Nel panorama odierno si è circondati di storie. Esplorando gli ambiti della comunicazione ci si accorge immediatamente della presenza di racconti che costellano ogni ambito sociale. Politica, Economia, Religione potrebbero rappresentare esempi lampanti di come le storie costruiscono e decostruiscono la collettività.

Creare storie è una necessità

Ci (ri)conosciamo e ci riveliamo agli altri attraverso la narrazione di storie decostruendo e ricostruendo i simboli che descrivono esperienze individuali e collettive. Raccontare una storia a qualcuno è rendere partecipe l’altro da sé di ciò che non ha potuto vedere di persona. Questa necessità deriva dalla circostanza secondo cui se non si esterna un evento vissuto, quel fatto non è mai accaduto, poiché muore nel testimone.

Attraverso il dispositivo narrativo ogni individuo è capace di evocare realtà da cui qualcun altro può attingere. Gli eventi ascoltati s’immagazzinano nella memoria e, attraverso processi di istituzionalizzazione, si pongono come modello da imitare. L’arte imitativa dell’uomo è, infatti, l’origine e il motore della cultura. Sin da piccoli l’essere umano è portato ad imitare il mondo che lo circonda, e in base a come gli viene somministrato, crea a sua volta un’immagine personale di ciò che vede, alimentando il processo di rinnovamento delle storie.

Berger, Luckman e le storie

Peter L. Berger e Thomas Luckman sono stati tra i primi sociologi della conoscenza a cimentarsi nella creazione di una teoria valida circa le modalità con cui si costruisce la realtà.

Secondo l’approccio fenomenologico usato nel libro, la realtà della vita quotidiana è organizzata intorno all’hic et nunc, vale a dire la posizione spaziale del proprio corpo e quella temporale del proprio presente. La coscienza, essendo dominata dalla pragmaticità, è vincolata ad operare sulle zone accessibili alla propria manipolazione.

La realtà è, inoltre, caratterizzata anche da un altro aspetto, vale a dire l’intersoggettività. Questa condizione che lega indissolubilmente i vari soggetti che compongono un gruppo definisce le modalità e i significati che si co-costruiscono insieme agli altri da sè.

A fornire le oggettivazioni di cui ogni essere umano necessita per interagire c’è il linguaggio, il sistema di segni più importante della società umana. Questo strumento comunicativo è in grado di trascendere l’hic et nunc integrare vari livelli, o zone, della realtà. Parallelamente, però, il linguaggio è anche capace di trascendere la realtà attraverso il simbolo, ponte tra diverse sfere del reale. (Berger, Luckman, 1997)

Lo strumento di comunicazione ancestrale

Sin dalle origini dell’umanità, le prime civiltà hanno trovato nelle storie il mezzo ideale per l’espressione dell’immaginario personale. Concentrandosi in particolare sugli albori della civiltà Occidentale, il mito, letteralmente tradotto dal greco antico “parola” ma anche “storia”, ha rappresentato il mezzo per spiegare l’incomprensibile e, al contempo, ha fornito il modello sociale dell’uomo di quell’epoca. L’ Iliade e l’Odissea, infatti, celebrano due tipi di eroe completamente differente comunicando che il miglior uomo ha precisi valori: l’arte della guerra di Achille, da una parte, e l’intelligenza di Ulisse, dall’altra.

Come nota brillantemente Eliade, infatti, il mito è sempre la storia di una “creazione”, in quanto descrive i processi entro cui si produce e s’istituzionalizza un’azione. La dimensione mitica, descrivendo le irruzioni del sacro (o del “soprannaturale”) nel Mondo, è considerata a sua volta come una narrazione venerabile. Il carattere veritiero è giustificato dalla realtà tangibile a cui fa riferimento, ad esempio, la frequenza di guerre nel territorio greco nel periodo in cui si diffuse attraverso gli aedi l’Iliade, fa capire che essere un ottimo guerriero doveva essere un presupposto per essere visto di buon occhio dagli altri.

