L’espressione “film etnografico” è ambigua in quanto mette insieme le peculiarità del cinema con le caratteristiche di una disciplina scientifica.
Film d’ambiente e film di ricerca
Come già osservò l’antropologo francese André Leroi-Gourhan, anche i film realizzati da ricchi viaggiatori curiosi di utilizzare il nuovo strumento cinematografico e di conoscere i luoghi e le popolazioni più esotiche del pianeta erano video che mostravano diversità. Ma i film di viaggio, pur se documentano l’esistenza di un mondo “altro”, non avevano alcuna motivazione né finalità scientifica. Volendo seguire l’impostazione dello studioso, si può dunque distinguere tra film d’ambiente e film di ricerca. Il film d’ambiente (o etnografia spontanea) è quel tipo di narrazione che, pur non essendo realizzato con un’intenzionalità scientifica, assume un valore etnografico indiretto in quanto realizzato dalla popolazione autoctona. Il film di ricerca, invece, è il prodotto dello studio e delle ricerche eseguite da un gruppo di studiosi. All’interno di questa categoria, Leroi-Gourhan sottolinea la necessità di distinguere tra il documentario, che segue norme estetiche e tecniche proprie del cinema, e gli appunti cinematografici, che non sono condizionati da una sceneggiatura o da esigenze di tipo estetico-formali.
Verso i pubblici
L’etnologo Marcel Griaule, nell’opera Méthode de l’l’ethnographie (1957), elabora una teoria in riferimento alla destinazione dei prodotti filmici, distinguendo tra i documentari prodotti per un pubblico vasto e non specialistico, che necessariamente devono includere e rispettare qualità estetiche e un accettabile livello di scientificità, e film prodotti per uso didattico all’interno dei corsi universitari, i quali avranno una struttura precisa in virtù della differente utenza al quale sono destinati. David MacDougall in Beyond Obseravtional Cinema (1975) invece, colloca il film etnografico in una dimensione tripolare compresa tra l’etno-cineasta, i soggetti filmati e gli spettatori. Entrambi ricoprono un ruolo importante nel determinare il successo di un prodotto filmico.
Osservare e partecipare
Cecilia Pennacini inserisce i film di interesse antropologico in due famiglie cinematografiche:
1. cinema d’osservazione: che lascia parlare la realtà, tentando di rimuovere la presenza del regista attraverso l’uso di piani sequenza, del suono in presa diretta e del rifiuto di inserire i commenti fuori campo (esempio di tale stile cinematografico sono i lavori di John Marshall , Robert Gardner, Judith e David MacDougall);
2. cinema partecipativo: in cui etnografi e informatori dialogano e decidono insieme cosa e come filmare, arrivando anche a ricostruire determinate situazioni a beneficio della macchina da presa. Si può parlare, in alcuni casi, di “etnofiction” (esempi sono rappresentati da autori come Flaherty, che già con Nanook diede vita ad un documentario realizzato in collaborazione con i protagonisti, e Rouch, che determinò l’avvento del cinema veritè).
Nel suo libro La ricerca sul campo in antropologia (2011), Pennacini indica alcune nuove direzioni che il cinema etnografico ha iniziato a sperimentare. Tra queste provare a portare direttamente a conoscenza le tecnologie audiovisive alle comunità di studio e attuare una collaborazione produttiva tra etnografi e popolazioni locali attraverso un dialogo paritario.
Francesco D’Ambrosio
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Hr specialist, orientatore, docente e giornalista pubblicista laureato in Sociologia con lode. Redattore capo di Sociologicamente.it.
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