Il turismo appartiene a quella categoria di fenomeni sociali che come la pubblicità e lo sport, pur essendo onnipresenti e familiari, rimangono sempre e comunque indigeriti e inelaborati: eludono le domande e neutralizzano la riflessione e mentre le bibliografie si moltiplicano mancano le idee innovative ma la sua importanza nella nostra epoca è tale da permetterci di parlare di “età del turismo”.
Industria “pesante”
Il WTO, l’Organizzazione mondiale del commercio, ha stimato che nel 2015 i ricavi del turismo internazionale ammontavano a 1522 milioni di dollari; a questo dato bisogna aggiungere i guadagni in termini di prenotazioni negli alberghi, sviluppo delle reti stradali, senza dimenticare le agenzie di viaggio e le compagnie aeree. In virtù della sua sovrastruttura così imponente, il turismo è anche l’attività più inquinante: il trasporto aereo turistico produce il 9% dell’anidride carbonica a livello globale. Di fatto la nostra idea di industria è obsoleta perché siamo soliti considerare tali le industrie dei cantieri navali o dei metalli e consideriamo il turismo come un fronzolo post-moderno contrapposto alla struttura “vera” dell’economia reale anche se rappresenta oggi l’industria più pesante: il turismo rientra nel post-moderno perché incarna il superfluo ma la sua materialità lo colloca nella modernità.
Turisti vs viaggiatori
Il turismo si afferma come pratica sociale nell’Ottocento, con il potenziamento dei trasporti e delle comunicazioni. Fu Thomas Cook ad organizzare il primo viaggio intorno al mondo al prezzo di 200 ghinee che durò ben 222 giorni e già Ruskin nel 1849 scriveva di come la ferrovia trasformasse il viaggiatore in un pacco perché egli non era assolutamente in grado di riconoscere le città dalle quali passava col treno. Di qui la necessità di distinguere il viaggiatore dal turista con una accezione negativa riferita a quest’ultimo; i turisti non erano nient’altro che un gregge, una mandria. Tale disprezzo è espresso da Pierre Bourdieu secondo il quale la lotta di classe si manifesta sotto forma di inseguimento di tempo: d’istruzione, dell’acquisto di una automobile, di godimento delle vacanze e tuttavia ogni conquista sociale porta alla svalutazione di tali traguardi come è avvenuto ad esempio coi titoli di studio. Più in generale, più una pratica sociale diventa accessibile alla massa e più si svaluta il prestigio di cui gode. I turisti, ad esempio, diventano l’emblema del diffondersi della pratica del viaggio tra i proletari.
Gerarchia del disprezzo
Del resto la denigrazione dei turisti è un tentativo di convincere se stessi di non esserlo: i turisti trovano sempre qualcuno più turista di loro da detestare; gli americani si sentono superiori ai gruppi uniformi di giapponesi che sicuramente non capiscono nulla della cultura che fotografano e questa necessità di differenziazione risponde all’esigenza di percepirsi in una posizione sociale diversa da quella che occupano gli altri, generando una gerarchia del disprezzo. Già nel ‘500 si prescriveva ai giovani rampolli di effettuare un viaggio di piacere, prima del quale avrebbero dovuto imparare la lingua del posto ed essere affiancati da un maestro che gli insegnasse a riconoscere i monumenti del posto. Un consiglio che veniva loro dato era di portare con sé un blocco da disegno per ritrarre ciò che osservavano. Grazie a ciò si diffuse l’aggettivo “pittoresco” che diventerà fondamentale per il turismo del futuro. A trasformare il turismo in un fenomeno di massa hanno contribuito l’utilitaria prima e i voli low-cost poi. La sua portata mondiale è inoltre testimoniata dai 138 milioni di arrivi all’anno e se si considerassero anche i voli interni, si avrebbe l’immagine di un’umanità perennemente in viaggio.
