Alle matricole universitarie viene rivelato il primo comandamento: non esiste la sociologia, esistono le sociologie, volendo così mettere in risalto come i vari orientamenti e gli infiniti rami del sapere sociologico possano convivere senza mai doversi confrontare (anche se sarebbe auspicabile). Alla crescente complessità sociale e diversificazione delle aree del sapere e delle tecniche corrisponde un simile aumento delle branche e degli argomenti della sociologia sia speculativa, che empirica e applicata.

Dotti, medici e sapienti

“Al congresso sono tanti: dotti, medici e sapienti” cantava parecchi anni fa Eduardo Bennato. In un proliferare di cattedre, metodi e tecniche, ipotesi, applicazioni lavorative (solo in teoria, la realtà è ben altra), purtroppo non appoggiate da teorie e paradigmi di buon livello, assistiamo a un progressivo allontanamento degli specialisti dei vari settori, un’incapacità di coniugare i metodi qualitativi con i metodi quantitativi, un atavico senso d’inferiorità nei confronti delle presunte scienze esatte e dei professionisti regolamentati dall’obsoleto sistema degli albi e degli ordini corporativi, una latente invidia per le discipline umanistiche di pura teoria che possono almeno vantare una solida formazione culturale. Sappiamo che l’invidia può essere costruttiva, quando si traduce in un atteggiamento modesto che è primo presupposto per apprendere e far tesoro di quanto ci è offerto dal dialogo e dall’osservazione. Ma per molti sociologi non è così.

L’invidia non consapevole si incancrenisce rendendoli altezzosi e presuntuosi, chiusi nei confronti di qualsiasi possibilità di discussione e ampliamento delle conoscenze, assolutamente incompatibili con qualsiasi tentativo di collaborazione. È così che alla brutta recessione economica e al taglio della spesa sociale e di ricerca, molti sociologi aggiungono un proprio personale contributo per accelerare la lenta agonia delle scienze sociali.

La forma del ragionamento scientifico

La scomposizione dell’oggetto per l’osservazione delle parti e la sua seguente ricomposizione è parte del procedimento epistemologico fin dall’antichità, è esercizio mentale e necessario strumento del sapere. La specializzazione dei vari settori sociologici e dei metodi dovrebbe essere solo una fase della costruzione del sapere sociologico che, necessariamente, deve dar luogo poi a un’interazione per la ricomposizione dei vari sottosistemi in un sistema unico. Così come i vari orientamenti microsociologici difficilmente potranno svilupparsi e progredire in assenza di un’apertura verso discorsi di carattere strutturalista (e viceversa). L’allontamento tra orientamenti metodologici sta trasformando alcuni in attuari e contabili, altri in etnologi (ma con meno competenze di chi possiede solide basi in questa disciplina), perdendo così di vista il punto da cui sono partiti e la funzione della sociologia.

All’emergere di nuove problematiche assistiamo poi a voli pindarici di singoli sociologi che, con singolare solipsismo, si avventurano in campi che non hanno mai percorso rifiutando e spesso disprezzando i propri colleghi che hanno competenze nel settore specifico. Non sarebbe giusto rimpiangere i salotti intellettuali di altra epoca, ma il nostro secolo mette a disposizione mezzi e tecnologie per migliorare la comunicazione e la collaborazione scientifica, e noi queste opportunità non le stiamo cogliendo.

Un appello

Di sicuro la recessione economica e la conseguente difficoltà di inserirsi in ambito occupazionale adeguato generano nel singolo laureato senso di frustrazione a cui si può reagire con un tentativo, magari goffo, di rivalsa. In senso economico assistiamo a una competizione senza pari in particolare tra coloro che concepiscono il sociologo unicamente come una partita IVA. La mancanza di autostima – indotta dalle condizioni – spinge a sottovalutare e a disprezzare anche i propri colleghi. Come far fronte a tutto cio? Per prima cosa non ignorando questi problemi e riflettendo insieme per trovare una possibile via d’uscita. Questa è già un’ipotesi di collaborazione e  di lavoro in equipe. Le competenze che possediamo sono preziose, dobbiamo esserne consapevoli. Così come ognuno di noi dovrebbe essere conscio dei propri limiti: il campo del sapere sociologico è sterminato, solo nell’interazione tra noi possiamo svolgere la nostra funzione in maniera soddisfacente. In mancanza di ciò condanneremo il sapere e le competenze a noi tramandate alla scomparsa, lasciando il Paese in mano a interessi particolaristici e gestito dai soliti incompetenti. Il Paese e le nostre vite, perché il Paese siamo noi.

Barbara Lattanzi

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