È risaputo che la televisione italiana spesso rappresenta la donna attraverso categorie stereotipate, come ad esempio, nelle pubblicità, in cui la troviamo sempre bella, sexy, allegra, mamma e moglie modello e contemporaneamente oberata da mille impegni, come se fosse un supereroe. Il cliché della donna che cucina per il marito che torna dal lavoro si ripresenta puntuale, ancora oggi, come se nulla fosse cambiato rispetto ad alcuni anni fa; invece, sono sempre di più le coppie sposate che lavorano a tempo pieno e che lasciano i propri figli dai nonni o in custodia ad una baby sitter.

Il ruolo dei telegiornali

L’Italia, rispetto ad altri paesi occidentali, deve ancora migliorare per raggiungere una più moderna suddivisione dei ruoli di genere, ma la televisione risulta ancora più indietro nel rappresentare le donne, soprattutto in riferimento alle nuove generazioni. Non sono solo la pubblicità e le trasmissioni di intrattenimento a cadere in cliché vecchi e obsoleti, ma anche programmi di informazione come i telegiornali; in questi casi però gli stereotipi sono per lo più impliciti ed è difficile notarli a meno che non si legga qualche studio specifico come quelli del the Global Media Monitoring Project (GMMP). Per questo motivo proporrò di seguito un caso di ricerca svolto presso l’università Bicocca di Milano durante un laboratorio proposto agli studenti di Sociologia. La ricerca si propone di verificare l’ipotesi iniziale: esiste nei telegiornali una stereotipizzazione di genere? Il corpus di ricerca è composto dalle principali testate giornalistiche italiane (Tg1, Tg2, Tg3, Tg4, Tg5, Studio Aperto, Tgla7); sono stati visionati 955 intervistati, dall’anno 2013 all’anno 2017, per un totale di circa dieci telegiornali all’anno. L’oggetto di analisi sono gli intervistati principali presenti nei vari servizi, i quali sono stati sottoposti ad un’analisi attraverso l’incrocio delle variabili dipendenti (età, argomento, funzione, professione, istruzione) con la variabile indipendente (genere).  In questo articolo esporrò, a causa della moltitudine dei dati rilevati, solo le correlazioni maggiormente rilevanti.

Una distorsione quantitativa

Tabella 1

Conteggio di Nome soggetto (%)
Etichette di riga
F28,48%
M71,52%
Totale complessivo100,00%

 

La prima considerazione da fare, a fronte del lavoro svolto, riguarda la presenza di una distorsione quantitativa; ovvero, i dati evidenziano una differenza notevole sulla quantità di intervistati, con una netta maggioranza degli uomini rispetto alla presenza femminile. Come, infatti, ci mostra la tabella 1, gli uomini sono il 71,52% e le donne solo il 28,48%. Possiamo quindi rilevare un’effettiva diseguaglianza di genere sulla scelta del soggetto da intervistare. Partendo da questo dato, cerchiamo di capire se oltre ad una distorsione numerica ci sia anche un’alterazione qualitativa, ovvero se la diseguaglianza riguarda anche gli aspetti rappresentati da alcune variabili dipendenti elencate precedentemente.

 Confronto tra la variabile indipendente “genere” e la variabile dipendente “funzione”

Tabella 2

Conteggio di Nome soggettoEtichette di colonna
Etichette di rigaFMTotale complessivo
Esperto44,49%66,47%60,21%
Espressione dell’opinione popolare17,65%9,22%11,62%
Portatore di esperienza personale27,94%16,69%19,90%
Totale complessivo100,00%100,00%100,00%

 

Dalla tabella 2 si evince che la scelta dell’intervistato è soggetta anche ad una distorsione di tipo qualitativo che riguarda la sua funzione svolta: tra gli uomini il 66,47% sul totale svolge la funzione di “esperto; tra le donne intervistate, invece, questa categoria è meno presente (il 44,49% del totale delle donne intervistate ). La situazione si capovolge, quando si prendono in considerazione le categorie “portatore di esperienza personale“ ed “espressione dell’opinione popolare”; in questi casi, sono proprio le donne ad essere sovra-rappresentate. La motivazione di tale distorsione qualitativa può essere ricercata nella tendenza dell’informazione ad affidarsi maggiormente ad una figura maschile per questioni che necessitano di una profonda conoscenza e per argomenti verso i quali l’audience è più vulnerabile e in cerca di rassicurazione. L’esperto maschio, di una certa età, genera, nella percezione comune, profondamente influenzata dagli stereotipi di genere, più facilmente un senso di conforto e garanzia. Al contrario, durante i servizi di cronaca nera e di tragedie ambientali, come i terremoti, piuttosto che per indagini che riguardano questioni popolari, è più facile imbattersi in intervistate donne, le quali sono considerate maggiormente “emotive” e per questo più adatte a creare quella sensazione di tensione patemica e di apprensione ricercata da molti telegiornali.

