Proseguo coi decaloghi. Dopo quello sul questionario vi propongo una sintesi delle questioni fondamentali da tenere in conto se si vuole utilizzare e condurre un focus group, di gran lunga la più utilizzata e sopravvalutata delle tecniche “non standard”. Valgono le premesse già proposte nel precedente post sul questionario.

1.      Il focus group è una tecnica dal debole statuto metodologico e dai fragili risultati; la sua grande fortuna in Italia dipende da un certo interesse accademico in anni passati che ha dato, al focus, una sorta di patente di nobiltà. Ciò premesso, malgrado tale patente, il focus group resta una tecnica che in pochissimi sanno rendere interessante con una conduzione inappuntabile e con un’analisi dei dati piuttosto sofisticata e non alla portata di tutti; la realtà dei fatti è che, con una conduzione più improvvisata e con un’analisi sostanzialmente banale, il focus è di veloce esecuzione e di costi irrisori, e per questo è molto diffuso. Questo primo punto, quindi, serve semplicemente per eliminare gli alibi fra noi; fate pure (facciamo pure) i focus group, sapendo però che il più delle volte si tratta di una scelta organizzativa e non metodologica, e che i risultati sono povera cosa rispetto ad altre, e migliori, tecniche.

2.      Volendo (o dovendo) realizzare focus group, deve essere chiaro che nessuna ricerca può basarsi solo su questa tecnica, semmai con l’aggiunta di qualche “intervista”. Il focus group può avere un utile impiego in fasi esplorative iniziali di una ricerca o in fasi finali di analisi e discussione dei principali risultati prodotti con altre tecniche. Oppure in fasi intermedie di ricerche complesse come tecnica esplorativa in concorso con altre. Mai da solo.

3.      I partecipanti a un gruppo focus non possono essere più di 6-8 (una decina solo se siete esperti, una dozzina, con fatica, se siete molto bravi); è evidente che ne consegue uno spinoso problema nella selezione dei partecipanti; in un piccolo gruppo basta una persona sopra le righe per rovinare l’intera sessione; una grandissima cura deve quindi essere posta nel reclutamento e – viene da sé – va in generale progettata una serie di focus, semmai diversificati per territorio, per categorie di partecipanti o altro.

4.      Le modalità di reclutamento devono essere curate: possibilmente far contattare i potenziali partecipanti da autorevoli figure dell’amministrazione per la quale state lavorando, o dell’Università, o altro; dopo il primo contatto intervenite voi ricercatori con una lettera più estesa dove eviterete i tecnicismi (inutile parlare di “focus group” creando aspettative forse errate), dichiarerete la lunghezza prevista dell’incontro (presumibilmente un’ora e mezza) e inviterete alla puntualità. È solitamente necessario un promemoria (recall) un paio di giorni prima dell’incontro.

5.      L’incontro deve avvenire in un luogo tranquillo; se possibile evitate stanze di passaggio, o l’ufficio di uno dei partecipanti; provvedete a buona illuminazione, presenza di acqua e facile accessibilità. Accogliete i partecipanti uno a uno in maniera cordiale e fateli sedere attorno a un tavolo dove tutti possano vedere tutti (bene circolare o quadrato, bene rettangolare se non troppo stretto e lungo; male file di sedie davanti a tavolino o altra disposizione tipo lezione).

6.      Quando tutti sono accomodati date una veloce spiegazione (committente, scopo dell’incontro, durata…), pregate di spegnere o silenziare i telefoni, chiedete se ci sono dubbi e quindi, semplicemente, iniziate a porre il primo tema da esplorare, secondo una scaletta che dovere avere già predisposto in precedenza. Finita la discussione sul primo tema proponete il secondo, e così via.

7.      Come conduttori-facilitatori avete sostanzialmente tre compiti: a) ascoltare nel merito ciò che viene detto per garantire che non si vada fuori tema, per capire quando il tema è stato sufficientemente esplorato e potete passare al successivo, e così via; ciò impone che abbiate una minima dimestichezza con l’argomento. b) Garantire che la discussione sia tranquilla, evitare personalismi, facilitare la parola ai più timidi e frenare quella dei più logorroici; inoltre gestire eventuali interazioni sgradevoli, bloccare con fermezza prese di posizione arroganti o litigiose. c) Considerare il tempo che passa e garantire di stare nei tempi stabiliti. L’insieme di questi tre compiti sono naturalmente facilitati dall’esperienza e dall’autorevolezza personale che avete; si tratta quindi di abilità sviluppate nel tempo.

8.      Regola assolutamente fondamentale: se nel gruppo si manifestano incidenti, come nel caso di un partecipante molto aggressivo nei confronti degli altri, dovete assolutamente intervenire; non potete in nessun caso lasciar correre. Dopo un primo avviso bonario, e semmai un secondo più fermo, se la persona in questione continua nel suo atteggiamento negativo e aggressivo avete il dovere di allontanarlo oppure di interrompere la sessione. Ne va della vostra credibilità di facilitatori, a cui tutti i partecipanti hanno riposto fiducia anche in termini di protezione, confidenza, tutela.

9.      Una volta concluso il focus avete il dovere di ringraziare e accomiatare i partecipanti, semmai dopo avere chiesto loro se ritengono di dovere aggiungere qualcosa. Se è prevista una restituzione dei risultati è questo il momento di informarli. A volte i partecipanti chiedono “cos’hanno detto gli altri (di altri gruppi)”; è evidente che dovete glissare nelle risposte.

10.  Cosa fare dei materiali prodotti? È qui che in generale si vede la debolezza dei focus group; se avete registrato la conversazione (dopo avere chiesto loro il permesso) e se avete avuto un/a collaboratore/trice che ha preso appunti, avete materiali per un’analisi ermeneutica che può durare a lungo e produrre risultati interessanti (saprete che ci sono anche dei software che vi possono aiutare). In casi diversi vi limiterete a un riassunto che, potete capire, alla fin fine non è poi un granché.

Precedenti contributi de “Il metodo siamo noi

  1. Il metodo siamo noi
  2. Tecniche e formato informativo dei dati
  3. I numeri sono un linguaggio
  4. Parlare bene per pensare bene
  5. Il metodo si pensa. Lentamente
  6. Decalogo minimalista per l’uso del questionario

 

Claudio Bezzi

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