Al fine di avere una visione globale del fenomeno della dipendenza da sostanze stupefacenti, è necessario considerare che alla base dello sviluppo di una dipendenza vi è una concatenazione di fattori neurobiologici, psichici e socio-ambientali che si influenzano a vicenda.

Dipendenza da sostanze psicotrope: un fenomeno multifattoriale

In quanto malattia (Dipartimento Politiche Antidroga, 2011) multiproblematica e complessa, la dipendenza da sostanze è necessario che sia indagata mediante un approccio multifattoriale. Molteplici sono state le interpretazioni eziologiche che la letteratura ha dato a tale fenomeno: biologiche, psicologiche e sociali. È opportuno sottolineare che tutte queste teorie risultano essere parziali, in quanto selezionano un numero limitato di fattori che vengono ritenuti la causa o che sono associati all’utilizzo di sostanze stupefacenti e/o alcoliche. Di per sé, tutte queste interpretazioni sono corrette e, al fine di avere una visione globale sui fattori inducenti allo sviluppo di un’addiction da droghe e da alcol, è necessario farle coesistere.

Il binge drinking consiste nell'assumere alcol in grandi quantità in un minimo intervallo di tempo

A tal proposito, di seguito verrà fatto un breve excursus sui principali approcci rinvenibili nella letteratura medica e psicologica e grande attenzione verrà posta su quella sociologica, facendo riferimento a quanto riportato da Goode (2015) all’interno dell’opera Drugs in american society.

Dipendenza da sostanze psicotrope: approcci biologici e psicologici

Gli approcci biologici hanno indagato la dipendenza da sostanze psicotrope rinvenendo in specifici meccanismi fisici degli individui le cause di tale fenomeno. Tali fattori possono essere di natura diversa: genetici – i quali si basano su fattori che le persone presentano sin dalla nascita – o legati all’ambiente esterno che, se combinati con i precedenti, possono dar luogo allo sviluppo di una dipendenza.

Le teorie di stampo psicologico che si sono occupate dell’eziologia dell’addiction, invece, possono essere ricondotte a due filoni: quelle orientate ai meccanismi di rinforzo e quelle orientate alla struttura di personalità del soggetto. Le prime sostengono che un soggetto intraprende una ‘carriera tossicomanica’ (Panebianco, 2019) in quanto mediante l’assunzione della sostanza psicotropa riceve una sensazione piacevole tale da motivarlo a ripetere la condotta. L’altro filone di studi, invece, enfatizza il ruolo che particolari strutture di personalità possono giocare.

Dipendenza da sostanze psicotrope: approcci sociologici

Contrariamente agli approcci precedentemente descritti, i quali individuano le cause della dipendenza nelle caratteristiche interne all’individuo, gli approcci sociologici hanno concentrato la propria attenzione sulle situazioni, relazioni e strutture sociali nelle quali il soggetto è inserito o, per utilizzare una terminologia di rete, in cui è embedded.

Di seguito verranno passati in rassegna alcuni capisaldi della sociologia che hanno indagato l’eziologia dei comportamenti additivi.

La Scuola di Chicago e la teoria della disorganizzazione sociale

Una delle teorie sociologiche che ha tentato di spiegare fenomeni quali quello della devianza e della criminalità è la teoria della disorganizzazione sociale elaborata dalla Scuola di Chicago. Secondo tale prospettiva, le cause alla base di tale fenomeno non sono rinvenibili all’interno degli individui, bensì nella struttura sociale nella quale sono inseriti. Secondo gli autori (R. Park, C. Shaw, H. MacKay), la probabilità di incorrere in una carriera deviante e tossicomanica è legata all’appartenenza a quartieri disorganizzati, privi di risorse economiche e sociali per contrastare tali comportamenti. Non essendo possibile mettere in atto strumenti al fine di contrastare il degrado che caratterizza tali quartieri, «the socially disorganized neighborhood is the playground of the criminal and the drug abuser» (Goode, 2015, p. 195).

La teoria dell’anomia di R. K. Merton

Un ulteriore approccio di stampo sociologico è stato sviluppato da R. K. Merton con la c.d. anomie theory. Con il concetto di anomia, ripreso dal sociologo Emil Durkheim, l’autore fa riferimento ad una mancata integrazione tra le mete culturali (scopi e interessi) dei soggetti e i mezzi istituzionali (legali e illegali) a disposizione per raggiungerli. Il sociologo americano ha identificato cinque modalità di adattamento degli individui al fine di raggiungere tali mete: conformismo, innovazione, ritualismo, ribellione e rinuncia (Rinaldi, Saitta, 2017). In quest’ultima categoria vi rientrano anche i tossicodipendenti, nonché coloro che hanno rinunciato a raggiungere le proprie mete culturali, sia con i mezzi legittimi, sia con quelli illegittimi.

