Il professor Luigi Caramiello, sociologo, docente universitario, cantautore e giornalista, in un’intervista esclusiva concessa a Sociologicamente, ci spiega quali meccanismi sociali subiranno mutamenti in conseguenza della pandemia da Coronavirus

Professore, una prima domanda: riguardo ad una situazione del genere, esiste già una letteratura sociologica, o siamo di fronte ad un evento unico?

“C’è da dire che le epidemie flagellano l’umanità da sempre e la letteratura ne ha sempre narrato. Dalla tradizione greca, all’epica classica, fino al Decamerone, ai Promessi sposi, per fare solo qualche rimando, fra i più celebri. E questo ben prima della nascita delle moderne scienze sociali.  Una situazione  epidemiologica paragonabile potrebbe essere quella che ci fu con l’influenza spagnola, anche se il contesto storico era assai    diverso, per via di una concomitante  guerra mondiale, ma si possono cogliere alcune analogie.  Per il resto in rapporto all’attuale  pandemia, siamo in una situazione analoga a tutte le altre epidemie  del passato: è un’infezione nuova, che non conosciamo affatto,non abbiamo ancora un farmaco completamente efficace,e per contrastare l’infezione possediamo pochissime armi, a parte quella di evitare i contatti fra le persone, attraverso il “distanziamento fisico” (distanziamento “sociale” è un’espressione che tendo ad evitare) proprio come si faceva anche  nel Medioevo. Certo ora disponiamo di conoscenze in campo medico, scientifico, incomparabilmente più avanzate e questo fa ben sperare, anche per la scoperta di una cura, di un vaccino. Allo stesso tempo dobbiamo  fare i conti con un nuovo modo di funzionare della dimensione psicologica collettiva. Nell’epoca attuale, siamo assai meno abituati alla realtà manifesta  della morte. Prima,meno di un secolo fa, la metà dei bambini morivano, senza raggiungere l’adolescenza, l’aspettativa di vita media era di 25 anni più bassa, insomma la morte era un fenomeno molto più “familiare”. Con lo sviluppo sociale, la modernizzazione, la morte è quasi scomparsa dalla vita quotidiana. Venendo persino rifiutata, messa sullo sfondo, “nascosta”.Le nostre società contemporanee avevano compiuto  quasi una rimozione psicoanalitica del fenomeno. Con il Covid-19 siamo messi però nuovamente ed in modo brutale di fronte a questa antica, ineluttabile  realtà, e se non passerà presto credo lentamente riprenderemo ad abituarci”.

Il professor Luigi Caramiello

In questo senso la religione aiuta?

“Sicuramente. Questa dimensione che viviamo di minaccia immanente, di sensazione di  pericolo,di consapevolezza della nostra fragilità  davanti  al mistero sublime della vita e della morte,  pone la religione, parlo innanzitutto del Cristianesimo, in una condizione più autentica: la restituisce alla sua funzione insostituibile di dispositivo spirituale, di guida morale, di supporto emotivo, di fede, ovvero di una  visione capace di fornire risposte ai dilemmi esistenziali più profondi, alle questioni  di natura  ontologica che sono essenziali per l’uomo e per l’equilibrio generale della società. Alla scienza invece compete di agire quale  dimensione capace di mettere in moto i meccanismi volti alla risoluzione del problema nell’immediato.

Quindi trovano un compromesso?

“Non so se è la parola più appropriata. Fra fede e ragione non vi è contraddizione. E quindi non è necessario stipulare compromessi. Certo, se durante  la peste nel ‘600 il popolo  costrinse il cardinale a organizzare una grande processione contro l’epidemia,causando un aumento delle persone malate, oggi invece il Papa parla da solo in piazza San Pietro, perché è ben consapevole che l’assembramento produce contagio. Ma resta un’immagine forte di vicinanza morale per ogni uomo. La scienza fa ricerca, fornisce dati, informazioni, e la religione agisce assai utilmente come apparato simbolico, concettuale, culturale, speculativo e dottrinale. Ma anche come dispositivo di solidarietà. Possiamo dire che entrambe sono nella condizione di espletare molto bene la loro funzione sociale. In questi giorni sono caduti sul lavoro, molti medici, infermieri, operatori sociosanitari, ma sono morti anche parecchi sacerdoti, al lavoro nelle mense per i poveri, nell’aiuto ai senzatetto ai bisognosi  e in tante altre situazioni.

Bene. Veniamo all’Italia: come sta reagendo a livello sociale?

