Dopo gli ultimi sviluppi della situazione politica in Italia sentiamo (di nuovo) molto parlare di legge elettorale. Questo infatti è tra i temi più discussi in Italia degli ultimi anni e probabilmente sarà uno dei compiti di cui si dovrà occupare il nuovo governo.
Alla ricerca di consenso
La legge elettorale è, di per se, una questione molto delicata e importante poiché il voto è la caratteristica principale della democrazia: se non si vota, di sicuro non ci si trova in una democrazia e come sappiamo la legge elettorale regola la trasformazione di voti in seggi utili per formare il parlamento e quindi anche il governo. Essa però influenza anche il modo in cui i partiti conducono la campagna elettorale e il criterio con il quale scelgono i candidati. Esistono due grandi tipi di sistemi elettorali, quelli maggioritari e quelli proporzionali, i quali possono essere aggiustati e ritoccati a seconda del contesto e degli obiettivi. La finalità principale è (o dovrebbe essere) quella di migliorare le performance e la qualità della politiche pubbliche anche se troppo spesso purtroppo è quella da parte del partito di governo, o altri, di aumentare il proprio consenso in parlamento. Tuttavia non si può implementare un sistema elettorale senza considerare il tipo di composizione politica e sociale del paese, della varie fratture della società. Ciò infatti può portare a forti distorsioni, abbassamento della qualità delle politiche pubbliche, malfunzionamenti o forti proteste da parte dell’elettorato.
Il plurality
Nel sistema elettorale maggioritario a turno unico, detto plurality, vince il candidato che nel collegio ottiene più voti rispetto agli altri. Solitamente senza il raggiungimento di nessun tipo di soglia. Questo sistema è tipico dei contesti anglofoni e vince le elezioni chi ottiene la maggioranza relativa tra i candidati (“winner takes all”). Il plurality ha la caratteristica quindi di favorire una maggiore governabilità poiché il leader del partito vincitore, tendenzialmente, viene nominato primo ministro ed ha una maggioranza solida in parlamento che permette un maggiore facilita ad emanare policy, in cambio però di una minore rappresentatività data la penalizzazione che subiscono i partiti medi e minori. Questa legge elettorale, secondo politologi come Duverget, tende con il passare del tempo a semplificare il sistema parlamentare portando ad una situazione di bipartitismo. Secondo la preposizione di Rae-Riker, invece, ciò è vero ma a patto che non ci siano forti minoranze locali. Altri autori ancora come Lipset e Rokkan affermano che a influenzare il tipo di sistema partitico sono più decisive le fratture sociali interne a quella società rispetto alla legge elettorale. In Italia, infatti, nel ’93 pur adottando un sistema sostanzialmente maggioritario con il Mattarellum (proposto dall’attuale capo di stato) i partiti in parlamento non diminuirono ma bensì aumentarono.
Il majority
Il sistema elettorale a doppio turno, detto anche majority, è invece tipico del caso francese e rappresenta una singolarità. Nel majority, il primo turno ovviamente è aperto a tutte le liste che si vogliano candidare e sarà eletto direttamente al primo turno chi ottiene il 50% dei voti +1 (a patto che i voti ottenuti corrispondano ad almeno il 25% degli elettori iscritti nelle liste del collegio). Quindi l’elezione dipende anche dell’affluenza alle urne. In mancanza dello scenario descritto, vanno al secondo turno coloro che abbiano ottenuto un numero corrispondente ad almeno il 12,5% degli iscritti nelle liste elettorali del collegio. (Esempio: con l’80% dei voti validi, ciascun partito deve ottenere almeno il 15,6% di questi). Questo caso presenta diverse implicazioni: nel primo turno l’elettore esprimerà un voto definito “sincero” secondo le proprie preferenze, nel secondo turno invece diversi partiti che non hanno superato il primo turno possono coalizzarsi con uno al ballottaggio, il quale porterà le loro istanze nel programma di governo (in caso di vittoria) in cambio di un sostegno dei suoi elettori.
Il caso australiano
L’Australia invece, rispetto alle legge elettorale, rappresenta un caso molto particolare. Oltre a rappresentare, in parte, una fusione tra i due diversi sistemi, si distingue per il fatto che gli elettori devono indicare anche l’ordine di preferenza dei partiti. Ogni qual volta che un partito viene “eliminato” dalla corsa all’esecutivo, i suoi voti vengono ripartiti tra i restanti sulla base dell’ordine di preferenza fino ad eleggere di fatto alla fine il partito “mediamente” preferito dai cittadini. Pertanto il partito che inizialmente ha la maggioranza della prima preferenza può non coincidere con il partito che alla fine “vince” le elezioni.
Il proporzionale
Il sistema proporzionale consiste nella corrispondenza percentuale tra voti e seggi, assicurando la rappresentativita elettorale, garantendo i diritti alle minoranze ma a scapito della governabilità. Questi sistemi sono tipici di Paesi in cui sono presenti diverse componenti sociali e politiche. Per aumentare la componente di governabilità si possono inserire premi di maggioranza, soglie di sbarramento e soglie di accesso.
Le formule
Un’ulteriore importante dimensione della legge elettorale sono i divisori e i quozienti. Sono queste formule a decidere realmente la ripartizione dei seggi all’interno di ciascuna circoscrizione in base ai voti ottenuti. In un caso, i voti ottenuti da una certa lista vengono divisi successivamente per 1, 2, 3, 4 (tramite la formula di Hondt) o per 1.4, 3, 5, 7 (formula di Sainte-Laguë modificata). I seggi sono attribuiti in base ad una graduatoria derivante dai risultati delle varie divisioni. La formula di Hondt dà più potere ai grandi, mentre Sainte-Laguë favorisce le coalizioni medie. In alternativa, si calcola a monte un quoziente, che deriva dal rapporto tra numero di voti validi e seggi messi in palio nella circoscrizione (metodo di Hare). I voti di ciascun partito sono poi divisi per il quoziente. Quest’ultimo caso favorisce i “piccoli”.
Valerio Adolini