Più precisamente, tale adattamento si presenta nel momento in cui l’individuo ha assimilato le mete culturali e i procedimenti istituzionali culturalmente accettati, ma le vie istituzionali non gli consentono di raggiungerle. Pertanto, ne risulta un duplice conflitto: «l’interiorizzazione della obbligazione morale ad adottare mezzi istituzionali si scontra con la pressione verso il ricorso a mezzi illeciti (che consentono il raggiungimento della meta) e l’individuo viene escluso sia dai mezzi legittimi che dai mezzi efficaci» (Rinaldi, Saitta, 2017, p. 52). Ciò si traduce nell’adozione di un atteggiamento di rassegnazione e di evasione, come ad esempio il ricorso all’utilizzo di sostanze stupefacenti.

La teoria dell’apprendimento sociale di E. Sutherland

Un contributo interazionista, invece, proviene dal sociologo E. Sutherland, il quale ha elaborato la teoria dell’apprendimento sociale. Secondo tale prospettiva, riconducibile alla precedente teoria dell’associazione differenziale, il comportamento deviante viene messo in atto nel momento in cui le definizioni favorevoli a violare la legge sono maggiori rispetto a quelle sfavorevoli. Più precisamente, l’autore ritiene che il comportamento deviante venga appreso come qualsiasi altro comportamento socialmente accettato e, in particolare, mediante l’interazione comunicativa con altre persone. Interagendo con i membri della propria cerchia sociale le persone apprendono le definizioni dei comportamenti come buoni o cattivi, leciti o illeciti, ed è proprio nell’ambiente gruppale che hanno luogo i processi di ricompensa e punizione a seguito dell’adozione di determinati comportamenti. Tale prospettiva ritiene che l’uso di sostanze psicotrope «can be explained by differential exposure to groups in which use is rewarded» (Goode, 2015, p. 197).

Edwin Sutherland

A. K. Cohen e la teoria della subcultura

Un altro caposaldo della sociologia è la teoria della subcultura proposta da A. K. Cohen.La tesi centrale è che il coinvolgimento in un particolare gruppo sociale con atteggiamenti favorevoli al consumo di droga sia il fattore chiave per favorire l’adozione di tale comportamento e che l’appartenenza ad un gruppo con atteggiamenti negativi verso il consumo di sostanze tenda, invece, a scoraggiarlo e punirlo.

La teoria dell’autocontrollo e la social control theory

Altri contributi sociologici che hanno associato la condotta tossicomanica a quella deviante provengono dalla teoria del controllo sociale (T. Hirschi) e dalla teoria dell’autocontrollo (M. R. Gottfredson, T. Hirishi). Secondo la social control theory, all’origine dei comportamenti devianti – incluso quello del consumo di sostanze stupefacenti – vi è un processo naturale causato da un’assenza di controllo sociale. A tal proposito, risulta molto utile ai fini della comprensione di tale approccio quanto riportato da Goode (2015), secondo il quale la maggior parte dei soggetti non si impegna in atti devianti a causa dei forti legami con persone, attività o istituzioni sociali convenzionali. Se tali legami sono deboli, gli individui sono liberati dalle regole della società e liberi di deviare, ad esempio utilizzando sostanze.

Nel caso dei tossicodipendenti, non sono i legami con una sottocultura non convenzionale che li attraggano verso la droga, ma è la loro mancanza di legami con i settori conformi della società che li libera dai legami che li trattengono dall’uso della droga. Pertanto, è proprio l’assenza di questi legami che spiega l’uso di droghe illecite e ricreative. La self-control theory, nonostante presenti elementi di continuità con la teoria precedente, si discosta da quest’ultima nello spiegare come avviene tale assenza di controllo che induce un soggetto a deviare. Tale teoria considera i tossicodipendenti come dei veri e propri criminali, in quanto entrambi mettono in atto azioni finalizzate a ricevere un piacere e una gratificazione immediata. La causa di ciò è da ricercare in un basso livello di autocontrollo: sono orientati in primis alla ricerca del piacere, non curanti delle conseguenze.

