Pierre Bourdieu (1998) asseriva che il dominio maschile sulle donne fosse la più antica e persistente forma di oppressione presente. A questo punto anche futura. Infatti, nel 2016, In Italia, 149 donne sono state vittime di omicidi volontari: quasi 3 su 4 sono stati commessi nell’ambito familiare. Le differenze di genere risultano sostanziali: nel medesimo anno, circa il 16% dei maschi vittime di omicidio si collega al contesto parentale (Fonte: Istat, 2017).

Alle origini del femminicidio

Che cosa s’intende per femminicidio? Il termine è salito alle cronache per un fatto risalente al 1992, a Ciudad Juàrez, al confine tra Messico e Stati Uniti: 4.500 donne scomparvero, 650 violentate e brutalmente assassinate, poi i loro corpi martorizzati vennero abbandonati nel deserto, sotto l’indifferenza generale. Fu l’antropologa Marcela Lagarde a coniare tale neologismo. Eccone una definizione esaustiva (Spinelli, 2008): “Ogni pratica sociale violenta fisicamente o psicologicamente, che attenta all’integrità, allo  sviluppo psicofisico, alla salute, alla libertà o alla vita delle donne, col fine di annientare l’identità attraverso l’assoggettamento fisico o psicologico, fino alla sottomissione o alla morte della vittima nei casi peggiori. Violenza fisica, psicologica, economica, istituzionale  rivolta contro la donna, in quanto donna, perché non rispetta il ruolo sociale impostole”.  L’uccisione della donna è l’atto ultimo di un continuum di violenza di carattere socio-economico e psico-fisico (Fonte: Casa Internazionale delle Donne, 2013). Non a caso, è stato stimato che nel corso della propria vita quasi una donna su tre abbia subìto una forma di violenza fisica o sessuale (Fonte: Istat, 2014). Circa il 9% delle lavoratrici attuali o passate hanno subito molestie o ricatti sessuali sul posto di lavoro: 1 milione e 403 mila donne (Fonte: Istat, 2015). Basta pensare al recente caso del produttore Weinstein accusato di molestie da numerose attrici, poi unite ad altre donne, grazie al movimento #meetoo che ha sdoganato in rete altri racconti di orrori subiti.

Fatti globali

Una piccola parentesi per lo sfregio con l’acido: questa “pratica” è originaria di alcuni paesi come Bangladesh, Afghanistan, Pakistan, ora tristemente diffusasi in Italia. È un’ennesima forma di violenza inaudita con cui l’aggressore cancella l’identità fisica della vittima, risparmiandole, per beffa, la vita. La violenza e il femminicidio sono fatti globali, nel senso che avvengono a prescindere dall’età, dalla classe sociale, dalla cultura, dalla religione, dalla nazione di appartenenza. Nel 2006, l’Istat realizzò la prima ricerca interamente dedicata alla violenza sulle donne denominata “Indagine sulla sicurezza delle donne”, grazie al contributo del Ministero per le Pari Opportunità, dei centri antiviolenza e di alcune vittime. I partner attuali o gli ex sono prevalentemente gli autori delle violenze più gravi: 2 milioni e 800 mila donne le hanno subite (Fonte: Istat, 2017). Purtroppo esiste un numero sommerso di donne che non denunciano e non si rivolgono nemmeno ai servizi per svariate ragioni; quindi i dati citati potrebbero essere più elevati.

Una giustizia lenta

Perché chi subisce violenza resta insieme al proprio aguzzino o non lo denuncia? Siamo nella società liquida del Professor Bauman in cui non vi è nulla di certo e stabile. Le motivazioni sono multifattoriali e concernono retaggi socio-culturali dovuti alla famiglia patriarcale in cui i ruoli di uomo/donna erano ben distinti, nonché caratterizzati da sottomissione femminile, aggiungiamo la prossimità affettiva con chi compie violenza, la mancanza d’indipendenza economica, le motivazioni religiose o, più semplicemente, per paura e per l’illusoria speranza che un giorno la situazione cambierà. In altri casi, è il desiderio di emancipazione femminile ad indurre atti violenti. Dalla violenza al femminicidio, il passo è breve. Una vittima italiana su tre ha dichiarato che il personale sanitario in ospedale ha minimizzato o non raccolto la testimonianza di violenza subita. La quota scende a meno di una su cinque nel caso delle vittime straniere (Fonte: Istat, 2017). Quale ruolo assumono le istituzioni? La denuncia, l’arresto, l’ordine di allontanamento non garantiscono l’incolumità femminile, anche a causa dei tempi lenti della giustizia. È evidente che, in questo campo, ci sono carenze da colmare.

Contrastare il fenomeno

Quali sono gli strumenti in favore delle donne vittime di abusi? Il numero antiviolenza 1522; i centri antiviolenza, in Italia, sono 140 e 73 le case-rifugio (Fonte: Wave, Women against violence Europe, 2015); l’associazione nazionale D.i.Re – Donne in Rete contro la violenza (nata nel 2008); i Cam – centri di ascolto maltrattamento; l’associazione SOS Stalking. Non dimentichiamo la scarsità di fondi per mantenere o ampliare queste strutture, in vista delle molteplici richieste di aiuto. Giuridicamente la tutela delle donne avviene mediante la legge antistalking n. 38/2009 (per stalking, s’intendono comportamenti o atti persecutori, minacce, molestie; il primo paese ad adottare una legge in materia è stata la California, nel 1990), la legge 15 ottobre 2013 n. 119 detta “legge contro il femminicidio” che ha introdotto nuove aggravanti per gli aggressori, inasprimento delle pene e delle misure cautelari. 15.733 adulti sono stati iscritti nei registri delle procure per il reato connesso allo stalking (Fonte: Istat, 2015). La prevenzione primaria gioca un ruolo fondamentale, agendo sulla radice della violenza, per creare un ambiente sociale paritario; è necessario partire dall’informazione nelle scuole e nelle università per un’efficace sensibilizzazione. La trasmissione televisiva “Amore criminale” ha fornito un’importante visibilità del fenomeno, raccontando le tragiche vicende di donne distrutte da relazioni sbagliate.

Tutelarsi o rispettare?

La mostruosità della spiegazione “donne ammazzate o vessate in quanto donne” trova la seguente risposta: “La violenza contro le donne è la manifestazione di una disparità storica nei rapporti di forza tra uomo e donna, che ha portato al dominio dell’uomo sulle donne e alla discriminazione contro di loro e ha impedito un vero progresso nella condizione delle donne” (Declaration on the elimination of violence against women adottata dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, 20 december 1993, New York). Generalizzando e non dimenticando che al mondo esistono buone persone, sono le donne a dover imparare a tutelarsi oppure gli uomini devono assimilare la cultura del rispetto, abbandonando quella del predominio? Tante donne hanno lottato per emancipazione e realizzazione, molte hanno realizzato i propri sogni, altre ancora sono in procinto di concretizzarli: è assurdo che, ancora oggi, ci si debba proteggere da chi vive al proprio fianco. Forse si potrà veramente parlare di parità e reciprocità donna/uomo nel momento in cui non ci saranno più morti, botte, insulti da parte di un marito, un fidanzato, un padre, un collega, un corteggiatore. Non dimenticando che, prima di uomini e donne, siamo essenzialmente persone.

Arianna Caccia

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