La sociologa Sarah Thornton ha pubblicato nel 1998 il saggio Dai club ai rave: musica, media e capitale sottoculturale, rielaborando le concezioni di gusto e di capitale culturale e simbolico forniti da Pierre Bourdieu nel saggio La distinzione: critica sociale del gusto (1983).

Gusto, capitale culturale e capitale simbolico

Se con gusto si intende “la propensione e attitudine all’appropriazione (materiale e/o simbolica) di una determinata classe di oggetti o di pratiche classificate e classificanti” (ivi, p. 179), il capitale culturale consiste invece nell’insieme di competenze, di capacità del “saper fare” e di espressione sviluppate nel corso della propria socializzazione di classe.

Pierre Bourdieu
Pierre Bourdieu

L’autore chiama capitale simbolico, infine, “ogni specie di capitale (economico, culturale, scolastico o sociale) quando è percepita secondo categorie di percezione, principi di visione e di divisione, sistemi di classificazione, schemi tassonomici, schemi cognitivi che siano, almeno in parte, il risultato dell’incorporazione delle strutture oggettive del campo considerato, ossia della struttura della distribuzione del capitale nel campo considerato” (Bourdieu 1995, p. 144).

Le culture dei club come culture del gusto

A partire da queste nozioni, dunque, Thornton arricchisce il campo della sociologia della musica con due nuovi concetti: le culture del gusto e il capitale sottoculturale. Grazie alle ricerche etnografiche svolte nei club di dance music, le interviste condotte con i professionisti del settore (giornalisti, PR) e l’approfondita analisi testuale dei media presi in considerazione (volantini, rubriche degli spettacoli, fanzine), l’autrice fornisce un quadro completo delle relazioni intercorrenti tra i media e la cultura dei club. Con quest’ultima ella si riferisce all’“espressione colloquiale con cui si indicano le culture giovanili, il cui asse simbolico e cardine nella vita sociale è rappresentato dai locali notturni e dalle loro risultanze degli anni Ottanta, i rave” (Thornton 1998, pp. 13-14).

Sarah Thorton
Sarah Thorton

Secondo l’autrice, le culture dei club sono culture del gusto, in cui i frequentatori dei locali si riuniscono sulla base di un gusto musicale condiviso, del consumo degli stessi media e, cosa più importante, della preferenza per gente con gusti simili ai propri. Le culture dei club sono inoltre disseminate di gerarchie culturali. Per questo, il suo intento è quello di studiare tre distinzioni principali: autentico versus fasullo, “hip” versus “mainstream”, “underground” versus “media”.

Autentico versus fasullo

In primo luogo, la musica viene percepita come autentica quando suona vera, o viene sentita come vera, cioè quando si presenta come genuina. In un’ottica insieme weberiana e adorniana, l’autenticità musicale è vista come una cura sia contro l’alienazione sia contro la finzione. Nella cosiddetta epoca della riproducibilità tecnica dell’opera d’arte, con la proliferazione delle registrazioni in studio, si assiste all’ascesa del concetto di “musica dal vivo”: presenza, visibilità e spontaneità diventano valori da perseguire. Di pari passo, tuttavia, i dischi – sottoposti ad un processo di assimilazione e di integrazione – sono diventati parte della cultura e sono stati “autenticati”. In altre parole, l’autrice afferma che “una forma musicale è autentica quando diventa parte sostanziale di una sottocultura o parte integrante di una comunità” (ivi, p. 46).

Gli sviluppi tecnologici, infatti, rendono possibili nuovi concetti di autenticità. Ciò che rende autentiche le culture dei club, dunque, è l’interazione di dischi, dj e pubblico. Thornton parla in particolar modo di due tipi di autenticità: “il primo tipo di autenticità (artistica) riguarda questioni relative all’originalità e all’aura, questo valore è controllato in modo più forte dai dj”, ovvero l’autore musicista, “il secondo tipo di autenticità (sottoculturale) riguarda l’essere naturale per una comunità o proprio di una sottocultura” (ivi, p. 48) e si basa sul musicista nella misura in cui lui o lei rappresentano la comunità.

“Hip” versus “mainstream”

In merito all’opposizione “hip” (la parola deriva dal linguaggio “jive” nero, in cui l’espressione “to be on the hip” significava essere un fumatore d’oppio, per poi acquisire successivamente una connotazione più generale, significando più semplicemente “essere al corrente”) versus “mainstream”, Thornton rimprovera ai Cultural Studies, ed in particolare a Dick Hebdige (1995), di aver concepito il mainstream come borghese e la sottocultura giovanile come avanguardia artistica.

