La sociologia dovrebbe puntare a essere una scienza esatta, tanto utile quanto efficace come la fisica o la chimica. Così Zygmunt Bauman esordisce e sorprende nel suo testo pensare sociologicamente quando parla dei percorsi e delle strategie che la disciplina deve intraprendere per raggiungere questo scopo. Detto in altri termini: di cosa si deve occupare la sociologia per definirsi una scienza?

Secondo l’autore, per studiare la vita e l’attività umana bisogna strutturare un discorso sociologico lungimirante. Esso deve andare oltre la prima fase della spiegazione dei fenomeni per acquisire abilità predittive e rendersi aperto a contaminazioni. Lo sforzo per rendere “scientifica” la sociologia ha visto, nei primi anni del novecento, proprio la costruzione di questo discorso. Alcuni dei cosiddetti padri fondatori della disciplina raccolsero il guanto di sfida e provarono a strutturare delle strategie che, nel corso degli anni, sono state adottate e percorse, finendo per sfociare nel modello definitivo assunto dalla sociologia.

La prima delle strategie proposta da Emile Durkheim

Durkheim dava per scontato che dovesse esistere un modello di scienza caratterizzato innanzitutto dalla sua oggettività, ovvero, dal suo considerare l’oggetto di studio come strettamente separato dal soggetto che lo studia. Detto in altri termini, il soggetto doveva essere “esteriore” rispetto all’oggetto, che doveva essere osservabile e descrivibile in un linguaggio strettamente neutrale e distaccato. Il mondo, in quest’ottica, viene così diviso in zone, ognuna delle quali sottoposta alla ricerca di una disciplina scientifica appropriata. Se questo è ciò che di base la scienza fa, allora la sociologia per poter trovare un posto tra le scienze doveva trovare una porzione del mondo di cui le restanti discipline non si erano ancora appropriate. Come compiere tale passo?

Durkheim sosteneva che i fatti sociali specifici potevano essere trattati come cose e studiati in modo oggettivo e distaccato, poiché indipendenti dalla nostra volontà. Un esempio? se ignoro una norma sociale subirò una punizione (sarò messo in carcere, o peggio). Seguendo il ragionamento possiamo dunque dire che i fenomeni sociali non risiedono all’interno degli individui, ma al loro esterno. Secondo Durkheim infatti, i fatti sociali differiscono dai fatti naturali. Ciò su cui è importante concentrarsi è il fatto umano, ossia il risultato della correlazione tra la violazione di una norma sociale e le conseguenze per colui che l’ha provocata. In altri termini, una certa condotta viene punita perché la società la condanna.
Un esempio? se i ladri subiscono delle conseguenze negative è perché i sentimenti sociali esistenti condannano il furto.

I fatti sociali in quanto “cose” quindi, possono fornire una spiegazione genuina della condotta umana. Il sociologo quindi può ignorare la psiche individuale per concentrarsi invece sullo studio dei fenomeni che possono essere osservati dall’esterno e che potrebbero essere visti allo stesso modo da qualunque osservatore.

La seconda delle strategie proposta da Max Weber

Una strategia diversa è quella proposta da Max Weber. L’idea che esiste un solo modo di essere scientifici e che dunque la sociologia dovrebbe automaticamente imitare le pratiche delle scienze dure viene ad essere rifiutata. Weber propone invece che la pratica sociologica, pur senza la precisione richiesta dalla conoscenza scientifica, dovrebbe essere diversa da quella delle scienze naturali. La realtà umana è diversa dai consueti fenomeni in oggetto alle scienze naturali. Gli attori umani infatti, motivano le loro scelte, attribuiscono un senso alle loro azioni, ed è per questo che le azioni umane vanno comprese piuttosto che spiegate. Non è tutto frutto di un rapporto di causa-effetto, ma qualcosa di più complesso. Bisogna capire chi fa cosa, che tempo abita, perché, se ci sono variabili che possono essere ricondotte a motivazioni razionali o non razionali.

