Si sente spesso parlare di “welfare”, termine inglese che sta per benessere. Tale termine è associato il più delle volte ad un altro, ovvero “state”. Il welfare state è appunto lo stato di benessere, l’insieme di tutte quelle iniziative che aiutano un individuo a vivere meglio avendo dei supporti da parte dello Stato o ancora Enti pubblici e/o privati. Il welfare, però, può essere definito anche aziendale e concerne l’insieme di iniziative volte ad incrementare il benessere del lavoratore e della sua famiglia.

È questo un bisogno di cui tutte le aziende necessitano, in quanto, se ben strutturato come piano d’intervento, è in grado di soddisfare i bisogni e le esigenze dei lavoratori. Un welfare aziendale porta innumerevoli vantaggi non solo ai lavoratori che ne usufruiscono ma anche alle aziende che lo attuano. Volendo analizzare nel dettaglio quali possono essere i
vantaggi derivanti dall’introduzione di un piano di welfare aziendale,
sicuramente in primis vi sarebbe un aumento del potere d’acquisto in quanto vengono inseriti sconti, promozioni, convenzioni per accedere a beni e servizi. Sicuramente migliorerebbero le condizioni di lavoro.

Il clima lavorativo

Lavorare in un clima ottimale porterebbe anche all’incremento della produttività aziendale; risparmio del costo del personale poiché ci sarebbe l’ottimizzazione del vantaggio fiscale; infine, ma non per ultimo, vi sarebbe un aumento considerevole del benessere del lavoratore e una miglior conciliazione tra vita privata e professionale. Sarebbe molto vantaggioso se nelle aziende, soprattutto in quelle dove lavorano più donne, fossero introdotti servizi che potrebbero portare alle lavoratrici un giovamento. Si parlerebbe a tal proposito di un vero e proprio welfare aziendale femminile.
La prima donna, nonché imprenditrice, ad introdurre il concetto di welfare
aziendale al femminile in Italia, fu Luisa Spagnoli, fondatrice della Perugina.

Il welfare aziendale

La coniazione di questo termine risale a circa 100 anni fa, quando, nello
stabilimento dolciario di Fontivegge, fu costruito uno dei primi asili nido
aziendali. C’è un perché dietro la costruzione di questo nido: mentre gli uomini erano in guerra, erano le donne a lavorare nella celebre azienda di dolciumi. Queste donne riuscirono in tal modo a conciliare il loro ruolo di lavoratrici senza tralasciare quello di madri poiché ebbero la possibilità di allattare i loro bambini durante l’orario di lavoro. Questo fatto porta con se certamente dei fattori positivi: innanzitutto le donne non dovevano lasciare il posto di lavoro e di conseguenza vedersi detrarre soldi dallo stipendio, ma riuscivano a lavorare in maniera più tranquilla poiché avevano i bambini accanto a loro. L’idea di Luisa Spagnoli non solo dunque portò benefici di ordine psicologico alle donne, ma portò utilità anche all’azienda stessa che aveva la sua forza lavoro sempre presente sia fisicamente che mentalmente.

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Perchè non è realtà comune?

Purtroppo però questa idea innovatrice sembra essere destinata a rimanere
soltanto storia, infatti, le aziende italiane oggi, fatta rara eccezione di qualcuna, sembrano aver dimenticato o non conoscere quanto questi scopi possono essere importanti per loro stesse e per le lavoratrici.
Essere madri preclude a molte donne di continuare a lavorare e di conseguenza di crescere professionalmente. Purtroppo sono sempre di più le donne che, una volta diventate madri, sono costrette a lasciare il lavoro o al massimo a doversi accontentare di un part time per due motivi: il primo per non rischiare di uscire definitivamente dal mondo del lavoro; in secondo luogo perché mancando gli aiuti da parte delle aziende, arrotondando con uno stipendio in più, possono permettersi, o quasi, di iscrivere i propri figli ai nidi privati. Anche questo è un altro tasto dolente.

Gli asili nido pubblici sono davvero pochi rispetto alla reale necessità e quindi si è costretti a ripiegare sui privati che talvolta
hanno rette molto alte e pur avendo due stipendi, comunque si tratta di cifre che il più delle volte non si riescono a gestire. A questo si deve anche
aggiungere che talvolta è impossibile far coincidere gli orari dei nidi con quelli lavorativi delle madri e quando non si ha l’aiuto dei nonni che mantengono i nipoti, si deve ricorrere all’aiuto delle baby sitter, ovviamente a pagamento.

Lo scenario italiano

Sono pochissime le aziende italiane che hanno seguito l’esempio di Luisa
Spagnoli costruendo un asilo nido aziendale. Possiamo citare tra queste l’ATM, l’Azienda Trasporti Milanesi che ha riqualificato aree adibite a depositi aziendali aprendo piccole strutture in varie zone della città; o ancora l’ARTSANA GROUP che nel 2006 ha inaugurato l’asilo nido aziendale “Il villaggio dei bambini” che accoglie i bambini dei lavoratori ma anche dei
residenti nella zona dalle 7:30 alle 19:00 con prezzi ragionevoli. Ci sono anche altre aziende che hanno attuato questo piano di intervento ma non è questa una realtà consolidata e condivisa pienamente da tutte le attività aziendali. Aprire un asilo nido aziendale sarebbe una grande soluzione per molte donne lavoratrici. Migliorerebbe di gran lunga la loro posizione anche sociale poiché non si sentirebbero costrette a dover scegliere cosa fare. Si dovrebbero fare attività di sensibilizzazione su questo tema.

Come aprire un asilo nido aziendale: requisiti, costi e consigli pratici |  Mammeacrobate

Aprire un asilo nido aziendale comunque comporterebbe un dispendio di risorse sia in termini di tempistiche, burocratiche e di attuazione, sia in termini di denaro. Le aziende, che siano esse piccole, medie o grandi, potrebbero attraverso attività di sensibilizzazione ottenere l’aiuto anche di sponsor esterni che li aiuterebbero sicuramente a raggiungere le somme necessarie per la realizzazione dell’asilo.

Questione di credibilità

Attraverso la pubblicità, il social marketing, ovviamente le aziende stesse acquisirebbero pur credibilità a livello sociale e questo non è un dato da sottovalutare: pubblicizzando non solo i prodotti commerciali ma anche queste iniziative per andare in contro alle esigenze dei lavoratori, ( perché alla fine è un problema che riguarda in primis la mamma ma anche il papà ) sicuramente l’opinione pubblica cambierebbe e le persone sarebbero più propense ad acquistare prodotti di quell’azienda piuttosto che di un’altra e questo innescherebbe un vero e proprio meccanismo economico e sociale.

Il tutto potrebbe essere considerato un notevole passo in avanti per chi vuole fare carriera senza rinunciare a creare una famiglia.

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