Good bye, Stato-Nazione: uno slogan che, riecheggiando la nota pellicola del 2003 “Good bye, Lenin”, girata dal regista tedesco Wofgang Becker, contiene in sé l’ontologia della società a vocazione globale nella quale siamo immersi. Si pensi al nobile fine che ha orientato Altiero Spinelli ed Ernesto Rossi nella stesura del celebre Manifesto di Ventotene. Alla fine degli anni Trenta del secolo scorso, esiliati sull’isola per via della determinazione con cui si opposero al regime fascista, i due confinati presero ad immaginare, quale condizione imprescindibile alla pacificazione del Vecchio Continente, il superamento politico-istituzionale del mostro hobbesiano. Urgeva la necessità di isolare la ragione ultima della totale entropia nella quale si muoveva l’Europa in quegli anni, o ancora, ampliando il raggio di analisi, occorreva individuare il fattore propulsivo dal quale aveva preso le mosse il Secondo grande conflitto mondiale.

Il sogno federalista

Così, sulla scorta di quanto già asserito in merito da Luigi Einaudi, precursore del federalismo italiano, i due intellettuali configurarono quale principio motore del contesto bellico la cosiddetta anarchia internazionale, allora imperante. Un’espressione, quest’ultima, con la quale si designa la condizione ideale affinché il moderno apparato Statual-nazionale eserciti il monopolio della violenza fisica legittima, ciò che per il sociologo Max Weber (1864-1920) qualificava, più di ogni altra cosa, l’ordine socio-politico emerso dalla medesima istituzione. Al fine di garantire la pace, quella kantianamente intesa quale “impossibilità” piuttosto che come semplice “assenza”, occorreva scardinare il principio della sovranità assoluta (prerogativa dello Stato-Nazione), insieme al dogma del nazionalismo miope, e perciò stesso del tutto inadeguato a garantire l’ordine entro in confini circoscritti del territorio statuale.

Modello politico stato-centrico

Ernesto Rossi con Altiero Spinelli e Luigi Einaudi
Ernesto Rossi con Altiero Spinelli e Luigi Einaudi

Ai loro occhi, insomma, risultava quantomeno difficile riuscire ad assicurare la stabilità interna allo stato-nazione, se prima non ci si fosse premurati di eliminare la perenne minaccia esterna alla sua sicurezza militare ed economica. Per farlo, alla stessa stregua di quanto avvenuto per i singoli individui all’interno dei singoli Stati, si auspicava che quest’ultimi si sottoponessero ad un potere superiore in grado di regolarne i rapporti. Eppure, a guardare più da vicino l’ambizioso progetto federal-europeista tratteggiato fin qui, è possibile accorgersi di quanto il saluto rivolto all’ottocentesca istituzione politica si sia risolto in un affettuoso arrivederci, anziché in un deciso e decisivo addio. Difatti, il federalismo sistematizzato da Rossi e Spinelli si è rivelato ampiamente stato-centrico, e in esso l’individuo, la persona o la comunità appaiano decisamente ai margini.

Lo Stato è nella testa

A tal proposito, si potrebbe affermare, con il sociologo francese Pierre Bourdieu (1930-2002), che “lo Stato è nella testa ed è difficile affrancarsene“. Tale espressione viene utilizzata dallo studioso per denunciare l’azione educativo-repressiva espletata dal soggetto statale, con cui quest’ultimo produce esclusivamente uomini di Stato. In tal modo egli introduce il concetto di violenza simbolica quale ineluttabile condizione per l’esercizio del monopolio della stessa violenza fisica. Difatti, una volta sorto, lo Stato cerca di consolidarsi e riprodursi per mezzo della diramazione dei saperi che ne hanno legittimato la nascita, istituendo un’istruzione complessiva il cui cardine è il sapere giuridico.

Un punto di vista inedito sulle migrazioni

Abdelmalek Sayad

Il risultato di tale processo è il cosiddetto Pensiero di Stato. Un concetto mutuato dal sociologo algerino Abdelmalek Sayad (1933-1998), e che costituisce il fil rouge dell’eterodossa teoria delle migrazioni alla quale egli dedicherà tutta la sua vita. Questa particolare forma di pensiero, per l’autore, è da considerarsi una sorta di inconscio collettivo nazionale, nel quale sono racchiuse le categorie di percezione e di organizzazione del mondo, e con cui, oggettivamente (in maniera inconsapevole), si conferisce un senso alla realtà in cui si è immersi. Insomma, strutture di pensiero che riflettono le strutture dello Stato, e che ci appartengono per il solo fatto di essere nazionali.

La natura discriminante dello Stato

Strutture, inoltre, interamente contenute nella linea di demarcazione, appena percettibile, ma dagli effetti tangibili, che separa radicalmente i “nazionali” e “non-nazionali”, e che costituisce la cifra ontologica dell’apparato politico-moderno statale. In altri termini, lo Stato per sua stessa natura discrimina, e così si attrezza preventivamente dei criteri utili all’espletamento di tale funzione. Evidentemente, è a causa di tutto ciò, che il fenomeno migratorio nella sua totalità, emigrazione ed immigrazione, non può che essere interpretato mediante le categorie di pensiero dello Stato. Nello specifico, la presenza del non-nazionale in seno alla nazione, sconvolge l’intero ordine statuale, nella misura in cui problematizza la separazione, percepita come dato immediato e del tutto naturale, tra ciò che è nazionale e ciò che non lo è. Pertanto, il fatto migratorio rappresenta il limite dello Stato nazionale, poiché lo desacralizza, smascherando il modo in cui lo pensiamo e in cui pensa se stesso.

Good bye, Stato-Nazione: un addio o un arrivederci?

Apparentemente anacronistico, dinanzi all’altro da noi l’istituzione statale ripristina la sua autorità. Così, di fronte all’invasione dei migranti i paesi membri dell’Ue sospendono il trattato di Schengen, o innalzano muri di filo spinato, o esaltano l’atavico amor di patria. Un po’ come avviene al protagonista di “Good bye, Lenin”, che nonostante sembri adeguarsi alla recente occidentalizzazione dell’ex RDT alla fine cede alla tentazione di immaginare la sua vita dipanarsi ancora nella vecchia Germania Est, così gli Stati-Nazione, alla vista dell’invasore, lasciano trapelare un “sempiterno” e radicato senso di appartenenza nazionale.

Luana Colella

 

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