Questa idea era già da tempo alle basi dell’ermeneutica: per comprendere i significati di un testo i suoi interpreti dovevano mettersi al posto dell’autore. Tuttavia un processo del genere ha un punto debole: l’intero percorso di interpretazione viene a dipendere più dall’arte che non dalla scienza e i suoi criteri. Se infatti studiosi diversi propongono interpretazioni differenti, la scelta dell’una o dell’altra interpretazione dipenderà dal bagaglio di conoscenze di chi cerca e studia il fenomeno. Come risolvere questo inghippo?

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L’azione razionale

Per Weber questa è la chiave di volta. Le azioni umane possono essere studiate scientificamente in quanto razionali, poiché la ragione con cui tendiamo a calcolare i nostri fini, rapportati ai mezzi che scegliamo per raggiungerli, è un tratto comune di tutti gli esseri umani. Io non devo essere empatico o indovinare cosa passa nella testa dell’altro. Devo provare a spiegare e comprendere scientificamente le azioni in maniera significativa per me e per ogni altro osservatore. In atri termini, devo inserire nell’azione un qualche motivo che le conferisca senso.
Un esempio? se vedo un mio compagno di studi – diciamo un coinquilino – che a tarda notte legge un libro di Bauman posso attribuire un senso oggettivo a ciò che vedo perché so che l’azione di leggere è un ottimo e comprovato mezzo per acquisire conoscenza su questo autore.

La terza delle strategie proposta dai pioneri della sociologia americana

La terza strategia proposta dai pionieri della sociologia americana ha avuto come bussola l’idea che la sociologia possiede delle applicazioni pratiche. Essi dimostrarono che la ricerca sociologica può essere impiegata per manipolare la realtà, per modificarla a seconda dei nostri bisogni e desideri. Qui nasce la cosiddetta raccolta dei metodi della diagnosi sociale e la teoria generale del comportamento umano. Tutte le ricerche dovevano essere concentrate sul mostrare nel dettaglio lo stato esatto della situazione in specifiche aree della vita sociale e studiare i fattori che determinano certi comportamenti.

In sostanza, ciò che i sociologi americani auspicavano per la sociologia era la concentrazione verso studi su problemi sociali riconosciuti come la criminalità, l’alcolismo, la frattura dei legami familiari, etc. Questo per far sì che la sociologia diventasse una disciplina al servizio del mantenimento e/o della costruzione dell’ordine sociale. Questa impostazione, definita da alcuni manageriale, venne applicata anche ai nuovi settori dell’industria emergente, sia per la promozione di nuovi prodotti, sia per la prevenzione delle rivolte nelle fabbriche. Quest’idea, che negli anni ha reso gradita la sociologia alle amministrazioni statali, militari e industriali, ha incontrato aspre critiche da parte di coloro che vedevano questo controllo dall’alto come una legittimazione del potere dei potenti a scapito delle libertà individuali e di auto-determinazione dei popoli.

Verso nuove strategie

La sociologia solleva molte controversie. Per certi versi il suo uso la rende ambigua. Per questo bisogna studiarla per bene, ma bisogna avere anche coscienza di come usarla. Tuttavia è bene chiarire che ogni conoscenza, essendo una visione ordinata, contiene un’interpretazione del mondo. Ogni interpretazione non è il riflesso esatto delle cose, ma sono queste cose che divengono quelle che sono grazie alla conoscenza che noi ne abbiamo. Il pensiero sociologico facilita il flusso e lo scambio di esperienze, difatti contribuisce a condividere le diverse versioni e visioni della realtà. Il grande compito di questa disciplina è dunque quello di rendere un servizio alla vita e alla convivenza. Per essere efficienti le nuove strategie che nasceranno da ora in poi non possono fare a meno di promuovere una comprensione che generi tolleranza e una tolleranza che renda possibile la comprensione.

Bibliografia

Bauman Z., Pensare sociologicamente, ipermedium, Napoli, 2000;

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