Il termine biocapitalismo è entrato prepotentemente a far parte della discussione socio-politica dei nostri giorni per indicare l’attuale fase di manipolazione e sfruttamento totale ad opera del capitale. Il concetto, di evidente derivazione marxista, venne trattato ampiamente dal filosofo sociale Michel Foucault nei suoi scritti e discorsi sulla biopolitica ed è ora uno degli oggetti di studio e riflessione emergenti nel panorama sociologico italiano. Descrive quella particolare forma di economia politica nata successivamente al fordismo e in parte evolutasi dal toyotismo (in cui sono introdotte la flessibilità della produzione e i ridimensionamenti numerici del personale) che include il capitalismo cognitivo, l’applicazione intensiva delle tecnologie e strategie di comunicazione e lo sfruttamento biotecnologico dei corpi e della psiche.

Biocapitalismo e globalizzazione

Siamo difronte ad una nuova forma di capitalismo?
Siamo difronte ad una nuova forma di capitalismo?

A differenza del capitalismo classico, le nuove forme di sfruttamento non si limitano all’utilizzo della forza-lavoro e ad attingere plusvalore dalla produzione di merci, ma attinge a ogni aspetto e dimensione della persona, della vita, dell’ambiente fino a giungere allo sfruttamento delle parti anatomiche o tissutali dei corpi anche umani (ingegneria genetica, commercio di tessuti, gameti e organi). Sfrutta e trae energia da emozioni, desideri, immaginazione e speranze, persino dalla ribellione contro il proprio assetto politico, produce bisogni indotti sempre nuovi con velocità vorticosa, utilizza i lavoratori così come i clienti-consumatori – chiamati anch’essi a contribuire (esempio sono i vari siti di sharing).  Il biocapitalismo non si adegua a produrre beni e, in particolare, servizi che soddisfino i bisogni correnti degli acquirenti, ma li precorre e li produce, modificando la vita stessa dei consumatori che viene posta a servizio dei propri interessi economici. Il biocapitalismo e la sua sovrastruttura biopolitica non hanno confini e si servono delle molte opportunità della globalizzazione. La barriera tra lavoro e vita privata tende ad affievolirsi (tutta la vita degli individui è a servizio del biocapitalismo) così come quella tra la sfera pubblica e la sfera privata. Il sociologo Vanni Codeluppi fa riferimento a tal proposito a quella che lui chiama la “vetrinizzazione” della vita sociale, specialmente per mezzo dei social network.

Un nuovo umanesimo?

L’analisi delle infinite forme di biocapitalismo e della biopolitica è al giorno d’oggi imprescindibile per chiunque voglia seriamente comprendere la realtà e il divenire storico, dalle macrostrutture fino alla vita psichica e emozionale degli individui e del loro relazionarsi, e la riflessione sulle nuove forme di resistenza auspicabile per fondare un nuovo umanesimo nelle scienze sociali e del comportamento.

Per ulteriori approfondimenti sul biocapitalismo:

Codeluppi V.,  Biocapitalismo; Bollati Boringhieri 2008 e La vetrinizzazine sociale;  Bollati Boringhieri 2007

Bazzicalupo L., Biopolitica. Una mappa concettuale; Carocci 2010.

Foucault M., Nascita della biopolitica; Feltrinelli 2015.

Fumagalli e Morini, La vita messa a lavoro; Franco Angeli 2009.

Hardt e Negri, Impero; Rizzoli 2003.

Barbara G.V. Lattanzi

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