La teoria dell’interazione-socializzazione selettiva di E. Goode

Goode (2015) ha proposto una prospettiva ‘subculturale e di socializzazione’ alla comprensione del fenomeno della dipendenza da sostanze, elaborata nella teoria dell’interazione-socializzazione selettiva. Secondo l’autore, i potenziali consumatori di sostanze stupefacenti non si inseriscono casualmente nelle cerchie sociali dei consumatori. Più precisamente, tali soggetti sono attratti da determinati individui e/o gruppi in quanto i loro principi, valori e attività sono compatibili con i propri: prima che un soggetto diventi un consumatore e sperimenti per la prima volta la sostanza è come se fosse “preparato” al suo uso, in quanto i suoi valori sono coerenti con quelli della sottocultura della droga. A tal fine, Goode parla di reclutamento selettivo proprio perché ritiene che i soggetti si scelgano amici che condividono i propri valori e che potrebbero essere anch’essi attratti dall’uso di sostanze. A precisazione di ciò, si ritiene particolarmente esaustivo quanto riportato da Panebianco (2019) circa tale tematica:  

«Una volta che i giovani instaurano rapporti amicali con un gruppo di soggetti che utilizzano droga, vengono socializzati alla subcultura di quella cerchia sociale. […] Non appena il soggetto sarà inserito all’interno del gruppo, la sua socializzazione graviterà attorno ai valori di quella cerchia: più essi saranno consistenti e l’interazione intensa, maggiore sarà la probabilità di utilizzare sostanze. Inoltre, nella partecipazione a gruppi di drug-user che propongono e promuovono certi modelli d’uso, il processo di imitazione comincia a giocare un ruolo incisivo nell’acquisizione di certe pratiche».(pp. 25-26). 

Dipendenza da sostanze psicotrope: la conflict theory

Per concludere questa rassegna di contributi sociologici che hanno cercato di spiegare l’eziologia del comportamento tossicomanico, è necessario citare la teoria del conflitto. Quest’ultima è una teoria che si approccia alla dipendenza da sostanze in una prospettiva macro, in quanto indaga fattori strutturali più ampi che sono in grado di influenzare non solo il singolo individuo ma l’intera società. In particolare, i teorici della teoria del conflitto ritengono che l’addiction da sostanze psicotrope sia legata alla classe sociale, al potere, al reddito o al luogo di residenza di una persona. Pertanto, è più probabile l’emergere di tale fenomeno tra coloro che appartengono a ceti sociali e quartieri disagiati, con risorse economiche scarse, rispetto a coloro che si trovano ai vertici della gerarchia sociale.

Conclusioni

Come è stato citato precedentemente, gli approcci biologici, psicologici e sociali selezionano un numero limitato di fattori che si ritengono associati o siano la causa dell’abuso di droga (Goode, 2015). Al fine di avere una visione globale del fenomeno, è quindi possibile identificare alla base dello sviluppo di una dipendenza una concatenazione di fattori neurobiologici, psichici e socio-ambientali che si influenzano a vicenda. Difatti, secondo quanto riportato da Serpelloni et al. (2002), le cause che inducono a sviluppare una dipendenza riguardano:

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«la disponibilità di droga da una parte e da un comportamento di assunzione dall’altra. Queste due cause sono a coesistenza obbligata […]. Il comportamento di assunzione che porta alla dipendenza è sostenuto da uno stato che viene definito di vulnerabilità che a sua volta viene condizionato da vari fattori in ambito biologico, socio-ambientale e psichico. La disponibilità di droga dipende invece da fattori ambientali […] ma anche dalla cultura e dai rituali sociali più o meno propensi all’uso e un ruolo importante nel determinare la dipendenza lo svolge anche il tipo di sostanza che viene utilizzata» (p. 5).

Vittoria Di Pietrantonio

Riferimenti bibliografici

  • Dipartimento Politiche Antidroga (2011), Il Dipartimento delle Dipendenze. Linee di indirizzo e orientamenti organizzativi per l’integrazione dell’offerta e dei servizi, Roma.
  • Goode E. (2015), Drugs in american society (9th ed.), McGraw-Hill Education, New York.
  • Panebianco D., (2019), Dipendenza e cultura delle relazioni. Social network analisys e capitale sociale nei servizi alla persona, Rubbettino, Catanzaro
  • Rinaldi C., Saitta P. (2017), Devianza e crimine. Antologia ragionata di teorie classiche e contemporanee, PM edizioni, Savona.
  • Serpelloni G., Gerra G., Zaimovic A., Bertani M. E., Gruppo Di Lavoro Sulla Vulnerabilità (2002), Modellistica interpretativa della ‘vulnerabilità all’addiction’, in Serpelloni G., Gerra G. (a cura di), Vulnerabilità all’addiction, Verona.
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