“La regina degli scacchi”, ovvero uno degli ultimi successi targati Netflix, con protagonista Beth Harmon, ha aperto un dibattito sul tema del sessismo, soprattutto negli USA, in particolare su una società maschilista e sul ruolo delle donne, a partire proprio da questo sport.
La serie televisiva divisa in sette episodi disponibile dal 23 ottobre è tratta dal romanzo dello scrittore Walter Trevis. La protagonista Beth Harmon, interpretata da una splendida Anya Taylor Joy, rimasta senza la madre, comincia dal basso, ossia da incontri nello scantinato contro il custode dell’edificio per orfani. Impara gli scacchi ed è talmente brava da diventare una grandmaster della disciplina.
Beth Harmon e gli scacchi
Gli scacchi per la protagonista rappresentano tutto. “C’è il mondo intero in 64 caselle”, come dice Beth, che nella miseria dell’orfanatrofio del Kentucky trova tra torri, alfieri e pedoni il suo rifugio e la sua ossessione, il suo strumento di rabbia e riscatto. Spesso, la sera, quando si corica, grazie a dei tranquillanti propinati, che finiscono per divenire una dipendenza, la Harmon fissa il soffitto della sua camera e vede una scacchiera con i pezzi muoversi.

La notte non dorme ma immagina infinite partite, sposta i pezzi con la mente, realizza storie fatte di numeri, di probabilità. Vede le cose per quello che sono: la loro essenza binaria di 1 e di 0. In breve tempo, diventa una delle più brave ed entra in un mondo pieno di uomini repressi, che prima la guardano con sospetto, e che poi se ne innamorano, la seguono, la ammirano.
Tra la fine degli anni ’50, con Harmon bimbetta chiusa e solitaria, e la fine degli anni ’60, con l’approdo al supremo torneo dei Grandi Maestri mondiali da campionessa strepitosamente abbigliata “d’epoca” dal costumista Gabriele Binder, si può assistere a una metamorfosi sbalorditiva. È il periodo della guerra fredda. I russi sono gli scacchisti più bravi e Beth rappresenta l’unica speranza per gli Stati Uniti di vincere qualcosa e ci riesce sconfiggendo tutti i migliori giocatori.
Gli scacchi: un mondo ancora maschilista
Beth Harmon, ne “La regina degli scacchi” è una appassionata di questo sport ed è una delle pochissime donne che si vedono all’interno della serie televisiva confrontarsi nei vari tornei.

A un certo punto della serie televisiva, la Harmon, che è già diventata famosa, viene intervistata da una giornalista. La reporter, più che interessarsi alle capacità della scacchista, pone l’intervista sul piano delle differenze di genere. Quando legge l’articolo, Beth ci pensa e lo dice: “Per me, essere una donna non è un problema. E perché dovrebbe esserlo?”.
La realtà, però, pare essere ancora peggiore rispetto a quello che propone il successo di Netflix. In questa disciplina il dominio maschile sembrerebbe essere ancor più forte. Esisterebbe alcuni studi controversi e discutibili in base ai quali gli scacchi sarebbero un sport per soli uomini. Nient’altro che una mera discriminazione di genere. Ad esempio Judit Polgar è una donna che, nella sua carriera da scacchista, ha sconfitti campioni del calibroo di Garry Kasparov nel 2002.

La Polgar, unica donna ad essersi mai classificata nella Top 10 per il campionato mondiale si è ritirata nel 2014 ma è solo una dimostrazione che questo sport non è riservato ai soli uomini. Judit ha, però, raccontato, durante un’intervista che ha ricevuto commenti non idilliaci da parte degli uomini e, alcuni, non le stringevano nemmeno la mano (gesto quasi obbligatorio in questo sport). Questa è una differenza con Beth. La Harmon, infatti, non solo è ammirata da tutti i suoi avversari, quanto riceve complimenti da chiunque e non le mancano i corteggiatori nel corso della serie televisiva.
I pregiudizi nel mondo degli scacchi
Si sono ipotizzati, in passato, le motivazioni per le quali non sarebbero molte le giocatrici di alto livello in questa disciplina. Kasparov, una volta affermò che gli scacchi non sono nella natura delle donne.
Guardando, invece, al lato femminile, la ragione sembrerebbe più avvicinarsi al pregiudizio che si ha nei confronti del gentil sesso. Nel corso dell’approfondimento da parte del New York Times a Judit Polgar, l’ex giocatrice ha affermato che non solo la società, quanto anche i genitori possono essere da ostacolo alle loro figlie. Per sua fortuna, invece, è stato il padre ad insegnarle questo sport già da quando andava all’asilo. La Polgar ha anche due sorelle maggiori: Susan, che è diventata gran maestro e campionessa del mondo femminile, e Sofia, che è diventata una maestra internazionale.

Nato a Catanzaro il 5 luglio 1989. Dal 2017 è iscritto presso l’Ordine dei Giornalisti sezione Pubblicisti. Ha conseguito nel 2013 la laurea triennale in Servizio Sociale, nel 2016 la laurea triennale in Sociologia mentre nel 2018 la laurea specialistica in Organizzazioni e Mutamento Sociale. Nel 2020 ha ottenuto la quarta laurea in Scienze dell’Economia. Inoltre ha già pubblicato tre volumi di una trilogia di fantascienza.