Oggi più che mai l’attenzione su di sé parrebbe essere la risposta alle incertezze e alle paure derivanti dai rischi di entità non visibili come il virus che sta affliggendo l’umanità in questo periodo del 2020. Il discorso sul benessere di sé, la governance dei propri confini corporei acquisisce nuove modalità di messa in scena. Oggi il consumatore del corpo potrebbe essere considerato una tipologia particolare di consumatore critico che vive una situazione di auto-illusione rasserenante perenne, un edonista dalle virtuali identità plurime.

Consumo critico e biocapitalismo

Questa tipologia particolare di consumatore sintetizzerebbe le due facce del consumo contemporaneo ovverosia quello critico (definibile ancora “di nicchia”) e quello di massa. Seguendo questa impostazione il consumatore del corpo diventerebbe il caso esemplare di ciò che Luc Boltanski ed Eve Chiapello (1999) descrivono nel loro lavoro quando parlano del “nuovo spirito del capitalismo”, o meglio, della sua caratteristica prettamente moderna che gli consente di inglobare movimenti, ideologie e, in questo caso, i consumi alternativi che si pongono in contrasto con le logiche propugnate dal sistema capitalistico stesso.

Il consumatore del corpo sarebbe in definitiva, un consumatore che nasce di nicchia ma che per via della massificazione dei concetti di bellezza e salute raggiungibili da un lato e delle possibilità per ottenerle dall’altro, diventa una condizione basilare del consumatore contemporaneo.

Per comprendere al meglio questa trasformazione, bisogna introdurre il concetto di Biocapitalismo, ovverosia la forma più avanzata del modello economico capitalistico, un sistema che produce valore estraendolo dal corpo inteso nella sua interezza biologica, che agisce sulle dimensioni mentali, relazionali ed affettive degli individui (Codeluppi, 2008, p.7). Agendo in questa maniera, il capitalismo muta, acquista un immagine presentabile che annulla la sua percezione, si fonde con i soggetti con cui entra in contatto insinuandosi nei processi quotidiani fino a determinare forme specifiche di habitus.

Biocapitalismo: verso lo sfruttamento totale
Biocapitalismo: verso lo sfruttamento totale

La marca è ancora valida

Come già citato in precedenza, la novità proposta da questa “nuova” forma di capitalismo sta nell’essere totalmente inglobante. E’ un sistema che, nella sua influenza, trascende dai ruoli sociali e condiziona ogni singolo soggetto facente parte la società, che viene percepito come un potenziale consumatore. Il corpo di questo potenziale consumatore è l’oggetto delle attenzioni delle attuali imprese che istituiscono un sistema imbrigliante in cui il soggetto non può non consumare. Essendo questi un soggetto privo di riferimenti forti, le imprese si propongono come tali offrendo stabilità identitaria attraverso il consumo costante dei prodotti che offrono. L’atto di consumo diventa l’azione principale dell’affermazione dell’esistenza, un esorcismo quotidiano per sfuggire al senso di insicurezza. Le imprese, interfacciandosi con un contesto sociale “fluido” i cui soggetti costituiscono una folla altrettanto fluida, devono adeguarsi e diventare anch’esse fluide.

La strategia comunicativa d’impresa viene definita in questo caso marketing relazionale, ovverosia, la comunicazione d’impresa nei riguardi dei consumatori verte sulla proposta sensazionalistica dei prodotti, ed in particolar modo nei riguardi dei consumatori del corpo, verte altresì alla creazione di veri e propri mondi emotivi dove le marche svolgono il ruolo di creatori e propugnatori di significati.

La marca, nata per dare un volto rassicurante agli oggetti prodotti industrialmente, riesce a interagire simbolicamente con i consumatori poiché è in grado di esprimere una propria storia ed una propria memoria con le quali riesce ad alimentare l’identità dei prodotti stessi.

Bio-branding emotivo

Per chiarire, invece di imporsi in maniera coercitiva, essa cerca di presentarsi con un’identità che comunica la sua intenzione di cooperare con l’individuo per aiutarlo a sua volta a costruire la sua identità, ma soprattutto essa cerca di intervenire sulle emozioni degli individui per sfruttarle a proprio vantaggio.

Nei riguardi soprattutto dei consumatori del corpo, le imprese attuano il cosiddetto bio-branding ovverosia la creazione e la gestione di una marca in relazione all’ambiente in cui si muove il potenziale consumatore, in altre parole, la marca viene letteralmente “cucita addosso” al consumatore che viene mirato, profilato attraverso i social network e reso partecipe di tutte le decisioni inerenti la marca stessa.

Essendo i consumatori del corpo degli individui ambigui[1], le imprese devono interagire con essi proponendo messaggi semplici, diretti, ma soprattutto rassicuranti, devono altresì emotivizzare il potenziale consumatore entrando nella sua sfera d’interesse specifico. Lo scopo, in definitiva, è quello di instillare negli individui attraverso il consumo, quell’esigenza di far emergere la propria individualità, di conquistare più visibilità sociale e allo stesso tempo di conformarsi con i canoni condivisi per evitare esclusione e isolamento.

Francesco D’Ambrosio


[1] Ambiguo inteso come nato in un contesto in cui gli interessi erano esclusivamente salutistici e dunque critico, di protesta, rimasto per lungo tempo una tipologia di consumo di nicchia e solo ora inserito in un contesto di consumo di massa dove si incontra con sua la parte più superficiale tesa alla cura dell’aspetto esteriore.

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