Esiste una via che permetta all’uomo di superare i limiti della propria natura? prima del post e del transumanesimo c’è la via del samurai, il bushido. Lo spirito, nonché la via del guerriero, può essere oggetto di interesse sociologico?
Nella vittoria sulla morte raggiunta attraverso una incessante speculazione sulla finitudine, sulla precarietà dell’esistenza e l’importanza dell’hic et nunc, emerge lo spirito del samurai. La sociologia dell’immaginario ci insegna che indagare le strutture profonde dell’immaginario collettivo serve a comprendere la realtà, o meglio, LE realtà. Proviamo dunque a riflettere su questa figura e la filosofia del bushido. Tentiamo di integrarla con elementi di sociologia, passando per il linguaggio e il significato delle parole per definire le identità.
Che cos’è il Bushido?
Generalmente in occidente il Bushidō viene confuso con le Arti Marziali ma in realtà si tratta di una filosofia che può vedere come espressione la pratica delle arti marziali. Il Bushidō può essere dunque inteso come un codice etico e morale che sottintende ogni aspetto della vita del praticante. La sua espressione tradizionale si erge su 7 principi sui quali il Samurai giurava per la sua intera vita. Questo accadeva a tal punto che ogni aspetto della sua esistenza doveva essere dogmato da quei principi:
- 義, Gi: Onestà e Giustizia
- 勇, Yuu: Eroico Coraggio
- 仁, Jin: Compassione
- 礼, Rei: Gentile Cortesia
- 誠, Makoto o 信, Shin: Completa Sincerità
- 名誉, Meiyo: Onore
- 忠義, Chuugi: Dovere e Lealtà
Spesso si accosta la figura del praticante del bushido al solo samurai, tuttavia ciò non è così. Chiunque può seguire questi principi. Eppure, questa sovrapposizione risulta essere la normale conseguenza di un processo di attribuzione linguistica molto antico, che passa per la scrittura, e che è non solo lontano dal pensiero occidentale, ma proprio tipicamente giapponese.
Una scrittura… visuale?
La scrittura orientale, e per la precisione lo Shodō, l’arte giapponese della calligrafia gioca un ruolo importante per il ragionamento sul bushido. Derivata dalla corrispondente arte cinese (shūfǎ, 書法), nota in Corea come seoye (서예, 書藝) e in Vietnam come Thư Pháp (書法), la parola Shodō è formata da due ideogrammi, 書道, che significano rispettivamente “arte della scrittura” e “via, percorso morale, insegnamenti di vita”. La missione della Calligrafia Giapponese, secondo lo spirito Zen, è di aiutare le persone a raggiungere una miglior sintonia con la parte più profonda del loro essere: tanto più questa sintonia viene realizzata, tanto maggiore è la felicità personale.
Con la scrittura a ideogrammi si cerca un rapporto intimo col sé attraverso una produzione artistica armoniosa, pittorica, un genere di psicologia che parte con una creazione di un dialogo interiore per poi allacciarsi con la realtà del mondo grazie al suo concretizzarsi nel triplice rapporto scrittore-lettore-artista.
Bushido: la parola definisce l’uomo
Per un giapponese il significato delle parole, nonché la scrittura stessa attraverso la realizzazione del suo kanji, non passa solo per un simbolo idiografico. Quello che può sembrare un “semplice” tratto di pennello è un atto di rivelazione di ciò che si è definito scrivendo quel kanji. Si tratta in definitiva di una vera consacrazione della realtà (genjitsu) nella verità (shinjitsu). Detto in altri termini, se in Giappone ci si riferiva a una persona come a un samurai egli era indubbiamente un samurai: non si trattava di un titolo ottenuto per successione nobiliare o simili, ma il riconoscimento di quella persona era assoluto poiché era l’insieme delle caratteristiche insite e proprie del kanji utilizzato. Quella persona poteva non essere un samurai di professione.
Egli poteva essere un mercante o un vagabondo, tuttavia poiché possedeva le caratteristiche idiografiche della parola egli diventava un samurai a tutti gli effetti e sarebbe rimasto tale per sempre.
Il bushido come riscatto sociale
La figura del bushi – ovvero colui che segue le 7 regole del bushido – non è rappresentativo del semplice soldato, ma del vero e proprio maestro, eroe invincibile, che si batte contro ogni genere di ingiustizia. Da qui la mitizzazione e la confusione di questa figura nell’immaginario collettivo mondiale. Tuttavia, proprio questo processo di mitizzazione ha reso questa figura un emblema di riscatto sociale e di miglioramento del proprio status attraverso la lotta contro tutto, persino contro la propria stessa vita per un bene superiore. Il bushi, da questo punto di vista, si presenta come una figura che va oltre i concetti umani di lotta e combattimento.
Egli, infatti, assurge a qualcosa di sopramondano e attraverso un percorso, un viaggio o un’arte decide di alienarsi dalla condizione di uomo per trascendere a un servizio, a una missione. Questa concezione dell’estremo sacrificio di sé è stata capitalizzata nelle nuove ideologie del capitalismo, non solo orientale, in cui il singolo soccombe al sistema. Soprattutto studi afferenti al settore delle risorse umane richiamano – allarmati – all’ordine. Non può essere una direzione da prendere quella dell’annullamento dell’individuo per il benessere del sistema, né tantomeno deve accadere il contrario. Bisogna, al netto di studi e reciproci scambi di conoscenze e filosofie, lavorare in sintonia e sincronia affinché sistemi e persone lavorini insieme ma soprattutto abbiano lo spazio per (auto)definirsi serenamente, senza turbamenti. Il bushido va rispettato e applicato in un’ottica di ben-essere, ovvero va inserito in un’ottica eco-logica di compartecipazione alla società.
Bibliografia
- Dozaki Yoko, Bushido. La via del guerriero, Feltrinelli, Milano, 2020;

Hr specialist, orientatore e giornalista pubblicista laureato in Sociologia con lode. Redattore capo di Sociologicamente.it.
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