Tabella 3

Etichette di colonna
Etichette di rigaFMTotale complessivo
Costume e Società5,36%3,03%3,72%
Cronaca35,71%24,24%27,66%
Esteri, questioni internazionali5,95%12,12%10,28%
Politica27,38%46,21%40,60%
Questioni sociali25,60%14,39%17,73%
Totale complessivo100,00%100,00%100,00%

 

I dati  nella tabella sovrastante (3) avallano le affermazioni appena fatte; in questo caso sono state incrociate le variabili “genere” e “argomento”. Si nota come la cronaca piuttosto che le questioni sociali abbiano più rappresentanti donne, mentre la politica e le questioni internazionali più uomini.

Confronto tra variabile indipendente “genere” e variabile dipendente “età”

 Tabella 4

Conteggio di Nome soggetto
Etichette di rigaFMTotale complessivo
18-3010,66%6,73%7,85%
31-4539,71%27,96%31,38%
46-6027,94%33,53%31,90%
61-759,56%20,06%17,05%
Più di 754,04%7,17%6,28%
Totale complessivo100,00%100,00%100,00%

 

Come si evince dalla tabella 4  le donne intervistate hanno un età media più bassa rispetto agli uomini, in particolare le donne tra i 61 e i 75 anni sono di gran lunga sottorappresentate rispetto ai corrispettivi intervistati maschi. Anche questo dato ci fa riflettere sugli automatismi cristallizzati presenti in televisione e non solo; oltre ad una distorsione legata alla funzione svolta, infatti, si evidenzia una tendenza a preferire una presenza femminile giovanile e attraente e a considerare meno, invece, le donne in età avanzata;  si nota che per gli uomini questa distinzione non vale. È doveroso sottolineare che, in alcuni casi, tale distorsione non deriva da una scelta dei telegiornali ma che essa rispecchia una diseguaglianza preesistente in alcuni ambienti della società; come in politica, in cui le donne hanno, in generale, un’età media inferiore agli uomini; ciò porta, quindi, ad una conseguente presenza nei telegiornali di politiche donne più giovani rispetto ai loro colleghi uomini.

Confronto con la variabile indipendente “genere” e la variabile dipendente “professioni”

Tabella 5

Etichette di rigaFMTotale complessivo
Casalinga/o, genitore100,00%0,00%100,00%
Disoccupato0,00%100,00%100,00%
Pensionato33,33%66,67%100,00%
Studente52,17%47,83%100,00%
Totale complessivo28,48%71,52%100,00%

 

Anche questa tabella, infine, raffigura una forte stereotipizzazione di genere: il 100% della categoria “casalinga” è rappresentata dalle donne, al contrario, invece, il 100% dei disoccupati sono maschi. Ecco, quindi, che ritroviamo quei vecchi cliché accennati all’inizio; c’è la tendenza infatti, a considerare come prototipo di disoccupato, il maschio, di età media che deve mantenere la famiglia e a rappresentare la casalinga tipo come donna e mamma. Il “pensionato” e lo “studente” sono invece due categorie intermedie e ibride, in questo caso non è richiesto nessun tipo di archetipo e la loro funzione non è quella di rimandare alla collettività un’immagine chiave o un emblema legati al genere. Non importerà ai telegiornali, ad esempio, che lo studente intervistato sia maschio o femmina, ma piuttosto che abbia quelle caratteristiche stereotipate tipiche di questa categoria. I dati parlano chiaro e in conclusione possiamo confermare l’ipotesi iniziare per la quale esiste una stereotipizzazione di genere anche nei telegiornali. Questo studio è importante perché, come detto all’inizio dell’articolo, è molto più facile notare diseguaglianze di genere esplicite in programmi come la pubblicità piuttosto che in quelli di intrattenimento. Essere consapevoli delle rappresentazioni di genere che ci vengono proposte, ci permette di avere uno sguardo critico nei confronti di tutte le trasmissioni televisive, telegiornali compresi.

Giulia Borsetto

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