Le storie per gli indigeni

Proprio l’etnologo rumeno parla di quelle che gli indigeni distinguono come storie “vere” quei racconti attinenti alle origini del mondo in cui erano presenti solo attori divini, e come storie “false” quelle narrazioni riguardo il periodo successivo a quello mitico, in cui non più nulla è sacro.

La realtà mitica delle storie, quindi, fungeva da guida per la condotta e le attività dell’uomo in quanto nei gesti degli Esseri Soprannaturali è insita una canonizzazione di quelli modelli di comportamento. Rivelare questi esempi riguardanti tutte le attività umane significative, equivaleva a ritualizzare quei comportamenti degli antenati alimentando il valore d’azioni come quella del matrimonio o del lavoro.

A donare una dimensione sacra, o mitica, è lo strumento della recitazione, paragonata da Eliade ad una potente magia. Il tempo e lo spazio circoscritto entro cui si ritualizza il raccontare provoca, infatti, una presenza reale del soggetto narrato.

Le stories moderne

“L’intensificazione della vita nervosa” di cui parla da Simmel all’inizio del ‘900 è un segno evidente di come molte forme mediatiche della società stavano cominciando ad allargare sempre più il proprio campo d’influenza sulla personalità di ognuno. Arrivando ai giorni d’oggi, l’uso sempre più spropositato delle tecnologie comunicative ha permesso l’esplosione delle storie a tutti i momenti della vita, ridisegnando il confine che teneva ancorate le storie a dei momenti precisi, quelli del rituale, rendendo quelle semplici “fantasie”, qualcosa di molto più significativo.

Le logiche consumistiche che, a partire dall’Illuminismo, hanno causato un iper-tecnologizzazione sempre più dilagante hanno decomposto le dimensioni spazio-temporali, facendo dilagare in ogni aspetto della vita quei miti, definibili, ormai “a bassa intensità”. La validità di una storia è data proprio dai suoi soggetti soprannaturali appartenenti a un lontano passato comune. Quest’autorevole verità trasmessa in un tempo e un luogo esatti diventa oggi una semplice abitudine che non permette un’interiorizzazione consapevole all’ascoltatore, completamente immerso in una costante narrazione pubblicitaria. La “bassa intensità”, che non richiede alcuno sforzo emotivo data la sua costante fruibilità in ogni momento o luogo, può considerarsi la caratteristica principale del mito contemporaneo in quanto trova senso nella tecnica che lo incarna. (Ortoleva, 2019)

La distanza tra umani e realtà percepita

Nonostante si cerchi ancora di “recitare” storie per attrarre quanti più consumatori verso la propria attività, l’uso dei mezzi tecnologici ha cambiato radicalmente la somministrazione dei racconti verso l’altro da sé. In luce di ciò che è stato affermato anche in “Cultura orale e civiltà della scrittura” di Havelock, il possibile “remapping sensoriale”, come definito da De Kerckove, avvenuto con la comparsa del segno alfabetico, deve far riflettere su come l’asseto neuronale moderno sia completamente agli antipodi rispetto a quello orale originario.

il sociologo Derrik De Kerkhove

La percezione umana, in questo contesto, è stata completamente sovvertita dalla tecnologia e i suoi strumenti. Si è venuta a creare una distanza tra gli esseri umani e le cose percepite, cioè la realtà circostante e, di conseguenza anche le storie non colpiscono più nel profondo.

Quali sono le vere storie di cui abbiamo bisogno?

Nel panorama mediatico di oggi si è circondati costantemente da informazioni che raccontano qualcosa. In questo maelstrom, volendo ricordare le parole di McLuhan, avere una bussola che indichi chi o cosa ascoltare appare impossibile. Non resta che fare una scelta: divenire uno di quegli individui indifferenti (blasè) di cui parlava Simmel oppure imparare ad analizzare ogni racconto che ci viene somministrato, per evitare di essere trascinati da quella corrente di omologazione, figlia di una “storia capitalistica”.

Dario Caso

Riferimenti bibliografici e sitografici

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