Il distanziamento sociale è comparso inaspettato nelle nostre vite. La sua necessità di ridefinire lo spazio umano, sta creando un nuovo modo di percepirci. Un processo che sta avviandosi verso una ridefinizione della struttura politica, sociale ed economica. Ma cosa si sente se guardiamo in profondità? È come se sentissimo sottopelle una trasformazione, che fa vacillare ogni certezza.
Il nostro corpo, sta ricevendo impulsi programmati. L’esistenza sta mutando. Un po’ come a pensare, che fino ad oggi, ognuno di noi si muoveva su di un filo, che con equilibrio perfetto reggeva ogni nostro movimento. Un andamento parallelo in confronto a variabili, di cui non avevamo chiara la conoscenza. Il filo d’improvviso si è sfaldato, intersecando l’inaspettato. Il risultato, un groviglio complicato. Il coronavirus, ci ricolloca in una dimensione rovesciata, dove ci riscopriamo spettatori di un video gioco. La libertà di movimento di ogni nostro arto, è adesso sottoposta a regole rigide, e necessarie per la sopravvivenza. Dinanzi a noi, uno scenario composto da tasselli. Per ognuno, indicatori sociali che destano sorpresa.
L’aspetto da approfondire dunque, è che la pandemia da Covid19, insieme al suo corpo drammatico, ci pone dinanzi ad una ridefinizione di noi stessi. Sembra quasi ad immaginarci fuori dal nostro corpo, ad osservarci in un disegno sfregiato della sua bellezza, il desiderio di ricomporne l’identità, con colori rinnovati. Protagonista della notevole percezione, la nostra fragilità.
Un accorgimento delicato. Sembra quasi di pensare che finalmente, ne possiamo accogliere la robustezza. “Quando sono debole, è allora che sono forte” (Cit.) In questa chiave di lettura, è un po’ come se stessimo assistendo, in un tempo di privazione di libertà, alla proclamazione di una forza vitale, che negli ultimi vent’anni era stata negata. L’esistenza umana si stava orientando in modo quasi sproporzionato, verso un modello di finta perfezione.
In esso, la fragilità era letta in maniera debole. Una rappresentazione di fallimento, del temperamento dell’uomo. La paura del coronavirus è come un uccello di fuoco. La fenice ha doppia ala, di cui una, diventa l’opportunità di riappropriarci del disegno corporeo e spirituale, che potrà risorgere nell’equilibro esistenziale. La risposta, diventa così l’attenzione da rivolgere alla nostra intimità, in uno stravolgimento mondiale di destrutturazione delle relazioni. Questo è il momento per centrarci.

Riconoscere che la fragilità non contiene inadeguatezza, ma porta con sé una grande robustezza. Essa ci può guidare ad una riappacificazione con noi stessi, con gli altri. Un percorso non semplice, eppure l’attenzione al tempo sospeso, può diventare seconda possibilità dell’universo. In una società rivolta alla velocità, la pandemia, diviene un’esperienza umana rivolta alla comprensione, all’ascolto silenzioso. Una ricomposizione del legame con i luoghi, con lo spazio che abitiamo. Metterci a confronto con essi, ci rende aperti alla resistenza ed al riadattamento. In questo modo può accadere la riscoperta, il ritrovamento della propria identità.
Aprire la strada ad un nuovo cammino che da linfa al corpo (soma), da esso, la fioritura dell’anima (anemos). L’incontenibilità della pandemia diventa l’apertura per la rivoluzione interiore. La privazione di libertà, quasi per paradosso, ci sta restituendo una nuova libertà. Quella che ci vede stappati dalla centrifuga in cui eravamo succhiati. In corsa, frenetici. Un tempo veloce, in cui siamo giunti a non riconoscerci l’uno con l’altro. Lontani emozionalmente dalla vita. Esseri che dinanzi ad uno spazio di ozio, sentivano il fardello in risalita. La tensione del dovere, per contro, il “tempo perso”. Eppure quello era il tempo produttivo. La bellezza vissuta ad ammirare un paesaggio. Il flusso di fascino ad osservare una fotografia, un luogo, un incontro, un bacio, un abbraccio. Oggi non possiamo baciare, non possiamo abbracciare, non ci possiamo toccare.
Non ci è concesso interpretare una vibrazione, che nasce da un ritrovo di pelle. Ci viene negata la danza di strette di mano. Il covid19 può così diventare nei suoi impedimenti irragionevoli, immeritevoli, implorati, la redenzione. Possiamo ritornare ad ascoltare. L’anemos (anima), difatti è il vento. E come un vento che ci arriva allo spirito, per soffiare via tutto quanto ha impolverato la bellezza. Una specie di salvezza che ci libera dall’annientamento. Una chiave di interpretazione profonda, è quella che possiamo estrapolare dal simbolismo del coronavirus. Una nuova rivelazione dello stupore, e della grazia che ci ha reso parte della meraviglia del creato.
La traumaticità del tempo che stiamo vivendo, può diventare opportunità di abbandono di una parte di noi, raccogliendo il germoglio di quella che resistendo, si sta irrobustendo. Pronta per ricominciare, in un riconoscimento che scandisce essenzialmente la distanza fisica. L’essere umano, porta con sé il vivere sociale, che ritornerà a condividere.
Rosa Di Girolamo