Un’organizzazione no profit, il Global Footprint Network che sviluppa strumenti per promuovere la sostenibilità, calcola ogni anno il numero di giorni che la biocapacità terrestre riesce a provvedere all’impronta ecologica umana. Cos’è l’impronta ecologica? È “un indicatore di pressione ambientale riconosciuto a livello internazionale, utilizzato per valutare il consumo umano di risorse naturali”. Più nello specifico, si tratta di prendere tutti i prodotti che vengono usati e tradurne l’impatto in termini di superficie di terreno vitale.
Earth Overshoot Day
Ogni anno ricorre una data mondiale chiamata Earth Overshoot Day, ovvero, la giornata in cui la richiesta di risorse naturali dell’uomo supera la quantità di risorse che la Terra è in grado di produrre. Quest’anno è avvenuta il 2 agosto ma ogni anno avviene sempre prima a causa dell’aumento dei consumi. Qualche esempio: l’anno scorso la giornata cadeva l’8 agosto, due anni fa il 13 agosto e nel 2000 addirittura a fine settembre e considerato che mancano ancora 5 mesi alla fine dell’anno, il dato è preoccupante. L’organizzazione ha calcolato che avremmo bisogno di un altro pianeta parcheggiato di fianco al nostro, senza abitanti, che ci alimenti di risorse naturali; per la precisione, di 0,7 pianeti. Ma non finisce qua: se tutto il mondo consumasse all’anno come gli Stati Uniti, avremmo bisogno di 5 pianeti in più; se vivessero tutti, invece, come noi italiani, ne avremmo bisogno di 2,6.
Qualità della vita
Non tutti i paesi consumano in eccesso: la Moldavia, ad esempio, secondo statistiche, consuma la quantità giusta di risorse rispetto alla biocapacità della Terra e per questo può vantare di avere l’Overshoot Day nazionale a dicembre. A questo dato è doveroso aggiungere, però, che la qualità di vita in Moldavia è molto bassa, tant’è che molti dei suoi abitanti emigrano per cercare lavoro. La sfida più ardua da porsi è quella di garantire a tutti una buona qualità di vita rispettando la biocapacità terrestre. Come? Bella domanda. Nuove leggi più rigide contro gli sprechi? Investimenti in energie rinnovabili? Tutto giusto. Facciamo un passo indietro, però, perché prima è necessario un cambiamento culturale sia individuale che collettivo.
La lotta allo spreco
Cosa possiamo fare noi singoli cittadini? Piccoli gesti, che a noi risultano insignificanti, possono, invece, portare ad un cambiamento importante. Sprecare meno cibo, ad esempio, comprare il necessario e consumarlo anche quando supera di poco la scadenza. Se pensate che questo non risolverà granché, aspettate di leggere alcuni dati: secondo le ricerche del 2015 dell’osservatorio Waste Watcher, in Italia, finiscono nel cestino, senza passare dalla tavola, 15 miliardi e 615 milioni di euro l’anno: ogni famiglia compra senza poi consumare 145 kg di cibo in media all’anno a cui si aggiungono gli sprechi delle industrie e della distribuzione; secondo il Food Sustainability Index (FSI) gli Stati Uniti gettano 46 milioni di tonnellate di cibo all’anno; mentre la FAO ha stimato che il cibo buttato in Europa sfamerebbe circa 200 milioni di persone e che gli sprechi alimentari nel mondo ammontano a più di 1,3 miliardi di tonnellate all’anno.
L’importanza dell’educazione
A parte sprecare meno cibo, cosa si può fare? Ci vuole anche un po’ di fantasia: perché non comunicare, noi cittadini, alle aziende cosa pensiamo essere di inutile spreco? Contenitori che contengono altri contenitori, come il tubetto del dentifricio piuttosto che le bottiglie di plastica che vengono avvolte in altra plastica; oppure oggetti di cui potremmo fare a meno, come le posate che troviamo nelle insalate già pronte. Si potrebbero elencare tanti altri piccoli accorgimenti da fare ma in realtà è sufficiente che ognuno di noi modifichi qualche cattiva abitudine quotidiana e il gioco è fatto. Non esiste un “io” senza un “noi”, l’uno influisce sull’altro e viceversa, perciò è importante che il cambiamento non sia solo individuale ma anche collettivo. Partire dalla base, sarebbe un’idea, ovvero dall’educazione. In famiglia prima e nelle scuole poi, entrambe importanti. Educazione civica, ambientale, alimentare. Insegnare fin dall’infanzia il valore della terra in cui viviamo, inserire nel programma scolastico esperienze di contatto con la natura e insegnare ai bambini l’importanza di non buttare via una cosa quando non ci piace più, potrebbero essere delle idee.
Amare i luoghi in cui viviamo non vuol dire solo rimanere sbalorditi davanti ad un tramonto o ad un paesaggio mozzafiato; significa anche prendersi cura di essi e preoccuparci che nulla, tantomeno l’umanità, possa modificarne l’aspetto. Dobbiamo imparare a convivere con la Terra, immaginare di essere sua ospite. Spesso, invece, agiamo come se tutto quello che essa produce ci appartenesse. Non è così e prima ce ne rendiamo contro prima possiamo mettere in atto delle strategie individuali e collettive volte a ridurre i consumi e perché no, un giorno, festeggiare a dicembre insieme al Natale, l’Overshoot Day.
Giulia Borsetto