La sua passione sfrenata per l’antropologia e le scienze sociali la conducevano ovunque ci fosse modo di discuterne. Ad Amalia Signorelli, infatti, si deve il merito di aver mostrato in televisione i fatti attuali visti da un’altra prospettiva, quella dell’antropologia. Come la politica ad esempio che grazie a lei era diventata un po’ più comprensibile e accessibile anche a persone meno esperte. Le sue considerazioni, sempre puntuali, erano supportate da conoscenze ben precise e nulla di ciò che diceva era banale o scontato. Esponeva in modo umile e onesto quello pensava, senza però, allo stesso tempo, avere nessuna remora nel farlo fino in fondo.

Una donna mai banale

Amalia Signorelli, ospite fisso di Ballarò
Amalia Signorelli, ospite fisso di Ballarò

Era una donna eclettica, creava dibattito ponendo al centro della discussione riflessioni varie e inedite. Era un piacere ascoltarla: se non semplice, Amalia, infatti, cercava di utilizzare un linguaggio chiaro e tangibile. Qualità, questa, acquisita probabilmente nel corso dei suoi numerosi anni di insegnamento. Nostalgica, per certi versi, della classe politica della prima Repubblica, rimproverava, spesso duramente, quella degli ultimi anni; per questo molti politici la criticavano; soli i più astuti capivano che le sue lucide argomentazioni erano preziose e utili per il loro lavoro. Il 25 ottobre scorso è scomparsa, Amalia, e insieme a lei una figura fondamentale nel panorama delle scienze sociali. Nonostante fosse gravemente malata di cuore, da diversi anni compariva in televisione ospite di alcuni programmi di attualità. La sua passione le dava forza ed energia per continuare a raccontare la sua verità frutto di anni di studio e duro lavoro.

La collaborazione con Ernesto de Martino

Amalia Signorelli (in bianco) nell'equipe di Ernesto de Martino (seduto)
Amalia Signorelli (in bianco) nell’equipe di Ernesto de Martino (seduto)

Nacque a Roma il 6 agosto del 1934, fu allieva di Ernesto de Martino, etnologo, antropologo e storico delle religioni; proprio lui diresse nel 1957 la sua laurea presso l’Università di Roma. Da questo primo incontro nacque una collaborazione professionale, infatti, Amalia lavorò ad alcuni programmi di ricerca sotto la sua guida. Dal 1959 al 1970 insegnò presso la scuola CEPAS di Roma, dove insegnò sociologia e antropologia urbana e dal 1971 al 1977 fu professoressa di antropologia culturale presso l’Università di Urbino. Successivamente fu capo del centro di ricerca audiovisiva sulle culture popolari dell’Università di Napoli. Nel corso della sua carriera scrisse numeri testi, molti dei quali vengono, oggi, studiati nelle università. Tra le tante tematiche da lei trattate, si occupò anche di immigrazione e di tutte le problematiche ad essa concernenti. Proprio su questo scrisse vari libri, come “Migrazioni e incontri etnografici”, prendendo spunto dalle riflessioni di Ernesto de Martino. Riguardo allo studio delle culture, Amalia fu molto influenzata dal suo insegnante; in particolare dal concetto di etnocentrismo critico. Durante un’intervista che fece per la rivista “Left”, affermò: “De Martino non suggerisce mai che si debba rinunciare alla propria cultura per comprendere empaticamente quella altrui. L’etnocentrismo critico è una postura intellettuale prima ancora che morale: un confronto sistematico in cui si capovolgono continuamente i termini: non sei tu che sei diverso da me, sono io che sono diverso da te; non sei tu che mandi un cattivo odore, sono io che per te mando cattivo odore e dunque anche tu lo mandi per me ma non per tutti gli esseri umani. Non è facile, ci vuole una specie di allenamento intellettuale, anche quotidiano”.

Arrivederci, Amalia

Una giovane Amalia
Una giovane Amalia

Ci mancherà Amalia, ci mancherà il suo sguardo vigile e attento sui temi attuali ma anche le sue parole, mai scelte a caso, che ti portavano alla riflessione e il suo fare allegro e vivace che trasmetteva serenità anche quando si affrontavano tematiche dure. Ci mancherà, oggi più che mai, una figura come la sua; oggi, in cui il dibattito sull’immigrazione e sulle culture diverse si sta facendo sempre più aspro e in cui si stanno diffondendo sempre più fenomeni di segregazione di chi è considerato “diverso” dal resto della società. Con l’auspicio di trovare, presto, qualcuno che possa donarci tanto sapere quanto lei, salutiamo la brillante antropologa con queste sue parole. “I diversi inclusi in un gruppo sociale servono a vari usi: per esempio servono come oggetto da inferiorizzare per consentire ai “normali” di sentirsi superiori”.

Giulia Borsetto

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