Nel 2016 in Italia i casi di cyberbullismo sono aumentati in maniera preoccupante, di circa l’8%. Anche il fenomeno del sexting è in crescita costante: i dati mostrano che un adolescente su 4 lo ha praticato in un’età compresa tra gli 11 e i 12 anni.
Cyberbullismo e sexting
Con il termine cyberbullismo intendiamo una delle forme che può assumere il bullismo, e la sua evoluzione è legata all’avanzamento delle nuove tecnologie. Viene cioè perpetrato attraverso i moderni mezzi di comunicazione. Il sexting invece è il fenomeno che riguarda l’invio di testi o immagini sessualmente esplicite tramite Internet o telefono cellulare.
Nel corso del seminario promosso dalla Regione Lombardia “Parlare di sexting a scuola – Un fenomeno da monitorare”, in collaborazione con l’Ufficio scolastico regionale, Pepita Onlus e Casa Pediatrica Fatebenefratelli-Sacco, si sono resi evidenti alcuni dati preoccupanti sul tema. Luca Bernardo, direttore della Casa pediatrica Fatebenefratelli-Sacco di Milano – che nel 2016 ha curato 1.200 pazienti di cui l’80% sul disagio adolescenziale collegato a Internet, e di questi il 35% dovuto al cyberbullismo – afferma con forza: “I dati ci dicono che su questi fenomeni la situazione non sta migliorando. Serve prevenzione, informare e formare famiglie, scuole che possono essere gli indicatori spia”.
L’uso improprio delle nuove tecnologie
Secondo i dati relativi al 2016 dell’Osservatorio nazionale adolescenza (Pepita Onlus), su un campione di oltre 7.000 adolescenti provenienti dalle diverse regioni d’Italia, il 4% dichiara di aver fatto sesso inviando foto e video su WhatsApp, sui social network oppure telefonicamente; il 6,5% ha fatto sexting e il 2% invece ha fatto sesso davanti ad una webcam. Il 10% degli adolescenti ha fatto selfie intimi o senza vestiti.
Durante il seminario ha portato la sua dolorosa testimonianza anche Paolo Picchio, padre di Carolina che a 14 anni si è uccisa per la vergogna di un suo video a sfondo sessuale diffuso in rete. Paolo Picchio ha affermato:“Serve informazione per riconoscere il fenomeno perché le vittime sono colpite nella mente e non nel corpo e spesso famiglia e scuola non se ne accorgono”.
Rino Carfora