La sensibilizzazione contro lo spreco di vestiti potrebbe ridurre, in termini di percentuale e di impatto ambientale, i rifiuti derivati dai capi d’abbigliamento non più indossati. Secondo uno studio realizzato da Movinga e condotto su 20 paesi nel mondo, emergono la triste realtà contemporanea e le contraddizioni della nostra epoca riguardo una sorta di accumulo compulsivo ossessivo che si traduce presto in spreco. Quanti di noi acquistano capi d’abbigliamento che magari non indosseranno mai? Tutto ciò che è destinato a rimanere nell’armadio è destinato ad essere buttato senza essere stato sfruttato. Secondo i dati della rivista Fashion Network, l’Europa mette sul mercato 5 milioni di tonnellate di vestiti mentre ne vengono buttati 4 milioni, con conseguenze devastanti (e magari non immaginate) sullo smaltimento degli abiti e quindi sull’impatto ambientale. Ma cosa si potrebbe fare per ridurre questo inquinamento? I capi d’abbigliamento potrebbero avere una seconda vita ed essere riutilizzati? Si può parlare di sostenibilità ambientale? Come possono essere riciclati gli abiti?

Sostenibilità ambientale: cosa vuol dire?

Nelle scienze ambientali ed economiche, la sostenibilità ambientale è la condizione di uno sviluppo in grado di assicurare il soddisfacimento dei bisogni della generazione presente senza compromettere la possibilità delle generazioni future di realizzare i propri. Questo concetto può essere interpretato anche da un punto di vista sociologico. La sostenibilità è l’interconnessione tra più elementi. L’accettazione del principio di sostenibilità comporta l’interpretazione del bene comune. I beni comuni, o risorse comuni, sono beni utilizzati da più individui, rispetto ai quali si registrano difficoltà di esclusione e il cui consumo da parte di un attore riduce le possibilità di fruizione da parte di altri attori. Oggi il tema dei beni comuni ha trovato un nuovo sviluppo, anche sulla spinta dell’attualità di argomenti quali il riscaldamento globale, l’inquinamento degli ecosistemi.

Il riciclo come bene comune?

Negli ultimi anni si è posta molta attenzione sulla questione del riciclo. Quando oggetti di varia natura vengono buttati, se correttamente smistati, possono rinascere sotto varie nuove forme. La pratica del riciclo può essere considerata un bene comune. Si riduce l’utilizzo di materie prime prelevate dalla natura, risparmiando energia e acqua. Si minimizza il quantitativo di rifiuti indifferenziati da smaltire con notevoli vantaggi per la salute dell’uomo e per l’ambiente. In termini di riciclo, anche gli abiti usati possono essere utilizzati più volte e tale pratica sta crescendo sempre più, raggiungendo consensi non solo tra le persone ma anche in rete. Esistono delle startup create appositamente per lo scambio di vestiti. In questo senso, Armadio Verde è una startup tutta italiana. Nata inizialmente con negozi fisici utilizzati come punti di raccolta e di scambio, Armadio Verde nel 2015 si è spostata sul web. Solo nel 2017, ha stimato un fatturato di 600mila euro, e il dato è in crescita. Una vera e propria azienda con dipendenti e clienti/utenti che una volta registrati possono acquistare a basso costo abiti usati. Gli abiti sono controllati prima di essere messi in vendita e devono rispettare comunque degli standard.

Un risparmio a più livelli

Tutto ciò non è solo da considerare come riciclo a basso costo ma è anche sostenibile: gli utenti possono lasciare i vestiti che non utilizzano più, scambiandoli con altri invece che buttarli. I fondatori hanno dato il via a questo business proponendo dapprima il riutilizzo degli abiti per bambini. Successivamente è stato adottato lo stesso sistema, rivolto però ad un target prettamente femminile. Dopo aver effettuato la registrazione sul sito, viene inviata presso la propria abitazione una scatola di cartone in cui inserire i vestiti che non si vogliono utilizzare più. I capi sono sottoposti a controlli e una volta selezionati e etichettati, vengono fotografi e inseriti sul sito. Per ogni capo approvato, l’utente guadagna un credito in stelline, che rappresentano una moneta virtuale di scambio. Con le stelline guadagnate, è poi possibile acquistare vestiti di altri utenti, scegliendoli in rete. Se l’abito inviato non risponde ai criteri di qualità disposti da Armadio Verde, viene donato in beneficenza a HUMANA People to People Italia Onlus. L’azienda è attenta all’impatto ambientale ed è sostenibile. “Adottando un sistema che punta sullo scambio e dunque sul riciclo dei capi, vengono risparmiate tonnellate di C02 e milioni di litri di acqua indispensabili per la produzione dei capi di abbigliamento. Lo scambio di 180mila abiti costituiti da 25 tonnellate di cotone, 1,5 di lana e 7,5 di fibre sintetiche, hanno consentito un risparmio di 225 milioni di litri di acqua e di 135 tonnellate di C02”.

Un questionario per saperne di più

Rimettere in circolo abiti e accessori che non si usano più, permettendo a tutti di rinnovare il proprio guardaroba in modo sostenibile e a costi bassi, può essere considerato come un fattore positivo in termini di sviluppo sostenibile. Negli ultimi anni si è intensificata sempre di più la pratica del riciclo degli abiti usati. A tal proposito, abbiamo strutturato un questionario per raccogliere dati utili ai fini di comprendere come e se questa pratica possa contribuire a ridurre l’impatto ambientale in termini di sprechi. Il questionario è stato pubblicato sul social network Facebook per 10 giorni e il campione di popolazione è stato casuale. Le percentuali ricavate sono date dalle risposte di 347 soggetti. Il 93,3% del campione è di sesso femminile; il 33,3% ha un nucleo familiare composto da 4 persone, il 24,2% da 3 persone. Questi i dati più rilevanti nella sezione dell’anagrafica del campione. Il fatto che le famiglie siano numerose fa indubbiamente pensare che le spese domestiche, anche per l’abbigliamento, non siano di poco conto. Infatti il 90,9% del campione ha scambiato vestiti usati con qualcuno. Il 54,8% del campione ha scambiato vestiti attraverso la rete familiare; il 25,8% con sconosciuti e il 45,2% con conoscenti. In questi ultimi due casi oltre ai siti come sopra menzionati, si fanno sempre più spazio, soprattutto su Facebook (il 21,2% ha affermato di scambiare vestiti attraverso questo canale) gruppi in cui si scambiano e/o vendono vestiti. Anche in questi gruppi ci sono dei parametri da rispettare. Lo scambio dei vestiti per il 15,2% è stato fatto a basso costo; per l’87,9% senza alcun costo e in questo caso parliamo di donazioni. Il 71,9% ha dato e preso vestiti usati. Questo dato ci fa capire quanto questa pratica stia crescendo e che realmente si risparmia in termini economici come dichiarato dal 100% del campione. Questa pratica è considerata come “riciclo” dal 93,2% del campione e l’84,8% ritiene che con l’intensificarsi della stessa possa diminuire l’impatto ambientale in termini di sprechi.

Filomena Oronzo

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