Ti è mai capitato di dover scegliere qualcuno per un ruolo e di fermarti, con quella domanda che ti gira in testa come un’ape insistente: “Cosa sto cercando davvero?”. È uno di quei momenti che ti inchiodano, che ti fanno sentire il peso di una decisione che non puoi sbagliare. Ci sono passato anch’io – qualche tempo fa, lavorando in un’università, dovevo trovare una persona per gestire i social e curare alcuni eventi specifici per una tipologia di progetti, e mi sono ritrovato a studiare molte candidature, tra “so usare Instagram” e “ho fatto un corso di grafica”, senza sapere bene cosa mi servisse oltre a post decenti e locandine carine. Poi ho scoperto l’analisi del lavoro: l’effetto che mi ha fatto è come quello di un amico che arriva con un caffè caldo e ti dice: “Siediti, ci pensiamo insieme”. Sistematico, sì, ma anche umano. Scompone un mestiere in pezzi più piccoli, ti aiuta a capire cosa succede ogni giorno e cosa serve per farlo funzionare. È come aprire una scatola misteriosa, piena di sorprese che non sapevi di dover cercare.

Cosa è L’Analisi del lavoro?

Secondo Brannick, l’analisi del lavoro è un’esplorazione vera e propria: prendi un ruolo, lo dividi in unità minime, e ne tiri fuori due tesori scritti – uno che racconta cosa fanno le persone, l’altro che spiega di cosa hanno bisogno per farlo bene. Non è teoria astratta: è un viaggio che ti porta dentro la vita di un lavoro, con una precisione quasi chirurgica. Ti dà una mappa per sapere dove sei e una bussola per capire dove andare. E si tratta di uno strumento utile a tutti: a chi si occupa di reclutare, a chi è appena arrivato, a chi vuole cresce, a chi deve misurare i risultati. 

coworking lavoro team

La prima cosa da chiarire è che un’analisi del lavoro che funziona parte da due prospettive: una orientata al “Cosa”, l’altra orientata al “Chi”. Proverò a mostrarti come funziona, passo dopo passo, perché una volta capita, non ne potrai più farne a meno. Cerco di spiegarmi, iniziamo.

Il “Cosa” dell’Analisi del lavoro: guardare dentro il lavoro

L’analisi incentrata sul lavoro, o “work oriented analysis”, ti mette un taccuino in mano e ti trasforma in un detective armato di curiosità. In pratica il tuo compito è: prendere un ruolo e aprirlo come un libro: e la prima cosa da fare è capire che c’è una gerarchia, quasi un albero genealogico. In cima c’è il lavoro, fatto di posizioni – pensa a un tecnico in un laboratorio o a un impiegato dietro una scrivania piena di carte. Ogni posizione si divide in mansioni, che diventano compiti, poi attività, fino agli elementi, i mattoni più piccoli che tengono tutto in piedi. È un sistema ordinato, come una mappa che disegna ogni sentiero.

Immagina un tecnico di laboratorio davanti a una fila di provette. Con calma, prende i campioni, prepara gli strumenti, analizza i dati e scrive un report chiaro, comprensibile anche a chi non sa di chimica. Ogni azione ha uno scopo: ci vogliono tempo, attenzione e strumenti adatti. Tutto si lega a un obiettivo più grande, come un esperimento o un cliente che aspetta. Ecco come nasce la job description: descrive ogni cosa, dai gesti semplici – pulire una provetta – alle decisioni chiave, come scegliere il metodo giusto sotto pressione. Non è solo una lista: è la storia viva di quel lavoro, pensata per chi lo fa o deve capirlo. Il lavoro è al centro, e ogni dettaglio conta.

La Job Description

Un elaborato ufficiale, noto come job description, illustra con cura cosa significhi svolgere un’occupazione, evidenziandone gli scopi, i doveri fondamentali, le attività portate avanti e il contesto in cui tutto ciò avviene. Nasce da un esame del lavoro che si concentra sull’attività in sé, non su chi la esegue. Come sottolineato da Brannick, Levine e Morgeson nel 2007, questo documento raccoglie: il fine generale del ruolo; i compiti principali insieme alle funzioni dettagliate; gli strumenti e le innovazioni tecnologiche impiegate; l’ambiente operativo e le sue condizioni; i legami con superiori e colleghi.

La job description rappresenta un punto di partenza per attività organizzative come l’assunzione, la scelta dei candidati, l’addestramento e la verifica dei risultati, aiutando a stabilire parametri per giudicare se una persona è adatta e se ottiene successo nel mestiere.

Il “Chi” dell’Analisi del lavoro: cercare la persona giusta

Poi c’è l’analisi incentrata sul lavoratore, la “worker oriented analysis”. Qui il lavoro si mette da parte, come un fondale teatrale, e la persona sale sul palco. Non ti interessa tanto cosa succede, ma chi lo fa accadere – chi è, cosa porta con sé, cosa lo rende unico. L’obiettivo è scoprire le caratteristiche che servono per rendere quel ruolo efficace, e gli esperti le chiamano KSAO: conoscenza (il sapere, come usare un programma o leggere un grafico), abilità (il saper fare, magari affinato con la pratica), capacità (doti innate, come una memoria d’acciaio o mani ferme), e altri attributi (quel qualcosa in più, come la tenacia o un sorriso che scioglie le tensioni).

