Non parleremo né di arte, design o musica, faremo riferimento al minimalismo come movimento, come controcultura che si concentra sull’uomo contemporaneo e i suoi comportamenti d’acquisto. Alla base di questo movimento c’è la convinzione che possediamo troppi oggetti, che non sappiamo distinguere l’utile dal futile e che non diamo sufficiente valore al tempo e alle relazioni. Il pragmatismo e l’intenzionalità di questa corrente di pensiero, che si oppone al paradigma dominante del consumismo avanzato, ha favorito una sua diffusione prorompente proprio nella patria dell’abbondanza, dell’intrattenimento, dell’accessorio: gli Stati Uniti d’America.

Le basi del minimalismo

I fondamenti culturali e filosofici del minimalismo sono radicati in Giappone. In particolare, in quella costante e progressiva eliminazione del superfluo tipica delle scuole filosofiche e religiose Zen. La ricerca dell’essenziale nello Zen, passa dalla rimozione di tutti gli ostacoli mentali e fisici che caratterizzano la nostra quotidianità. Autori come Fumio Sasaki e Marie Kondo con le loro pubblicazioni hanno definito il minimalismo, non solo come pratica ma anche come stile di vita, riducendo la complessità e densità intellettuale delle astrazioni proprie dello Zen. Così, passando tra mode, bloggers e social, le idee del minimalismo hanno invaso gli Stati Uniti e gran parte dei paesi anglosassoni, ricevendo un’attenzione e una partecipazione fuori dal comune. Con le loro diverse visioni minimaliste, più o meno radicali, sulla società contemporanea, bloggers e autori come Joshua Becker, Leo Babauta e Colin Wright, stanno cavalcando una ondata di consapevolezza riguardo agli effetti collaterali del consumismo americano sul vivere quotidiano. Nello stesso movimento minimalista è impossibile non citare Joshua Fields Millburn e Ryan Nicodemus, probabilmente i veri portatori di una visione minimalista più strutturata e capace di abbracciare ogni sfera del nostro vivere. Con il loro apporto il minimalismo ha acquisito lo stato di un vero approccio alternativo alla vita, di una vera e propria controcultura.

I fondamenti culturali e filosofici del minimalismo sono radicati in Giappone, nelle scuole Zen

Minimalismo Vs consumismo

La sfida del minimalismo sta nel combattere punto su punto, idea su idea, comportamento su comportamento, il consumismo in tutte le sue manifestazioni. L’Homo Consumens descritto da Zygmunt Bauman come incapace di uscire dalla spirale delle mode, dallo “sciame” dei followers, dai circuiti di gratificazione e dalle proprie inclinazioni individuali, rappresenta tutto ciò a cui il minimalismo si oppone. I minimalisti vogliono riportare l’utilità al centro del vivere, rimuovere il futile attraverso domande, azioni e strategie, ricercare volontariamente la semplicità. Non negano la razionalità sociale del consumo, legata allo status, all’apparire, che in Occidente ha ormai preso il sopravvento sulla razionalità economica e il suo principio di utilità. Tanto meno credono che ogni forma di consumo sia negativa. Credono nella capacità dell’uomo di essere intenzionale, di dubitare, di rimuovere quella narrativa del marketing che rende necessario e urgente acquistare. Così, spostando l’attenzione dall’impulso all’acquisto, dalla materialità, si ritrova noi stessi, il valore del tempo, l’importanza dell’altro, della comunità. Una delle frasi, slogan, twitter, che riassume al meglio la loro visione è “love people and use things, because the opposite never works” (ama le persone e usa le cose, perché l’opposto non potrà mai funzionare). Inoltre, lo spazio che fisicamente e psicologicamente gli oggetti occupano nel nostro quotidiano limita il nostro spazio mentale, la nostra capacità di riflettere e in particolare ci rende dipendenti e passivi. La maggior parte degli strumenti tecnologici contemporanei rappresentano, per i minimalisti, dei “pacifiers”, dei “passificatori”, oggetti la cui fruizione finisce spesso per ridurre l’intenzionalità e il valore dei nostri vissuti.

La sfida del minimalismo sta nel combattere il consumismo in tutte le sue manifestazioni

Il minimalismo come controcultura

Seguendo la visione dello storico Theodore Roszak, ovvero colui che coniò il termine “controcultura“, il minimalismo può rientrare a pieno in questa categoria sociologica. La sua attenzione all’individuo e al suo mondo interiore, la costante opposizione all’autorità del consumo nelle nostre vite, ma soprattutto la spinta intenzionale al cambiamento composta da esempi, azioni e tattiche, fanno sì che il minimalismo possa essere considerato una autentica controcultura. La creazione di questo paradigma alternativo che pone al centro l’umanità e non i suoi prodotti, ha una forte similarità con quei movimenti ecologici e di decrescita, a loro volta etichettati, molto spesso, come controculture. Non è un caso che il minimalismo si sia sviluppato, con i suoi eccessi e le sue virtù, proprio in America dove il consumismo è talmente avanzato da influenzare non solo i comportamenti quotidiani, ma anche l’etica di un’intera nazione. Per molti americani il minimalismo sta rappresentando un risveglio intellettuale, una scossa morale, una vera e propria wake-up call.

Francesco Plaino

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