“La teoria della società riguarda una costruzione artificiale, un aggregato di esseri umani che solo superficialmente assomiglia alla comunità, nella misura in cui anche in essa gli individui vivono pacificamente gli uni accanto agli altri. Però, mentre nella comunità essi restano essenzialmente uniti nonostante i fattori che li separano, nella società restano essenzialmente separati nonostante i fattori che li uniscono”.

Ferdinand Tönnies spiega così il concetto di società, contrapposto a quello di comunità, ove i rapporti tra gli individui sono intimi, radicati, basati sulla condivisione concreta di linguaggi, usi e abitudini, simboli e significati. Interazioni profonde e non artificiali, autentiche e ancestrali.

La comunità è un costrutto sociologico, temporalmente collocabile nel periodo pre-industriale, a caratterizzarla è la forte coesione tra i soggetti che la compongono, e lo spirito solidaristico tipicodegli spazi rurali, limitati e circoscritti, dai confini immediatamente individuabili.

Società è quel che nasce dopo. Dopo la solidarietà. Dopo l’intimità. Dopo la coesione. Società è separazione nell’unione. È individualismo e alienazione da tutto quello che è condivisone.

Poco importa se si condividono luoghi, momenti conviviali, intervalli di tempo. La società ha contorni sfumati e impercettibili. Può essere tutto e niente. È l’insieme eterogeneo di individui dissimili o uguali. Non conta il grado di somiglianza. Conta il concetto di utilità.

Ritratto pop art di Ferdinand Tonnies
Ritratto pop art di Ferdinand Tonnies

Tonnies chiarisce ulteriormente i concetti muovendo dal linguaggio comune, nel quale comunità e società appaiono distanti seppur non lontane “ogni convivenza confidenziale, intima, esclusiva […] viene intesa come vita in comunità; la società è invece il pubblico, è il mondo. In comunità con i suoi una persona si trova dalla nascita, legata a essi nel bene e nel male, mentre si va in società come in terra straniera”.

La potenza di questa distinzione deflagra in tutta la sua evidenza nel pensiero sociologico: le relazioni che nascono da volontà umane generano “associazioni”, le quali possono assumere la connotazione di vita reale e organica (comunità, appunto) o come istituto ideale e meccanico (società).

La comunità si configura in 3 forme originarie: di sangue (parentela), di vicinato (luogo) e di amicizia (spirito), accomunate da un tratto sociale caratteristico, un comune sentire, l’indirizzarsi verso medesime finalità e secondo obiettivi condivisi.

l’approccio di Tönnies, ha influito sulle indagini di studio di altri illustri pensatori, uno di questi è Max Weber, che definisce la relazione sociale di comunità “se, e nella misura in cui, la disposizione dell’agire sociale poggia […] su una comune appartenenza, soggettivamente sentita (affettiva o tradizionale) dagli individui che ad essa partecipano”. 

Mentre l’associazione esiste “se, e nella misura in cui, la disposizione dell’agire sociale poggia su una identità di interessi, oppure su un legame di interessi motivato razionalmente (rispetto al valore o allo scopo)”. La società è utilitaristica nel senso più negativo del termine. Funzionale a se stessa. 

Anche Durkheim sviluppa concetti simili distinguendo due tipi di società, in cui prevale un certo tipo di solidarietà, meccanica o organica, indicando nella seconda la tipica società contemporanea, ove si esprime meno coscienza collettiva e l’uomo finisce per sperimentare la dimensione “anomica” dell’esistenza.

Émile Durkheim: il padre della sociologia
Émile Durkheim: il padre della sociologia

Se per Tönnies la volontà è il fondamento della vita sociale, per il sociologo francese ciò che è “sociale” sta alla base delle forme della volontà e della coscienza individuale. La società viene prima della volontà. La società è originariamente costituita. Potremmo dire, costituita di fatto.

La coesione sociale non è il fine o lo scopo delle utilità e dei vantaggi reciproci di un determinato agire, bensì deriva da un riferimento “esterno”. 

