Il termine significa “testa rasata”, con la quale si identificavano gli appartenenti al movimento, mentre il loro abbigliamento era composto da anfibi, blue jeans, bomber e camicia. Gli Skinhead fecero la loro comparsa alla fine degli anni Sessanta nei quartieri più degradati delle città inglesi (gli Hard Mod), ed erano i giovani della classe lavoratrice britannica (working class). Questa subcultura è nata su una base sociale, e si opponeva all’imborghesimento della classe lavoratrice inglese e all’oppressione della classe dirigente. Sebbene oggi nella cultura di massa vengono etichettati come dei neonazisti, gli Skinhead degli albori non basavano la loro identità su ideologie politiche, ma su elementi legati al lavoro in fabbrica, alla musica reggae, e la passione per il calcio. Frequentavano anche i Rude Boy, che erano giovani immigrati giamaicani, con i quali condividevano gli stessi locali e la passione per la musica afroamericana.

La svolta a destra

Nella metà degli anni Settanta, con la diffusione in Inghilterra della religione rastafariana, molti Rude Boy si convertirono e incominciarono a professare il mantenimento dell’identità nera, considerando la loro cultura, tra cui soprattutto quella musicale, un terreno consacrato da difendere contro ogni eventuale contaminazione da parte dei gruppi bianchi (Hedbige, 1979). Il sociologo Hedbige (1979), nel suo libro “Sottocultura. Il fascino di uno stile innaturale“, suppone che questa presa di posizione fece insorgere moti razzisti all’interno del movimento Skinhead, che di colpo si sentì rifiutato. Alla fine degli anni Settanta, il movimento Skinhead britannico ebbe forti legami con il National Front, partito politico di estrema destra inglese, che finì per assoldarli come militanti. Gli Skinhead iniziarono così a simpatizzare per ideologie naziste e razziste, e spostarono i loro gusti musicali sulla musica punk. In particolare ascoltavano l’”Oi!”, sottogenere del punk nato alla fine degli anni Settanta in Inghilterra (Cotter, 1999). Molti di loro però non accettarono questo cambiamento e, rimanendo fedeli alle origini del movimento, fecero nascere i Trojan Skinhead, un gruppo di skinhead fedeli alla linea apolitica e antirazzista.

Gli Skinhead in Italia

Il fenomeno arrivò in Italia nei primi anni Ottanta, e si sviluppò nelle principali città del nord, in Toscana e a Roma. Nonostante in Inghilterra, già da qualche anno, gran parte dei membri del movimento Skinhead avevano iniziato a militare nei partiti di estrema destra, nel nostro paese questa subcultura nacque apolitica e antirazzista. Il look ricostruiva esattamente quello della subcultura inglese originale, nonostante in Italia i capi di abbigliamento specifici e di riferimento erano difficili da trovare in commercio. Molti Skinhead nostrani, infatti, furono costretti a fare viaggi in Inghilterra per poter emulare correttamente lo stile. La loro musica di riferimento era il Punk, e in particolare “l’Oi!”, che ebbe anche un discreto successo nei centri sociali italiani. Gli Skinhead nostrani, come quelli d’oltre Manica, frequentavano gli stadi di calcio e avevano forti legami con le tifoserie e i gruppi ultras. Anche in Italia ad un certo punto si delineò nel corso del decennio una spaccatura all’interno del movimento, dovuta all’ingresso di ideologie nazionaliste e razziste che provenivano dall’Inghilterra (Caiani, 2011). Tranne nelle zone di Milano e del Veneto, la maggior parte degli Skinhead italiani restò fedele alla linea originale del movimento, rifiutando di diventare dei militanti neonazisti. Nel 1986 nacque l’associazione culturale “Veneto Fronte Skinheads”, un’organizzazione politica di estrema destra, che collaborò anche con due partiti italiani: il Movimento Sociale Fiamma Tricolore e la Lega Nord (Berizzi, 2015).

Simone Nigrisoli

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