Paese che vai…
All’inizio il turismo era molto diverso da come lo conosciamo oggi: l’attrattiva turistica di Parigi erano le fogne che rappresentavano, soprattutto per le donne, una promessa di evasione ma questa attrazione per il sotto-mondo traeva ispirazione dal romanzo di Dostoevskij “Memorie dal sottosuolo”; per i turisti che andavano a Miami la prigione di Alcatraz era una tratta obbligata mentre gli americani che arrivavano in Italia, andavano a visitare l’obitorio. La curiosità verso i mondi esotici si affermò col colonialismo e si tradusse nella creazione di zoo, addirittura umani che consentissero alle persone di osservare animali e popoli lontani senza spostarsi. Ma se da un lato gli zoo sono stati declassati in virtù del fatto che sia diventato abbastanza facile raggiungere il Kenya e vedere gli elefanti, dall’altro il turismo sul posto è diventato obsoleto anche per i “selvaggi”: le popolazioni native del Rio delle Amazzoni, ad esempio, indossano copricapo e si tingono la pelle solo per farsi riprendere dal National Geographic o quando arrivano i turisti. In verità le persone hanno smesso di visitare gli obitori non perché non sono più attratte dai cadaveri, come dimostrano il successo dei film horror e dei musei che esibiscono cadaveri di plastica, ma perché questa funzione dimostrativa è svolta dai telefilm come ad esempio CSI che mostrano gli obitori senza bisogno di visitarli. La TV e il cinema svolgono infatti un ruolo fondamentale nell’influenzare le scelte dei luoghi da visitare e quelle dai quali possiamo esimerci dal farlo.
Industria culturale
L’utilità del viaggiatore sta nel confrontare quello che vede con quello che aveva immaginato precedentemente. Ma cos’è che attrae il turista? Per rispondere a questa domanda, nel 1967 Burgrlin elaborò la teoria del “seeghtseein” un neologismo preso in prestito da Cook e che può essere tradotto come “vedere le viste” e che corrisponde alla pratica di visitare luoghi e oggetti di interesse. Nelle sue prime formulazioni, questa teoria esprimeva il disprezzo nei confronti della plebe, affermando che il turista cerca sempre le caricature e mai l’autenticità delle culture e preferisce trovare conferma alle proprie aspettative provinciali. Fu Enzensberg nel 1962 a tentare una definizione meno dispregiativa affermando che l’attrattiva del turismo nasce dal bisogno di fuggire per un breve periodo dai vincoli della società. In questa idea di evasione si può rintracciare quel concetto di “industria culturale” sviluppato da Adorno, secondo il quale questa non nasce dallo sviluppo della tecnica ma dall’alienazione prodotta dal capitalismo nel quale anche il tempo libero e lo svago sono plasmati dal carattere coatto di una società ripiegata su se stessa e il viaggio organizzato diventa l’emblema della totalitarietà di questo sistema. In fondo anche il turismo fa parte dell’industria culturale perché ciò che si acquista è un capitale simbolico ma paradossalmente la liberazione dal mondo dell’industria avviene mediante la creazione di un’altra industria.
Luoghi da visitare
È stato invece Barthes a introdurre un’analisi semiotica delle attrattive considerate non in base alla loro autenticità ma come connotazioni di una serie di miti sociali che lo portò ad affermare che la Spagna veicola una certa idea di “ispanità” che dipende da una costruzione storica rivolta ad una specifica classe, quella agiata. MacCannell riprenderà questa idea in “The tourist” per dire che affinché una cosa si trasformi in attrattiva, deve essere designata da un maker. Il maker è qualsiasi informazione come quelle fornite dalle riviste, dai libri di storia o dagli stessi visitatori e può essere considerata come una freccia che indica qualcosa che deve essere visitato. Il turista stesso che visita l’attrattiva marcata contribuisce a sua volta a creare dei maker come le cartoline che manda o le foto che scatta. Tra maker (significante) e attrattiva (significato) si genera lo stesso rapporto che si crea tra il turista e la sua macchina fotografica tanto che spesso l’atto di guardare soppianta il fotografare. La fotografia può infatti essere considerata come la più platonica forma d’arte. Una considerazione a parte meritano i selfie, gli autoscatti, che oltre a reiterare il processo di marcatura, esprimono il bisogno di lasciare una traccia di sé, del proprio heideggeriano esserci nel mondo. L’industria del turismo si caratterizza per il fatto che la sua produzione corrisponde alla sua pubblicità e i suoi consumatori sono anche i suoi impiegati: le foto che il turista scatta sono il suo viaggio e il mondo che egli vede mentre viaggia è riproduzione che autentifica il manifesto pubblicitario che lo ha spinto a partire.
La città turistica
Lucy Lipard considera il turismo come un obbligo sociale in base al quale ognuno va a casa di qualcuno cosicché questo qualcuno possa andare a casa di qualcun altro e spendere soldi. Questo doppio flusso crea diversi tipi di città turistiche: le stazioni sono costruite appositamente per il consumo dei turisti; le città convertite ovvero luoghi di produzione che devono ricavare uno spazio turistico al loro interno altrimenti sarebbero ostili per i turisti; sono infine turistiche quelle città nelle quali il numero di visitatori annui, supera di gran lunga il numero degli abitanti. In base a tale definizioni sono città turistiche: Kyoto, Venezia, Firenze, Roma ma anche New York se si considerasse il solo quartiere di Manatthan. C’è una soglia che separa la città turistica da una città che vive di turismo e finché tale soglia non viene separata, i turisti usufruiscono di servizi e prestazioni pensati per i residenti. Il suo superamento comporta conseguenze inaspettate e irreversibili: al di sotto di tale soglia, i turisti mangiano nei ristoranti che cucinano per i locali, al di sopra i residenti dovranno mangiare in trattorie pensate per i turisti. Trent’anni fa era praticamente impossibile mangiare male a Roma o a Firenze, ora avviene il contrario: perché un ristorante dovrebbe sforzarsi di cucinare con cura per un cliente che non tornerà mai più?
