L’idea iniziale su cui si basava la teoria dell’agenda setting secondo McComs e Shaw (1972) era che i media potessero dirci solo intorno a cosa pensare ma non cosa pensare. McCombs e Shaw successivamente (nel 1993) evidenziarono con altre ricerche che i mass media ci dicono non solo intorno a cosa pensare ma anche come pensare e, conseguentemente, cosa pensare. Dunque, i mass media modellano la mente delle persone soprattutto se esse ne fanno un uso frequente ed hanno un limitato accesso all’ambiente reale. Per le persone, che vivono in condizioni di parziale isolamento sociale, economico e culturale, i temi trattati dai media possono essere molto più importanti di quanto lo siano realmente.
I due livelli dell’agenda setting

McComs e Shaw hanno modificato il proprio giudizio ammettendo che l’agenda setting condiziona tutto il pensiero di chi si espone ai media. La teoria dell’agenda setting si articola così in due livelli. Il primo livello riguarda la salienza che i mass media danno alle notizie, cioè il tentativo di trasferire l’importanza di un tema da un’agenda privata (quella politica o quella dei media) all’agenda dell’opinione pubblica. Il secondo livello riguarda invece l’impatto che tale salienza ha sui riceventi (audience) in relazione alle loro predisposizioni, attitudini e capacità di processare i messaggi.
Il sociologo Rolando Marini inoltre ha messo in evidenza l’influenza che i media più autorevoli hanno sugli altri media nel determinare l’agenda.

“Il fatto di concentrarsi su alcuni temi in un determinato momento e anche di spostare successivamente l’attenzione su altri temi rappresenta quindi il risultato di quello che viene chiamto “intermedia agenda setting”, cioè l’accordo che si produce nell’interazione tra i media, anche se diversi. […] L’agenda setting ci parla della fallacia dell’attività giornalistica, ad esempio dell’inadeguatezza con cui il sistema dell’informazione di massa riporta al pubblico eventi di grande rilievo per la democrazia come le campagne elettorali, della superficialità con cui (specialmente la televisione) tratta certi temi come la criminalità o il terrorismo e, non da ultima, dell’indifferenza con cui trascura aspetti molto preoccupanti, o anche tragici della realtà sociale, rendendoli invisibili. Ci parla di una parzialità nella rappresentazione della realtà che si trasferisce nella mente delle persone e che quindi forgia, con le sue carenze, la cultura del pubblico nella società contemporanea”.
Questa riflessione dovrebbe farci aprire gli occhi sul reale potere dei mezzi di informazione, che attraverso varie tecniche, creano una gerarchia tra le informazioni distribuite e in questo modo influenzano massivamente il nostro modo di pensare.
Rino Carfora