È notizia degli ultimi giorni che l’Antitrust ha inviato una serie di lettere di «moral suasion» ad alcuni dei principali influencer per far sì che la pubblicità di eventuali marchi sia sempre trasparente, per rendere chiaramente riconoscibile la finalità promozionale. La domanda sorge spontanea: chi sono gli influencer? Sono utenti dei social media con migliaia di followers, che pubblicano foto da tantissimi like; ne postano decine ogni settimana per condividere momenti importanti o quotidiani. Vengono chiamati così perché, indossando un certo capo o bevendo una certa bibita, influenzano le scelte di consumo dei loro seguaci.

Qual è la loro provenienza?

Ci sono varie tipologie di influencer:

  • Ragazzi/e provenienti dai reality show. Essi partono da sconosciuti e quando entrano in queste “macchine del successo immediato” spopolano sui social e diventano in poco tempo e senza particolari competenze, modelli da seguire, soprattutto per quanto riguarda la moda.
  • I vip: attori, cantanti e calciatori che si prestano come testimonial di qualche marca.
  • Ragazzi/e che nascono direttamente dal web; i fashion blogger ad esempio, i quali hanno cominciato aprendo blog di moda, viaggi e design e ora si sono adeguati ai tempi trasferendo il loro lavoro sui social media.

Target e influencer

Modelli e target femminili
Modelli e target femminili

I vari tipi di influencer si rivolgono a differenti target e le aziende cercano quelli che fanno al caso loro. La prima tipologia, ad esempio, raccoglie un target prettamente giovanile e femminile corrispondente all’utente medio dei reality. Non è un caso che, in questa fetta, troviamo molte influencer donne e che le marche pubblicizzate abbiano un prezzo medio e accessibile ad un pubblico giovane che spesso non lavora ancora. I vip, invece, si rivolgono ad un bacino un po’ più ampio e le aziende più interessate sono generalmente quelle dei grandi marchi.

Perché hanno tanto successo?

Visual storytelling
Visual storytelling

Funzionano perché non propongono la solita pubblicità a cui siamo abituati. Fanno storytelling, ovvero, raccontano delle storie a fini persuasivi e lo fanno attraverso le foto. In queste storie spesso indossano o mostrano qualcosa che devono pubblicizzare; la cosa vincente è che, agli occhi di chi guarda, questo qualcosa viene interpretato come parte di un contesto emozionante, magico o divertente. Un costume indossato da un influencer al tramonto in Grecia, in una piscina che dà sul mare con l’uomo che si ama, non è solo un costume. Esso acquisisce valore in quanto parte di un’esperienza emozionale, di una storia, per l’appunto. La trovata è geniale. Non per nulla, vengono chiamati anche influencer marketing. Un mix di ingredienti micidiali che danno filo da torcere ai più grandi pubblicisti. Non dobbiamo dimenticare che nella società contemporanea, tutto è veloce, tutti sono di corsa e pochi hanno tempo per leggere e ascoltare. Per questo, una foto funziona. Veloce, d’impatto e non annoia. Quindi, in parole povere, efficace.

Gli influencer funzionano

Girando per i negozi, infatti, è possibile riconoscere gli abiti più pubblicizzati da loro e le ragazzine indossano marche che prima di passare per il web erano sconosciute. Diventa possibile rendersi conto di conoscere prodotti specifici nonostante non ci si interessi al settore in questione. Che funzioni come pubblicità, quindi, è fuori discussione; ora, c’è solo da capire quale sia l’impatto sui followers.  Sulle ragazze, ad esempio, che nel pieno dell’adolescenza devono cercare di trovare la propria identità e si vedono proporre continuamente un certo modo di essere. Siamo sicuri che tutto ciò faccia bene? Non si corre il rischio di omologarsi ad un unico modello e di essere bombardati ossessivamente da prodotti più giusti da acquistare? Questo dibattito c’è sempre stato da quando c’è la televisione e la pubblicità. Il fenomeno in questione potrebbe essere di una portata nettamente maggiore.

La guerra dei like

Prendiamo, ad esempio, un influencer, ex partecipante di Uomini e Donne con più di 1 milione di followers. Poco tempo fa, ha pubblicato su Instagram, noto social network, una foto indossando un paio di scarpe di un brand non noto. Quella foto ha ricevuto 99 mila like. Sempre su Instagram, la pagina del brand in questione e la foto solo con le scarpe aveva solo 200 like. In sostanza, l’influencer, ha moltiplicato di quasi 500 volte la visione di quelle scarpe.

Pubblicità 2.0

La differenza tra la pubblicità sui social e quella tradizionale della televisione è che la prima è caratterizzata da un rapporto di affetto tra influencer e followers. Questo legame spesso è morboso e può risultare particolarmente pericoloso perché caratterizzato da un’alta tendenza all’imitazione. Il rischio che gli influencer vengano idealizzati, e con loro le loro vite, è dieto l’angolo. I dati sono significativi: su Instagram vengono pubblicati ogni giorno 95 milioni di post che ricevono 4,2 miliardi di like, con un mercato di 3,5 miliardi di dollari. Una società americana, Captive8 che lavora con 125mila influencer, ha spiegato che, chi ha tra i 3 e 7 milioni di followers può chiedere fino a 187.500 dollari per un post.

Spesso ci divertiamo a sbirciare sui social le vite dei personaggi noti e dei vip, mettendo qualche like senza pensarci troppo, senza tenere conto che un “mi piace” vale molto di più di quello che immaginiamo.

Giulia Borsetto

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