Negli ultimi giorni sta facendo discutere molto la proposta avanzata da Matteo Salvini, neo vicepresidente del Consiglio e ministro dell’Interno, di effettuare un censimento sui Rom. Dibattiti accesi hanno trovato spazio all’interno di interviste e programmi che hanno trattato questo argomento alquanto delicato che con la mente ci porta inesorabilmente indietro nel tempo e nella storia. Sicuramente parlare di censimento comporta analizzare vari fattori sia da un punto di vista sociologico sia politico-economico perché comunque si tratta di rilevare dati sulla popolazione in un determinato paese. Ma sappiamo anche che è stato fatto un censimento tra il 1938 e il 1939 sugli ebrei in Italia e quella pagina di storia non è affatto facile dimenticarla. Ma andiamo con ordine, cerchiamo di capire cosa significa censire, perché c’è il bisogno di farlo e come si dovrebbe agire in caso contrario e, più specificatamente, oggi come è visto questo argomento sulla scia dei concetti di razzismo e dei fatti avvenuti in passato.
La storia censita
Censire, dal latino “censere“, vuol dire valutare. Cosa? Si tratta di acquisire informazioni sul nucleo familiare e sui beni posseduti dalla popolazione, quindi raccogliere determinati dati, alcuni dei quali anche sensibili e personali. Le origini dei primi censimenti risalgono addirittura al 3800 a.C. dove i Sumeri effettuavano delle indagini sui propri uomini e sulle cose da loro possedute per quantificare cosa avevano a disposizione e queste informazioni erano molto importanti poiché potevano ritornare utili in caso di guerre e carestie. Ma anche nell’antico Egitto e i Greci effettuavano censimenti. Nell’antica Roma i censimenti venivano effettuati già dalla fine del VI secolo a.C. e servivano anche per valutare la classe sociale di appartenenza, il ruolo nell’organizzazione militare o politica e ovviamente la quantità di tasse dovute. In seguito i censimenti iniziarono ad essere fatti soprattutto nelle terre conquistate così ci si poteva rendere conto di quanta ulteriore ricchezza si disponeva. I primi censimenti moderni, che tengono conto di tutti gli abitanti in uno stesso momento e per tutto il paese, si hanno in Svezia nel 1749 e negli Stati Uniti dal 1790. Il ritmo periodico viene introdotto solo in età contemporanea: i più regolari sono gli Stati Uniti, che eseguono censimenti ogni dieci anni, termine temporale adottato poi in quasi tutti i paesi. Anche il giorno scelto per il censimento è importante: se in passato non si dava peso a questo elemento, oggi si evitano quelle stagioni in cui la mobilità è elevata. In Italia il primo censimento ufficiale risale solo al 1861, dopo l’Unità d’Italia. Da quel momento le tornate censuarie si sono susseguite ogni dieci anni con le eccezioni del 1891, per le difficoltà finanziarie in cui versava il Paese, e del 1941, a causa della guerra. Un’altra eccezione è il censimento del 1936, svolto a soli cinque anni dal precedente a seguito di una riforma legislativa del 1930 che ne aveva modificato la periodicità, subito dopo riportata a cadenza decennale e rimasta invariata fino a oggi (ultima rilevazione: 9 ottobre 2011). A partire dalla sua fondazione, nel 1926, a occuparsi dei censimenti è l’Istituto nazionale di statistica (Istat). Fin qui nulla di strano perché si tratta di raccogliere dati sulla popolazione anche per capire, da un punto di vista demografico, quanti si è, rapporto nascite-morti e ancora varie caratteristiche della popolazione. Ma, in alcuni momenti, non era questo lo scopo ultimo dei censimenti.
