L’uomo non può avvicinarsi intimamente al suo Dio quando porta ancora con sé i segni della vita profana”. Èmile Durkheim, 1963.

Il rito funebre ha da sempre affascinato ed incuriosito l’uomo, tanto che era (ed è) necessario attuare una serie di gesti e comportamenti socialmente condivisi, riconosciuti, finalizzati ad ottenere un posto rispettoso nell’aldilà, esorcizzando la morte. Era impensabile lasciare i resti di un proprio caro senza alcuna forma di onoranza. Storicamente, già nell’antica Roma, esistevano una sorta d’impresari di pompe funebri e, al corteo, i partecipanti indossavano maschere, presenziavano mimi, danzatori, musici e lamentatrici di professione. Successivamente era consuetudine organizzare una festa con banchetti.

Il rito secondo i grandi autori

Che cosa s’intende per rito? Per rispondere, citiamo alcuni autori. Arnold Van Gennep (1909) ha individuato i riti di passaggio come nascita, iniziazione, matrimonio, morte, determinanti un mutamento dello status dell’individuo all’interno della collettività. Secondo Émile Durkheim (1912) rappresenta un’estasi collettiva che rafforza la coesione tra i membri di un gruppo mediante la distinzione tra sacro e profano, potenziando l’ordine morale; inoltre lo studio dei riti permette di comprendere la società e la sua struttura. Erving Goffman (1973) ha delineato i rituali quotidiani che permettono strategicamente di mostrare la parte migliore di sé nel palcoscenico sociale; mediante i giochi di faccia (1955), il soggetto elabora metodi per mostrare un’immagine coerente che ha di se stesso, cercando di mantenere un equilibrio rituale. Definisce deferenza (ammirazione verso un altro individuo) e contegno (espressione di qualità desiderabili) come riti che permettono la circolarità delle interazioni (1956). A parere di Pierre Bordieu (1982), sono uno strumento di reiterazione dell’ordine e della gerarchia sociale per raggiungere un riconoscimento.

La platealità del dolore

In Italia, il rito funebre è regolamentato dal DPR 285/90 detto anche Regolamento della Polizia Mortuaria; il DPR 14/97 specifica i requisiti strutturali, tecnologici ed organizzativi minimi per l’esercizio delle attività sanitarie da parte delle strutture pubbliche e private; la cremazione e la dispersione delle ceneri del defunto sono oggetto della legge n. 130 del 30 marzo 2001. Le disposizioni legislative prevedono che la comunità venga avvisata della morte, attraverso affissioni in spazi pubblici oppure tramite pubblicazioni sui giornali locali. La costruzione dell’umanità passa anche attraverso la definizione degli spazi, ha asserito l’antropologa Adriana Destro (2002). Esistono differenze tra i rituali funebri del Nord e del Sud Italia. Generalmente concernono la platealità del dolore sotto l’occhio vigile ed attento della comunità. In diverse zone del Meridione, tra cui Campania e Calabria, al verificarsi di un lutto, vicini o amici della famiglia del defunto donano loro del brodo, si usa inserire nella bara oggetti cari, il cosiddetto corredo funebre, fotografie oppure monete per pagare l’accesso in Paradiso. Le vedove “portano il lutto”, ossia indossando vesti nere per un periodo relativamente lungo (Coluzzi, Falciano). La presenza della lamentatrice (o prefica) è finalizzata a rafforzare la manifestazione del dolore con grida e canti. Il defunto viene vestito con l’abito prediletto e, dopo il funerale, i consolatori faranno nuovamente visita ai cari che hanno subito la perdita. Ovviamente, nel corso del tempo, tali azioni plateali hanno subito modificazioni e non sono più così sistematiche, in favore dell’intimità della sfera familiare. Infine ricordiamo l’usanza, tra ‘800 e ‘900, di scattare fotografie ai defunti insieme ai loro cari, sia per mantenere vivo e vicino il ricordo, sia perché non si aveva la possibilità di recarsi quotidianamente al cimitero, visto che era collocato fuori dal centro.

Esorcizzare la morte

Il lutto comporta una serie di interrelazioni tra defunto, familiari del defunto e comunità, determinando una risposta sociale alla morte, ovvero i familiari mostrano disperazione e sofferenza, la collettività interviene in loro soccorso, anche attraverso l’offerta di cibo come, ad esempio, in Sicilia (Mangiameli, 2002). Il dolore mostrato pubblicamente segue una serie di rituali tra dolenti e consolatori. In conclusione, le gesta rituali legate alla morte assolvono sia la funzione di esorcizzarla, sia di garantire al defunto un posto tranquillo nell’aldilà, ottenendo supporto dalla collettività e rispettando il valore della famiglia. In fondo, ironizzando, la morte non è altro che “la conclusione adeguata di un’esperienza” (Turner, 1986).

Arianna Caccia

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