L’Italia è un paese formidabile, laboratorio storico della tecnica e della cultura,officina perenne del sapere,della scienza, dell’arte, della filosofia e del pensiero. Anche in questa situazione sta rispondendo in maniera formidabile alla crisi: dalle scuole alle Università, tutto si sta trasferendo online.  C’è qualcosa che non può ovviamente essere smaterializzato,  non ci sarà mai una totale sostituzione degli atomi con i byte,  come diceva con leggerezza Negroponte, tendo ad escludere che un giubbotto virtuale possa proteggerci dal freddo o che una foto di spaghetti ad alta definizione possa placare la fame di qualcuno, ma sicuramente la tecnica per costruire i vestiti o quella per preparare i cibi, possono, in una certa misura, essere trasferite anche non necessariamente “in presenza”. Insomma, quello che è smaterializzabile, deve passare sulle piattaforme on line. Penso all’insegnamento, in gran parte sta già avvenendo con risultati notevoli, persino superiori alle aspettative. Certo, manca la prossemica, la “fisicità” del dialogo,la corporeità della comunicazione, e questo ha una valenza per certi aspetti limitante, ma è un altro discorso”. 

E il mondo? La globalizzazione è in crisi?

“Partiamo da un presupposto: la globalizzazione è sempre esistita. Si è sempre viaggiato per commercio ed  affari nel mondo, ad una velocità diversa da oggi, ovviamente. Ma, in percentuale al volume di allora degli scambi totali, il pianeta nell’età coloniale era già globalizzato quasi come adesso. Le” catastrofi” epocali, le trasformazioni radicali,  in questo ambito, si sono prodotte, certamente, ma sono di altra natura. Io parlai di globalizzazione, nel mio “Il Medium Nucleare” già 35 anni fa, quando la parola non esisteva nel vocabolario corrente e delle scienze sociali. L’immagine del pianeta nella sua globalità, trasmessa dal satellite sul nostro schermo televisivo, ci offriva una prospettiva ignota a qualsiasi essere umano delle precedenti generazioni. Un’immagine “celeste”, lasciava i territori della metafisica e si mondanizzava sotto i nostri occhi. E quegli stessi satelliti possono ricevere il segnale del pulsante atomico che metterebbe fine alla storia umana. Più globalizzati di cosi?  Detto ciò ovviamente, abbiamo assistito a tanti altri cambiamenti, per esempio nei trasporti aerei, e se nelle epoche passate  un virus impiegava mesi, anni, addirittura decenni a fare il giro del mondo e  raggiungere tutti, oggi lo fa in poche ore. Ma è vera anche un’altra cosa: grazie alla “globalizzazione” tutti gli scienziati del pianeta stanno collaborando per trovare un farmaco adatto, e questo accorcerà ovviamente i tempi. La globalizzazione ha anche ridotto la povertà assoluta, in campo mondiale, dall’80% (degli anni ’60) al 9% di oggi. Sebbene la popolazione sia passata da 3 miliardi a 7,5. La globalizzazione è un fenomeno assai complesso, non credo che si arresterà a causa del virus”.

Il mondo subisce da sempre cambiamenti,  ma si parla di questa pandemia come di una nuova frattura storica. Ci sarà un pre e un post coronavirus?

Sì. E’ una ferita assai seria, che non si rimarginerà molto presto e di cui resteranno vistose cicatrici. I solchi che lascerà saranno tanto più profondi  quanto più a lungo durerà  l’epidemia,  prima di trovare un farmaco e soprattutto un vaccino. D’altronde i dati delle previsioni economiche sono chiari: l’Italia, con il suo bilancio malandato, rischia di chiudere con meno 5 punti di Pil (ma è una previsione ottimistica), gli Usa con 30 milioni di disoccupati. Senza parlare della perdita di vite umane. E’ uno scenario comparabile a quello seguito al venerdì nero di Wall Street. E pensare che il mondo stava faticosamente uscendo dalla bufera economica cominciata nel 2007. Ci aspettano tempi molto duri”.

La società è pronta professore, in definitiva, a reggere questi eventi?

“E’ come chiedere: siamo pronti a morire? Non siamo mai pronti a morire, ma quando è il momento, anche senza avere una preparazione specifica, riusciamo tutti  a farlo, molto bene. Non conosco nessuno che non ci sia riuscito. Nella vita, a volte, bisogna fare  di necessità virtù”.

Danilo Zanghi

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