Gli effetti oscuri del censimento
Come accennato all’inizio, quando si parla di censimento in ambito storico il primo che viene in mente è sicuramente quello fatto sugli ebrei tra il 1938 e il 1939. Più che censimento, quella fu una vera e propria schedatura degli ebrei. Tale operazione venne fatta subito dopo la pubblicazione del Manifesto della razza a opera del regime fascista. L’obiettivo era quello di monitorare il territorio per capire quanti ebrei ci fossero in Italia. La cosa più agghiacciante è che fu creato addirittura un ufficio apposito per risolvere il “problema” degli ebrei: l’ufficio studio del problema della razza. Fu stilato anche un documento in cui erano evidenziati i punti, o meglio, le caratteristiche che definivano una persona ebrea.
“Agli effetti di legge”:
a) è di razza ebraica colui che è nato da genitori entrambi di razza ebraica, anche se appartenga a religione diversa da quella ebraica;
b) è considerato di razza ebraica colui che è nato da genitori di cui uno di razza ebraica e l’altro di nazionalità straniera;
c) è considerato di razza ebraica colui che è nato da madre di razza ebraica qualora sia ignoto il padre;
d) è considerato di razza ebraica colui che pur essendo nato da genitori di nazionalità italiana, di cui uno solo di razza ebraica, appartenga alla religione ebraica, o sia, comunque, iscritto ad una comunità israelitica, ovvero abbia fatto, in qualsiasi altro modo, manifestazioni di ebraismo. Non è considerato di razza ebraica colui che è nato da genitori di nazionalità italiana, di cui uno solo di razza ebraica, che, alla data del 1° ottobre 1938-XVI, apparteneva a religione diversa da quella ebraica.
Il 22 agosto 1938 venne effettuato il censimento degli ebrei, allo scopo di contare e di schedare il numero degli ebrei residenti in Italia, come presupposto per l’emanazione delle leggi razziali.
Il censimento dei Rom: parliamo di razzismo?
Dopo aver fatto un salto indietro nel tempo e aver capito cosa si intende per censimento e quali sono le sue accezioni, sia positive sia negative, arriviamo al caso oggetto di dibattito di questi giorni: il censimento dei Rom proposto da Salvini. In primis c’è da considerare il fatto che l’Italia versa in una situazione migratoria in entrata alquanto difficile ma questo comunque non dà adito di parlare di razzismo, differenze etniche e altro, anche se per come Salvini ha impostato la cosa, qualcuno ha pensato si trattasse di questo. Lui stesso poi ha ritrattato dicendo di non voler schedare nessuno. Un conto sarebbe capire realmente quante persone ci sono sul nostro territorio e un conto sarebbe innescare sentimenti di odio e appunto razzismo verso questi individui, perché comunque, volente o nolente, se già ora si parla di differenze, si addita chi è nel nostro paese, figuriamoci se davvero si passa a censire queste persone, sarebbe proprio un etichettarli come diversi. Già il fatto che vivono relegati nei campi Rom, nelle periferie delle città, in condizioni igieniche pessime e altro, li porta ancora una volta ad essere considerati diversi. Non a caso Enrico Mentana, uno tra i tanti, si è schierato contro questa proposta che si può considerare anche anticostituzionale e quindi illegale. Vero che alcuni Rom sono un problema per gli italiani, vuoi per rapine, violenze o altro, ma non per questo bisogna fare di tutta l’erba un fascio. La paura è che si possa iniziare con un censimento e terminare in circostanze che già si sono verificate, perché il punto di partenza è lo stesso anche a distanza di tanti anni. Inoltre c’è da considerare il fatto che molti sono cittadini italiani a tutti gli effetti perché nati nel nostro paese, perché quindi considerarli di razza diversa? E voi, siete favorevoli o meno?
Filomena Oronzo
Laureata in Sociologia con specializzazione in Politiche Sociali e del Territorio, ho conseguito un master in E-Government e E-Management nella Pubblica Amministrazione, adoro leggere e scrivere. Per me fare sociologia è vivere il quotidiano in tutte le sue sfaccettature e peculiarità. Oggi sono Collaboratore Amministrativo all’I.R.C.C.S Burlo Garofolo di Trieste e soprattutto moglie e mamma, la più grande ricchezza in assoluto.