli esseri umani si riunivano in tribù quando le risorse naturali si esaurivano. Con il passare del tempo alcune tribù si sono riunite e si  sono stabilizzate in alcuni territori e con il tempo e l’acquisizione graduale di sempre più innovazioni tecniche per meglio sfruttare le risorse, soprattutto la coltivazione stagionale della terra, hanno cominciato ad accumulare surplus economico e di conseguenza si è sviluppata la proprietà privata. Ma anche nelle civiltà agrarie, che erano relativamente stabili, le persone e soprattutto i contadini si spostavano tra le varie regioni che avevano le diverse colture stagionali per acquisire risorse aggiuntive al reddito familiare. Con la rivoluzione industriale i contadini che rimanevano senza lavoro erano costretti a spostarsi verso le città e i distretti industriali, effettuando percorsi e traversate di svariate centinaia di chilometri. Questi processi migratori hanno coinvolto tutte le popolazioni fino alla formazione degli stati-nazione, mentre relativamente recenti sono state le emigrazioni di massa degli italiani, che in 14 milioni lasciarono la patria per cercare la terra promessa altrove.

Per i primi 10 anni il viaggio era più semplice, perché la destinazione preferita era l’Europa; ma a partire dal 1886 gli italiani iniziarono ad imbarcarsi per raggiungere l’America. Oltre 7 milioni di nostri compatrioti attraversarono l’Atlantico diretti inizialmente in Argentina e poi anche in Brasile e Stati Uniti. La traversata atlantica avveniva in condizioni addirittura peggiori di quelle che oggi si riscontrano quotidianamente sulle barche che portano i migranti  dalla Libia verso Lampedusa. Le pessime condizioni delle imbarcazioni utilizzate per trasportare la ‘tonnellata umana’, come veniva chiamato il carico di emigranti, anche un secolo fa provocavano spesso sciagure come quella avvenuta al largo della Libia: 576 italiani morti il 17 marzo 1891 nel naufragio dell'”Utopia” davanti al porto di Gibilterra.

Negli ultimi vent’anni l’Italia è diventata anche un paese di immigrazione di massa; il numero di migranti ha raggiunto un livello impressionate e date le pessime condizione delle imbarcazioni, oggi come allora, il numero delle vittime è agghiacciante. Secondo Fortress Europe, l’osservatorio sulle vittime dell’immigrazione, tra il 1988 e il 2008 almeno 12mila persone hanno perso la vita in mare per raggiungere l’Europa. Alla luce di questi fatti, in Italia c’è chi propone di “aiutare i clandestini a casa loro” o addirittura abbattere le imbarcazioni dirette verso le coste italiane. Queste affermazioni forse vengono da persone che evidentemente hanno dimenticato che appena un secolo fa gli italiani erano nelle stesse condizioni; ma la cosa peggiore e che queste vite vengono usate per fare campagna elettorale facendo leva sull’odio creato dalla cattiva gestione delle Istituzioni stesse.

Rino Carfora

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