KSAO

  • Sapere (Conoscenza): Nozioni teoriche o pratiche indispensabili per operare (ad esempio, utilizzare un programma informatico).
  • Competenze (Abilità): Talenti sviluppati attraverso l’esperienza concreta (come coordinare un gruppo di lavoro).
  • Potenzialità (Capacità): Qualità naturali o possibilità innate (per esempio, trovare soluzioni a problemi).
  • Tratti distintivi (Altri attributi): Caratteristiche personali o principi individuali (come la tenacia o il senso del dovere).

Torniamo al nostro tecnico. Ora non siamo più concentrarti sui campioni o il microscopio: ma guardiamo lui. Sa interpretare i dati come se gli parlassero? Ha la testa sveglia per cogliere un errore al volo? È calmo quando il tempo stringe o si fa prendere dal panico? E poi, sa stare con gli altri – magari spiegare un risultato a un collega senza farlo sentire un idiota? 

Il risultato è una person specification, un ritratto che disegna la persona ideale per quel lavoro. Non è un elenco freddo di requisiti: è una descrizione viva, che ti fa quasi vedere quel tecnico davanti a te, con la sua curiosità, i suoi tic nervosi, la sua forza. Ed ecco che diventa colui che trasforma un compito in qualcosa di speciale, non solo un nome su un contratto.

Person Specification: una definizione

La person specification è un testo o un insieme di standard definiti che delinea le qualità, il sapere, le competenze pratiche, le capacità e i tratti personali che una persona deve avere per ricoprire con successo una posizione lavorativa. Proviene da un esame del lavoro e si focalizza sull’identità ideale di chi lo svolge (il “chi”), anziché sui dettagli delle mansioni (il “cosa”), combinando aspetti tangibili come titoli accademici ed esperienze passate con caratteristiche più intime, come il modo di porsi, la determinazione e le doti sociali. Spesso costruita seguendo lo schema KSAO (sapere, competenze, potenzialità, tratti distintivi), agisce come una bussola per trovare, scegliere e valutare le persone, assicurando che il loro profilo si armonizzi con le necessità dell’organizzazione.

E c’è di più. Questo approccio ti spinge a pensare oltre il presente: non cerchi solo chi sa fare oggi, ma chi può crescere domani. Magari quel tecnico non ha ancora tutte le abilità, ma ha la capacità di impararle – e quella grinta che non compri con un corso. È una lente che ti fa vedere il potenziale, non solo il risultato. 

Perché serve l’Analisi del lavoro?

Pensare al “Cosa”, con la work oriented analysis, è come avere una lente che mette a fuoco il lavoro vero: ti mostra i dettagli – ogni provetta pulita, ogni report scritto – e ti fa capire cosa serve per tenere tutto in piedi, oggi e domani. È utile perché ti dà controllo: puoi tagliare il superfluo, migliorare i processi, costruire una base solida per chi arriva. Non indovini più cosa funziona; lo vedi. Poi c’è il “Chi”, la worker oriented analysis, che sposta la luce sulla persona: non solo cosa sa fare, ma chi è, cosa può diventare. Qui trovi il potenziale – quella persona che magari inciampa ora, ma con un po’ di guida potrebbe brillare. È strategico: ti aiuta a scegliere chi non si limiterà a sopravvivere al ruolo, ma lo farà crescere.

Quindi l’analisi del lavoro non è un esercizio stilistico o, ancora peggio, un inutile passatempo: è la base di un’organizzazione che funziona. 

Analisi del lavoro nel reclutamento e in formazione

Nel reclutamento, ti dà regole chiare: non ti basi solo su un bel curriculum o una chiacchierata, ma capisci se una persona è adatta e se reggerà anche fra sei mesi o un anno. Immagina un colloquio: senza sapere cosa cerchi, potresti prendere uno che parla bene ma poi non sta al passo; con l’analisi, hai una guida per vedere oltre le apparenze. Nella formazione, ti fa capire cosa manca: se un collega fatica con un programma, sai che un corso può aiutarlo. E per valutare il lavoro? Ti permette di giudicare non solo i risultati, ma anche come uno affronta i problemi o gestisce un imprevisto.

Insieme, queste due prospettive trasformano l’analisi del lavoro in qualcosa di vivo: una mappa per orientarti e una bussola per puntare lontano. Nel reclutamento, ti salvano dagli errori di pancia; nella formazione, ti dicono dove investire; nella gestione, ti fanno vedere se il tuo team è davvero al posto giusto. Non è solo per chi comanda: è per chi inizia e vuole capire, per chi cresce e cerca un senso, per chi vuole che il suo lavoro conti. Alla fine, è semplice: l’analisi del lavoro ti dà chiarezza sul presente e una prospettiva verso il futuro.

Riferimenti

Brannick, M. T., Levine, E. L., & Morgeson, F. P. (2007). Job and work analysis: Methods, research, and applications for human resource management (2ª ed.). SAGE Publications.