Multiculturalismo? No, grazie! Le migrazioni tra odio, populismo ed esclusione sociale

Ella propone invece di studiare il mainstream in quanto elemento importante della “struttura sociale incorporata dai giovani (Thornton 1998, pp. 131-132). Una funzione del mainstream è quella di contribuire al senso di comunità e di un’identità condivisa. Il mainstream può essere analizzato, secondo questa prospettiva, come “un modo potente di collocarsi all’interno del grande quadro, di pensare il proprio mondo sociale, di affermare il proprio valore culturale, di proclamare il proprio capitale sottoculturale” (ivi, p. 151).

“Underground” versus “media”

Vi è, infine, un terzo punto affrontato da Thornton: l’opposizione “underground” versus “sovraesposizione massmediatica”. Innanzitutto, “underground” è l’espressione con cui coloro che ascoltano musica da club si riferiscono ai beni sottoculturali, è una costruzione nebulosa e si definisce in opposizione al “mainstream”. Il capitale sottoculturale dell’underground è dotato di un’obsolescenza intrinseca, per poter conservare il suo status non solo come prerogativa di chi è giovane, ma anche di chi è “hip”. Questo è il motivo per cui i media sono decisivi: essi sono i principali propagatori di questo capitale passeggero. Le sottoculture, infatti, “non germinano grazie alla loro energia vitale e non si sviluppano in misteriosi movimenti per essere solo in seguito digeriti dai media. Piuttosto, i media e le altre industrie culturali sono presenti ed efficaci fin dall’inizio. Sono centrali nel processo di formazione delle sottoculture” (ivi, p. 156).

In opposizione agli studi che sostengono che le sottoculture giovanili sono sovversive fino al momento in cui vengono rappresentate dai mass media, Thornton sostiene che le culture del gusto diventano politicamente rilevanti solamente quando vengono inquadrate come tali. I media, infatti, agiscono come beni simbolici che conferiscono distinzione sociale, ma anche come una rete o un’istituzione simile al sistema scolastico, per il modo in cui essi “creano, classificano e distribuiscono la conoscenza culturale” (ivi, p. 203). Il capitale sottoculturale, dunque, mantiene il suo valore di scambio (o valore culturale) solamente grazie alla sua circolazione mediante i mezzi di comunicazione.

Il compito della sociologia della cultura

L’autrice non dipinge le differenze e i processi di distinzione sociale come forme di “resistenza” alla gerarchia, come nell’analisi di Hebdige, né al dominio culturale di una classe dominante, come in quella di Bourdieu. Essa piuttosto afferma che la logica sociale di questi processi è tale da permetterne l’analisi come forma di capitale sottoculturale. Questo ultimo, in definitiva, è inteso come “i mezzi con cui i giovani negoziano e accumulano una posizione all’interno dei loro mondi sociali” (ivi, p. 212). I mezzi di comunicazione sono sia beni simbolici sia parte della condizione materiale dei gruppi sociali. Essi sono fondamentali per il processo popolare (inteso come “amato”, “preferito”, “approvato”) della distinzione, il cui perno verte – per i giovani – intorno ai gusti, in particolar modo il gusto musicale.

Sottoculture giovanili

Le sottoculture giovanili sono, dunque, soprattutto sottoculture musicali, o sottoculture del gusto, che si fondano sulle pratiche culturali e sulle conoscenze degli attori sociali che si identificano come appartenenti ad esse. Sono la risultante dei processi di differenziazione e classificazione sociale attuati sulla base delle preferenze nei gusti che a loro volta sono il prodotto dei segni distintivi di uno stile di vita socialmente determinato. Le differenti posizioni assunte all’interno dello spazio sociale dipendono, inoltre, dai tipi e dalle quantità di capitale sociale che gli individui possiedono.

La massa di giovani durante un rave party
La massa di giovani durante un rave party

Il capitale sottoculturale o simbolico, in particolar modo, si consolida nell’incorporamento di valutazioni e valori che legittimano lo status quo. Diviene allora compito della sociologia della (sotto)cultura smascherare le disuguaglianze sociali – che siano esse tra classi dominanti e dominate, o che rifuggano questa dicotomia – e della sociologia della musica, grazie allo studio delle forme e dei contenuti musicali, indagare non solo l’autenticità della musica, ma anche le condizioni sociali inscritte in essa.

Marina Borodi

Bibliografia

  • Bourdieu P. (1983), La distinzione. Critica sociale del gusto, Il Mulino, Bologna.
  • Bourdieu P. (1995), Ragioni pratiche, Il Mulino, Bologna.
  • Hebdige H. (1995), Sottocultura. Il significato dello stile, Meltemi, Milano.
  • Thornton S. (1998), Dai club ai rave. Musica, media e capitale delle sottoculture, Feltrinelli, Milano.
Print Friendly, PDF & Email