Barbie, giocattolo dell’infanzia di molte persone è diventato un film. Pellicola prodotta dalla regista Greta Gerwing, Barbie ci delinea due mondi entrambi con un sesso dominante, due mondi differenti ma affini al contempo in cui vigono il patriarcato e il matriarcato e in cui gli stereotipi fanno da substrato. Ciò che andremo ad analizzare, però, saranno i modelli di successo prodotti da entrambi i mondi e che permeano il nostro come una monade che fa da filigrana a un paradigma capitalistico. Solo attraverso la tramutazione da Barbie “stereotipo” a Barbie “pensieri di morte” si riscoprirà la vita e la bellezza della fine di quest’ultima, libera dalla perfezione.
Modelli di successo e stereotipi
L’era post-moderna è artefice di un mito immaginario fallace che innerva la società e l’uomo nella sua individualità attraverso un modello di successo delineato a scopi meramente consumistici. Il modello vigente rispecchia il classico: giovane, bello e ricco /giovane, bella e ricca, entrambi non realistici in quanto vanno in opposizione con la vita e con il suo avvenire.
Si è creata oggi una correlazione fra modelli di successo e stereotipi grazie anche all’avvento dei social che potremmo paragonare a Barbieland. Si nota infatti come, nel mondo reale, non si riesca a omologarsi completamente a Barbie “stereotipo” e per questo si inizia a odiarla creando ansia, depressione e stress. Al contempo Ken “stereotipo” che in Barbieland viveva in funzione delle attenzioni di Barbie, nel mondo reale trova una via (il patriarcato) che seppur sbagliata gli permette di essere visto.
Si può notare come in Barbieland succeda l’opposto della nostra contemporaneità:
- La donna ha successo, è intelligente e bella al contempo, è al vertice di tutte le istituzioni, ha titoli di studio, ha la sua indipendenza, vive in funzione di sé stessa e del suo successo.
- L’uomo vive in funzione della donna, non occupa posti rilevanti a livello lavorativo, non ha una cultura oggettiva e soggettiva forte, non ha indipendenza e non si contempla al di fuori dell’occhio della Barbie.
Barbie tra patriarcato e matriarcato
Si può notare come entrambi i mondi non siano giusti, non siano equi ma come entrambe le figure siano oppresse. Ciò innerva totalmente il nostro mondo, il nostro immaginario in quanto da una parte abbiamo la donna che deve rispettare alcuni canoni e vige in un totale ottica paradigmatica dell’out/ out in cui o è bella o è intelligente mentre l’uomo viceversa. L’uomo deve essere performante, la donna per essere tale deve essere vista e non può invecchiare. Tutto ciò che non corrisponde a tali requisiti non è degno di attenzione e di merito oppure si va a incanalare nella sezione “strano”.
Greta Gerwing, invece, ci libera da questo stigma duplice promuovendo la figura di Allan, l’unico non Ken. La figura di questo personaggio è da associare a un femminismo intersezionale in cui la figura dell’uomo e della donna sono coadiuvanti per un mondo migliore. Emblematica, infatti, è la frase che enuncia Barbie: “Alla fine c’è Barbie e c’è Ken” in opposizione alla classica fiaba Barbie e Ken.
Barbie “stereotipo” a Barbie “pensieri di morte”
Le due Barbie si incrociano nella stessa bambola e per questo è un’ottima metafora per delineare il nostro immaginario culturale e noi stessi. Barbie “stereotipo” vive sempre nella felicità, nel sorriso, nella ritualità della vita, infatti, come esemplifica: “Sarà così ogni giorno, ogni mercoledì, per sempre”, non conosce l’errore ma solo la perfezione, è rosa. Barbie “pensieri di morte” vive con il pensiero della morte, nella perdita della bellezza, nel pianto, nel blu.
Spieghiamo meglio il passaggio importante tra le due. Barbie “stereotipo” è affine al cosiddetto modello idealtipico weberiano, a un’utopia che non ha nulla a che fare con il reale mentre Barbie “pensieri di morte” scoprendo la mortalità può accadere alla vita ed esistere in quanto tale.
Si viene a capire come la regista abbia voluto assurgere a una visione tanatofobica della società. Emblematico è il punto in cui Barbie parlando della morte fa fermare Barbieland completamente o che l’idea che il pensiero della morte sia un malfunzionamento della bambola da dover risolvere.
L’accettazione della morte come atto rivoluzionario
Il nostro mondo non accetta la morte in quanto abbiamo una concezione del tempo fallace ovvero la raffigurazione di quest’ultimo come freccia e non come ciclo o meglio come spirale. Non contemplando il tempo come esistente e come un qualcosa che non si può imbavagliare viviamo la vita come eterna non accettando i ricordi, la vecchiaia, la caduta, etc.
Barbie, pensando alla morte, riscopre la vita e decide di farne parte rendendosi mortale perché solo così facendo si può rendere partecipe del progetto di idee che generano valore. Barbie riscopre così la bellezza piangendo, facendosi parte dei suoi ricordi e del suo dolore e complimentandosi con una signora anziana per la sua bellezza.
Emilia Marcotulli
Riferimenti bibliografici e sitografici
- G. Durand, Le strutture antropologiche dell’immaginario. Introduzione all’archetipologia generale, [1963], tr. it. di E. Catalano, Edizioni Dedalo, Bari 1983
- A. Millefiori, Lineamenti di sociologia generale, Rimini, Maggiolini editore, 2017