Nella gran parte del mondo, industrializzato o no, tutti hanno dimestichezza con il concetto di sviluppo. Sviluppo è un termine polisemico, che dopo la seconda guerra mondiale è stato accompagnato dall’aggettivo economico. I suoi sinonimi spesso usati sono progresso, evoluzione, cambiamento, crescita, trasformazione. È un termine tutto occidentale, tanto che in molte lingue non europee per tradurre “sviluppo” sono necessari neologismi o giri di parole. Ad esempio nella lingua wolof del Senegal, per trovare un equivalente di sviluppo si è introdotta una parola che significa “voce del capo“, oppure in una lingua indigena camerunese si definisce  lo sviluppo con “sogno dell’uomo bianco“.

Un po’ di dati

All’inizio degli anni Sessanta, il 20% della popolazione mondiale disponeva di poco più del 65% delle risorse prodotte nel mondo; nei primi anni Duemila, il 15% della popolazione assorbe oltre l’80% della ricchezza mentre in corrispondenza l’85% della popolazione dispone di meno del 20% delle risorse mondiali. Nel 2006, 1 miliardo e 200mila persone, il 20% della popolazione mondiale, vive con meno di 1 dollaro al giorno e quasi la metà della stessa popolazione, quasi tre miliardi, vive con meno di 2 dollari al giorno in termini di potenziale di acquisto. Quasi un miliardo di persone non ha abbastanza da mangiare. Dieci milioni di bambini muoiono ogni anno per malattie facilmente curabili. Un miliardo di persone non ha accesso all’acqua potabile e due miliardi vivono senza sistemi fognari. I mezzi di comunicazione ci informano con cadenza quasi quotidiana su queste disparità, cosi ampie e così evidentemente inique da apparire grottesche, tra la sostanziale indifferenza delle opinioni pubbliche dei paesi sviluppati e addirittura opulenti, la cui preoccupazione principale rimane il loro sviluppo e il loro PIL. Senza parlare poi dei commenti di personaggi di successo che accusano i poveri di non essere sviluppati per causa loro.

L’eredità del colonialismo

La realtà è un altra e ha radici storiche, una storia ancora da finire di scrivere fatta di violenza, in passato più fisica, oggi molto più “mentale”. Il sottosviluppo diventa un problema alla fine della seconda guerra mondiale, ma le radici sono molto più profonde,  si deve partire dalla colonizzazione da parte dei paesi europei. Il colonialismo ha prodotto danni enormi ai paesi dominati, a prescindere dall’intenzionalità di questi danni. In base ai dati statistici si può affermare con sufficiente certezza che, fino alla metà del XIX secolo, lo scarto fra i paesi nei livelli di sviluppo economico e tecnico fosse di poco rilevante. Le condizioni di vita erano in sostanza molto vicine (rapporto 3:1) ma da quel momento in poi la forbice tra l’Occidente e le parti più povere si è fatta sempre più ampia e inaccettabile.

Umberto Catanzariti

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