Negli ultimi cento anni, la capacità produttiva delle società, sia dal punto di vista immaginativo (culturale) che materiale, è cambiata così radicalmente da trasformare non solo gli attori coinvolti, ma anche gli strumenti stessi impiegati nella distribuzione, sempre più connessa alla Rete, di questi beni. Un esempio in tal senso è la Disney.

L’industria culturale e la disney

L’oggetto di studio per molti sociologi diviene, in questo lasso di tempo, la modalità di fruizione di quella che veniva definita l’“industria culturale” da Max Horkheimer e Theodor W. Adorno, a partire dalla nascita delle “tecnologie di riproduzione tecnica”, come chiamate da Walter Benjamin. Ad oggi, sulla scia di questi studi, si può intercettare una riflessione fondamentale su come, da una parte, queste trasformazioni denaturalizzino lo statuto dell’arte, mercificandolo, dall’altra, portino alla creazione di nuovi fenomeni sociali, come, ad esempio, “disneyzzazione” e “disneyficazione”.

Il termine “disneyzzazione” fu coniato da George Ritzer nel 1993 per definire quei processi di marketing tipici dei parchi tematici dell’industria americana fondata da Walt Disney, dominanti in sempre più settori della società.

Max Horkheimer e Theodor Adorno
Max Horkheimer e Theodor Adorno

Anni prima, nacque anche il termine “disneyficazione” che, invece, rappresentava quella tendenza commerciale a spogliare una cosa del suo carattere originale al fine di rappresentarla in una forma semplificata e soprattutto controllata. (A. Bryman, 1999)

Tali processi, ormai posti come base costitutiva dei modelli di produzione culturale e non, divengono di fondamentale importanza, e preoccupazione, proprio per il ruolo che assumono in tutti gli aspetti della società, e non più solamente nella dimensione economica dell’industria culturale.

L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica

Quando nel 1930 Mickey Maus, così venne tradotto in tedesco, fa la sua comparsa nei cinema di Berlino, Walter Benjamin, attento scrutatore dei suoi tempi, non può esimersi dall’osservare minuziosamente quello che si definiva già come un fenomeno culturale più che un semplice lungometraggio animato. Dopo poche settimane dall’uscita dei primi cortometraggi, infatti, la Germania, come del resto anche l’America, fu presa d’assalto dall’immagine di Topolino, usata per la promozione di una vasta gamma di prodotti.

In un periodo in cui la maggior parte degli intellettuali europei cominciava a dibattere sull’ “americanismo”, e cioè quel “modernismo predicato sulla razionalizzazione industrial-capitalistica, sul lavoro taylorizzato e su un’organizzazione fordista della produzione e del consumo”, la figura di Mickey Mouse venne associata a quella “rivoluzionaria” degli americani che volevano capovolgere l’ordine costituito attraverso la fantasia. (M. Hansen, 1993)

Walter Benjamin

A tal proposito, nel 1936, Walter Benjamin, pubblica il saggio “L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica” indicando, in una delle prime versioni dello scritto poi dismesse, proprio Walt Disney come innovatore artistico alla stregua di Picasso.

Secondo il sociologo tedesco, le “esigenze rivoluzionarie nella politica culturale” trovarono campo fertile proprio nella possibilità di abbassare i costi necessari ad accedere alle piattaforme di comunicazione. Il fulcro della teoria di Benjamin, però, era quello di dimostrare come le nuove tecniche di riproduzione, produzione e diffusione avessero inesorabilmente trasformato l’arte.

Per dimostrare questa teoria, Benjamin parte dal presupposto secondo cui l’arte deve gran parte della sua “aura” d’eccellenza unica e irripetibile all’accessibilità dei suoi contenuti. Storicamente, infatti, il valore artistico è sempre stato dato in base ai costi di connessione (economica, cognitiva e culturale) tra gli attori sociali e le opere. (M. Pireddu, M. Serra, 2012)

Le possibilità comunicative che le tecnologie di riproducibilità aumentano a dismisura generano la cosiddetta “legge di Benjamin”. Essa sostiene che, superata una certa soglia di distribuzione dei consumi, culturali, la quantità ribalta la qualità. La ragione per cui questo accade è spiegata facendo notare come l’aumento di consumatori di arte e cultura porta i prodotti ad essere attualizzati nel contesto quotidiano dei consumatori. Tutta l’arte, in pratica, diviene intrattenimento.