Con “la divisione del lavoro sociale”, Durkheim declina i concetti di solidarietà meccanica e solidarietà organica e indica nella prima il legame sociale che si esplica “senza nessun intermediario” a differenza della solidarietà organica che assegna all’individuo una certa dipendenza dalle parti che pongono la società, le quali svolgono tutte specifiche funzioni. Questo genere di solidarietà è prodotta dalla “divisione del lavoro”, che prenderà il ruolo che un tempo era assegnato alla “coscienza comune”. I vincoli sociali che tenevano insieme gli individui in base alla loro uniformità vengono sostituiti da quelli imposti dalla divisione del lavoro.

Durkheim esclude che comunità e società possano coesistere nella medesima società, le considera fatti sociali che devono essere studiati in base al diverso evolversi di tradizioni, consuetudini, regole determinate dal diritto in una determinata stagione.

Alla base di ogni “cosa sociale”, di ogni “fatto” non c’è la divisione del lavoro ma l’autorità morale, la coscienza collettiva. Ecco perché l’ordine sociale è un problema “morale”, dipende dal rispetto dei singoli nei confronti delle norme sociali.

L’autoregolamentazione è alla base della libertà. L’attaccamento e la fedeltà al gruppo costituiscono gli elementi fondamentali per raggiungere la vera libertà dell’individuo. L’importanza delle radici, che la società mette a disposizione attraverso molteplici gruppi: la famiglia, la Patria, l’umanità, che possono coesistere perché rispondono a bisogni differenti.

L’adesione totale al gruppo è una libera scelta, e conferisce all’individuo qualità che lo spingono ad essere solidale, altruista, affezionato, in aperto contrasto con ciò che si configura come esistenza anomica.

Un tempo era la famiglia il gruppo per eccellenza, la contemporaneità dovrà sviluppare gruppi nuovi, nel quale prevalgano ancora i valori e i bisogni di una società che subisce la differenziazione, che si mostra eterogenea e dispersiva, incapace di produrre stessi sentimenti, stessa affezione, stessa coscienza “morale”.

In che modo i tre sociologi, oggi, affronterebbero il dramma del Coronavirus in chiave sociologica?

Comunità virtuali: tra menzogne e voglia di stare insieme

Forse, tutti, richiamerebbero i concetti desueti di comunità, solidarietà e valore. Concetti universali e replicabili su larga scala. Un ritorno alla “normalità civica” fatta di aiuto e sostegno reciproco. Di lavoro condiviso e coscienza morale autentica, non legata ad alcun fine utile, un modo d’agire, per dirlo in weberiano linguaggio, legato al valore e non allo scopo.

La riscoperta di un sentimento comune che induca l’individuo al rispetto delle norme, che lo spinga ad una giusta e doverosa autoregolamentazione, per rispetto e amore degli altri, soggetti appartenenti allo stesso gruppo, divenuto improvvisamente caro, indispensabile, insostituibile. Che sia esso famiglia o Nazione.

E anche la crisi economica che inevitabilmente si abbatterà su imprenditori, lavoratori precari o stagionali, operatori turistici, soggetti economici legati ai settori dei trasporti o del turismo o della cultura, può spingere la mai perduta comunità italiana, fatta anche di milioni di immigrati perfettamente integrati e madrepatria esattamente come ogni altro italiano, a riscoprire valori antichi, utili e anche necessari.

Viaggiare in Italia, mangiare italiano, acquistare dal bottegaio sotto casa, organizzare una partita a bocce nel campetto della parrocchia, studiare insieme e tendersi una mano, un sorriso, un in bocca al lupo in più. Come in una grande comunità di nuovo presente, coesa e coraggiosa.

Per affrontare con disilluso ottimismo un’epoca avara di valori ma ricca di valore. Umano, civile, sociale. Il coronavirus può diventare il “dopo la confusione”. L’inizio di una nuova era, più etica e rurale, forse rudimentale, dove riscoprire il piacere di sorreggersi e di dividere il peso della fatica.

Simona Vitali

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