Rosi Braidotti
Rosi Braidotti

“Tutti possiamo sostenere, con un elevato grado di sicurezza, di essere sempre stati umani o che non siamo null’altro all’infuori di questo”. Con queste righe Rosi Braidotti apre il suo testo Il postumano. La vita oltre l’individuo, oltre la specie, oltre la morte. Tale premessa può non essere vera se per umano si intende quella creatura diventata familiare a partire dall’Illuminismo e dalla sua eredità, il soggetto cartesiano del cogito ergo sum. Il concetto di umano è esploso sotto la pressione dei progressi scientifici e degli interessi dell’economia globale. La situazione nella quale si vive oggi, quella postumana, solleva una serie di domande attorno alla questione delle identità condivise, all’interno di un più ampio scenario di relazioni politiche e internazionali.

La misura di tutte le cose

L'Uomo vitruviano, rappresentazione delle proporzioni ideali del corpo umano
L’Uomo vitruviano, rappresentazione delle proporzioni ideali del corpo umano

L’ideale classico di Uomo, quello individuato da Protagora, dipingeva “l’uomo come la misura di tutte le cose”; quello stesso uomo sarà innalzato durante il rinascimento italiano da Leonardo da Vinci nell’Uomo Vitruviano, ideale di perfezione corporea che evolve verso una serie di valori intellettuali e spirituali, sottolineando l’infinita capacità umana di raggiungere la perfezione individuale e collettiva. Queste immagini sono alla base della dottrina dell’umanesimo diffusasi tra il diciottesimo e diciannovesimo secolo, caratterizzata da una profonda fede nei poteri autoregolatori della ragione umana. Questo modello funge da standard non solo per gli individui ma anche per le loro culture.

Il declino dell’umanesimo

In accordo con il pensiero dell’autrice, la ridotta nozione umanista di ciò che definisce l’umano è una delle chiavi per comprendere come si è arrivati alla svolta postumana. La nozione storica del declino dell’umanesimo, con il suo nucleo eurocentrico e le tendenze imperialiste, si spiega attraverso la politica e alla filosofia. Durante gli anni sessanta e ottanta un attivismo antiumanista prese piede grazie ad alcuni movimenti sociali e culturali giovanili quali femminismo, anticolonialismo, antirazzismo, movimenti pacifisti. Questi movimenti sociali danno vita a politiche radicali, teorie sociali che hanno sfidato gli stereotipi della guerra fredda con la sua enfasi per la democrazia occidentale.

Le critiche femministe al modello umanista

La pietra angolare di questa trasformazione in parte è dovuta alle innovazioni epistemologiche enunciate dalla Haraway nel 1988 che prende le mosse dalla politica della collocazione. La premessa del femminismo umanista si forma a partire da una critica all’universalismo maschilista. La teoria e la pratica femminista hanno sviluppato strumenti originali e metodi di analisi che hanno fornito resoconti più realistici su come funziona il potere. Le femministe hanno inoltre individuato nella sinistra rivoluzionaria comportamenti maschilisti e abitudini sessiste e li hanno denunciati come contraddittori rispetto alla loro ideologia e offensivi.

Rivoluzioni e contraddizioni

In opposizione al dogma e alla violenza del comunismo, la generazione del 1968 si rivolge al potenziale sovversivo dell’eredità di Marx; si trattava di una critica delle impostazioni umaniste. L’antiumanesimo divenne il grido di battaglia di quei pensatori che sarebbero stati famosi come generazione post-strutturalista; si trattava di una generazione che, abbandonando il pensiero dicotomico, sviluppò una terza modalità per approcciare alla nozione di soggettività umana.

La morte dell’uomo

La morte simbolica dell’uomo

Dopo la pubblicazioni di Le parole e le cose (1967) di Michel Foucault, opera di critica dell’umanesimo, la morte dell’uomo annunciata nelle righe di Foucault si irradia in una crisi epistemologica e, di conseguenza, la sua pretesa di porre l’uomo al centro della storia; l’antiumanesimo infatti consiste nello spodestare l’uomo dalla sua posizione universalistica. I pensatori radicali della generazione del ’68 rifiutavano l’umanesimo e l’ideale dell’uomo vitruviano come modello di perfezione e miglioramento. Si scoprì che questo uomo era ben lontano dall’essere canone di proporzioni perfette e che l’individualismo, diversamente da come sostenuto dai pensatori liberali, non è un qualcosa di innato della natura umana.

Il maschio bianco come emblema della specie

Femministe come Luce Iragaray hanno evidenziato come questo presunto ideale di uomo, simbolo dell’umanesimo classico, in realtà sia proprio il maschio della specie e in particolare questo maschio è bianco, bello, europeo, normodotato e che corrispondesse in tutto all’opera del suo pittore, Leonardo da Vinci. Non è mai stato molto chiaro cosa, questo modello ideale, avesse in comune con la media dei membri della specie; le critiche femministe si muovevano proprio su questa linea contro i sistemi patriarcali. Le filosofie femministe, inoltre, attraverso la critica della mascolinità dominante, hanno sottolineato la natura etnocentrica europea e la necessità di aprirsi all’alterità dentro di sé. L’antiumanesimo si fa importante risorsa per il pensiero postumano, come condizione altra rispetto all’essere uomo, come il superamento del supporto naturale della specie umana.

Identità senza volto

La nuova umanità senza volto

Il post-umano è tale non come sostituzione della specie umana con una più perfetta, ma in quanto nuovo modo di considerare l’umano, quello in cui la questione dell’identità non ha più alcun senso; il post-umano infatti è senza volto. La questione dell’identità umana dunque si fa sempre più forte. Diversamente dagli altri esseri viventi, l’identità dell’uomo non è puramente biologica ma strettamente legata alla propria cultura. La presenza della componente culturale diventa fondamentale proprio per sopperire l’incompletezza di quella biologica.

Emanuela Ferrara

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