Nuove forme di reddito
Il mercato dei turisti e quello dei residenti si sovrappongono e divergono: se il residente ha bisogno di riparare le scarpe e un turista ha voglia di snack e il turista spende di più del residente ne consegue che scompaiano le botteghe artigianali e si moltiplichino i fast-food. Ad essere stravolta è anche la funzione degli edifici, come nel caso dell’ingresso nelle chiese che non è più libero e gratuito: cattedrali, moschee e luoghi di culto di tutto il mondo stanno convertendo la loro funzione da religiosa a turistica, così anche i templi di una religione che considera il denaro un demonio diventano accessibili proprio grazie al denaro che maledicono. Il turismo stravolge oltre al paesaggio fisico, quello umano, perché il centro diventa appannaggio esclusivo dei visitatori e i quartieri residenziali diventano una rarità. Più precisamente si sfruttano i palazzi del centro per creare nuove forme di reddito, ne consegue che la proliferazione di stabilimenti e impianti turistici va di pari passo con la scomparsa delle attività produttive. Si ritiene infatti che le città puntino sul turismo per compensare il declino causato dalla deindustrializzazione. L’emblema di tale tendenza è Venezia che nel ‘600, quando la sua potenza commerciale svanì, seppe trasformare il Carnevale in una attrattiva che durava mesi e muoveva persone da tutto il mondo in cerca di divertimento, giochi d’azzardo ma soprattutto divertimenti sfrenati e trasgressione di tutte le inibizioni sociali.
Ribalta e retroscena
Se il turismo è un’industria, i turisti rappresentano il mercato e producono insieme alla città un sistema ecologico complesso: il turista è un bersaglio mobile i cui desideri cambiano alla velocità della luce. Per questo le città devono rimodellarsi continuamente per creare un paesaggio fisico nel quale i turisti desiderino rimanere: fontane, gallerie, sanpietrini e caffè all’aperto, trasformano le città rendendole tutte uguali. MacCannell sottolinea però che l’autenticità è visibile al turista solo se “marcata” o addirittura messa in scena. Questa messa in scena conferisce alla città turistica una teatralità nella misura in cui deve recitare se stessa: così Roma deve trasmettere la sua romanità e Parigi deve corrispondere all’immagine che un americano ha di Parigi. Le invenzioni della tradizione hanno animato tutto il XX secolo: dal palio di Siena a quello di Livorno finché questa tradizione inventata non acquista una sua verità, una sua realtà: il kilt, ad esempio, è diventato davvero il simbolo della scozzesità. I turisti però, sono ben consapevoli di questa messa in scena, ecco perché cercano di andare a vedere il dietro le quinte come nel caso dei mercati tipici nei quali il progressivo disvelamento del backstage allestito diventa uno spettacolo.
Limoni da spremere
Qualcuno aveva sperato che il turismo sarebbe servito ad avvicinare le culture, così come l’invenzione della ferrovia, accorciando le distanze tra i luoghi, avrebbe dovuto mettere fine alle guerre. In realtà i binari sono serviti solo a trasportare le armi e il turismo, più che avvicinare i popoli, li ha allontanati in quanto turisti e residenti si mostrano nei loro aspetti peggiori: i primi sono limoni da spremere approfittando della loro totale ignoranza. Il turismo rende la città invivibile per gli autoctoni, trasformandola in un’enorme Disneyland. La città perde così la sua funzione di moltiplicatrice dei contratti e il turismo come pratica sociale rappresenta un nuovo modo per isolare gli individui che guardano senza vedere, sentono senza ascoltare e si sfiorano senza mai toccarsi in un inseguimento senza fine, alla continua ricerca di makers che gli restituiscano un senso.
Carmen Pupo
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Laureata in Sociologia presso l’università di Catanzaro, Comunicazione, Informazione e Editoria a Bergamo. Prediligo temi che hanno a che fare con l’inclusione e i diritti sociali. Scrivo anche di musica, new media e tecnologia.