Il bullismo consiste in una serie di comportamenti aggressivi, fisici e psicologici, nei confronti di soggetti che non sono in grado di difendersi. Si basa su tre presupposti: intenzionalità, persistenza nel tempo e asimmetria nella relazione. I ruoli del bullismo sono ben definiti: da una parte ci sono i bulli, coloro che attuano comportamenti violenti, e dall’altra ci sono le vittime, coloro che invece subiscono tali atteggiamenti. I comportamenti violenti consistono quasi sempre in offese, insulti, derisione per l’aspetto fisico, diffamazione, esclusione per le proprie opinioni fino a vere aggressioni fisiche. Il bullismo può accompagnare tutto il percorso scolastico di un bambino: dall’asilo al liceo. In alcuni casi si manifesta in rete, attraverso atteggiamenti aggressivi che vengono messi in atto sui social network, dove il bullo può mantenere l’anonimato, ha un pubblico più vasto e può controllare le informazioni personali della vittima. Ma che cosa induce un giovane a comportarsi da bullo? E, di contro, come si diventa vittima?
Vittime e carnefici
In entrambi i casi incide l’autostima. Il bullo mostra un’alta opinione di sé, combinata a narcisismo e manie di grandezza, ma spesso non si sente realmente così e usa l’aggressività per emergere nel gruppo. In genere ha una bassa tolleranza delle frustrazioni. Le storie dei bullizzati si somigliano un po’ tutte. Zero fiducia negli amici, pochi, pochissimi quelli veri, scarsa autostima e difficoltà a esprimere le emozioni. C’è chi si nasconde in casa, chi rifiuta i contatti, chi mangia di tutto, chi diventa anoressico e chi si fa male da solo. Nei casi più estremi si arriva fino al suicido. Diversi studi hanno inoltre dimostrato che nel passaggio dall’adolescenza all’età adulta, le vittime di bullismo possono presentare disturbi quali agorafobia, ansia, attacchi di panico, psicosi e depressione. In alcuni casi gli stessi disturbi colpiscono anche chi è stato bullo.
Cyberbullismo: violenza 2.0
Il bullismo elettronico (cyberbullying) è un atto aggressivo e intenzionale, condotto da un individuo o un gruppo di individui attraverso varie forme di contatto elettronico ripetuto nel tempo contro una vittima che non può difendersi. Ad esempio, il cyberbullo può perseguitare la sua vittima pubblicando foto, video o informazioni private, creando un’immagine falsa della stessa attraverso un sms o posta elettronica nei social network oppure minacciando ripetutamente la vittima tramite cellulare/tablet/computer connessi in rete. La tecnologia sta modificando il mondo con velocità sempre più crescente, con trasformazioni profonde nella vita di tutti noi. I giovani si evolvono in un mondo che offre loro continui stimoli mediatici e digitali anche attraverso l’accesso ai social network e canali video di ogni tipo.
Attraverso gli strumenti tecnologici sempre più sofisticati e potenti, i giovani comunicano rapidamente abbattendo le distanze e, senza limiti di tempo, spesso incontrando nuove persone, facendo proprie informazioni non sempre verificabili e selezionate alla scoperta del mondo (non solo quello virtuale) entrando, a volte in modo drammatico, anche nella sfera più intima, sia affettiva che sessuale. Sono bisogni che da sempre l’essere umano ha manifestato e che si avvertono indipendentemente dalle tecnologie. Per gli adulti risulta essere difficile comprendere le implicazioni psicologiche, sociali e comportamentali della facilità di comunicazione offerta da Internet, ma per i giovani le interconnessioni tra vita reale e virtuale assumono aspetti normali. Alcune criticità e pericoli tipici del mondo virtuale possono non essere avvertiti come tali ed è un compito importante capire le modalità con le quali le figure adulte quali genitori, insegnanti ed educatori devono affrontare questi temi per creare una responsabilità attiva e partecipe nel corretto utilizzo di canali informativi così potenti e complessi.
Possibili soluzioni
Ma è possibile prevenire? Certamente sì e il ruolo educativo di insegnanti e genitori può fare la differenza. Le terapie per recuperare bulli e bullizzati agiscono nella maggior parte dei casi nel far comprendere come gestire le emozioni. Rari i casi in cui si interviene a livello farmacologico: la relazione umana è il punto di partenza. Il cammino che i ragazzi affrontano una volta arrivati in un centro terapeutico, o perché costretti dalle forze dell’ordine o perché aiutati da genitori e insegnanti, è sempre lo stesso, e varia nella sua durata a seconda dei casi. Prima uno screening del pediatra, poi 6/12 mesi di percorso psicologico, quindi attività che insegnino ai giovani a stare insieme parlando. La differenza di percorso terapeutico tra chi è un bullo e chi è una vittima sta da un’altra parte, in quello che si deve imparare a gestire. Nel caso di chi commette violenza è necessario capire come incanalare la rabbia e apprendere il rispetto degli altri. Per chi è stato preso di mira dalla violenza altrui, il compito è superare l’infinito senso di colpa, difficile da esprimere a parole.
Gianni Broggi