Le opere Disney: più di semplici film

Le “opere” disneyane, però, non si limitano ad intrattenere, ma divengono un modello ispiratore per la collettività a livello globale. Uno dei motivi di questo successo deve essere attribuito sicuramente alla scelta delle storie ispiratrici da cui Walt Disney attinge. Le fiabe, infatti, sono un aspetto caratteristico di ogni cultura poiché in esse si definisce l’identità collettiva di un popolo.

Proprio un anno dopo l’uscita del saggio di Benjamin, nel 1937, i cinema americani ed europei proiettano “Biancaneve e i sette nani”.  Destinata a fare la storia degli incassi mondiali, questa pellicola girata con la videocamera Multiplane Technicolor venne ampliamente pubblicizzata con un budget tutt’altro che derisorio.

Biancaneve e i sette nani

Il motivo della fortuna al botteghino di questo cartone animato, però, fu sicuramente anche la scelta di marketing da cui fu accompagnata l’uscita nelle sale. Dopo le proiezioni del lungometraggio, infatti, da una parte, vennero messi in vendita vari gadget a tema Biancaneve, dall’altra, si capì subito l’importanza della trans-medialità, e nello stesso anno dell’uscita si creò un adattamento fumettistico.

La diffusione così espansiva di un film, sia per quanto riguarda il sopracitato Mickey Mouse che per Biancaneve, rende un semplice lungometraggio animato un fenomeno culturale. Un topolino e una antica fiaba europea, adattati a determinati temi e canoni estetici del tempo, divengono parte di ognuno, incarnando in immagini e gadget i desideri di libertà di intere generazioni.

Dialettica dell’illuminismo

L’opera intitolata “Dialettica dell’Illuminismo” fu pubblicata nel 1947 da Max Horkheimer e Theodor W. Adorno per evidenziare come nell’idee Illuministiche siano posti i presupposti che reggono le moderne società. In particolare, la fede nella razionalità di matrice scientifica e la conseguente autodeterminazione degli individui, impediscono di praticare quella libertà che atavicamente insegue l’essere umano.

Ciò che ha catturato maggior interesse da parte della critica è il capitolo dedicato all’industria culturale, intesa come l’insieme dei media nelle sue più eterogene dimensioni. Secondo gli autori, infatti, questa è la produttrice di quelle forme culturali, ossia comportamenti e valori, che omologano tutti, privando di quella tanta agognata libertà. L’epoca cosiddetta “della standardizzazione” si disvela così essere il progetto di dominio borghese della società moderna.

Disney e tempo libero

Il tempo libero è rapito dall’industria culturale. Esso ci distrae dalle questioni veramente importanti della vita, come capire noi stessi o cercare di modificare la realtà politica. Se per Benjamin le fantasie disneyane ispiravano la collettività, per Adorno, invece, erano la causa della nuova vita collettiva, sempre più individualista, distratta e confusa. Non è un caso quindi se proprio Walt Disney fu indicato come l’uomo più pericoloso d’America proprio dal filosofo tedesco.

In un mondo sempre più omologato dall’estetica e l’etica disneyana, l’arte non può trovare alcuno spazio per essere capita o contestualizzata. Tutto diviene un contenuto d’intrattenimento. Al contempo, con lo sviluppo delle tecnologie digitali e l’aumento della possibilità di riproducibilità, anche le altre dimensioni sociali sono invase da logiche indirizzate solo verso il profitto.

Nello stesso modo in cui il sistema capitalistico non vende solo prodotti, ma veri e propri desideri fabbricati, Walt Disney fa sognare per non mostrare una realtà fatta di business, e non più d’arte. L’industria culturale, attraverso le immagini del disegnatore americano, è divenuta il contenitore dei sogni di ognuno. Per ritrovare sé stessi si può solo evadere da tale costruzione collettiva.

Dario Caso

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