Iniziamo la prima parte di questa rubrica intitolata “epistemologia delle scienze sociali”. Affronteremo, sotto differenti aspetti e seppur in maniera piuttosto succinta, le prospettive o gli approcci paradigmatici delle scienze sociali in generale. Ciò detto significa che la pluralità degli aspetti che incontreremo riguarderà le “scienze dello spirito” – come amava nominarle Dilthey – considerate nella loro multiparadigmaticità di fondo. Per esempio, come nella scienza politica si distinguono gli elementi che caratterizzano l’analisi strutturalista da quella pluralista, nella sociologia si discute del rapporto e, allo stesso tempo la distanza, tra il positivismo di Durkheim o quello di Pareto contro la scuola costruttivista inaugurata da Weber e portata all’estremo dall’opera di Berger e Luckmann.

In generale, possiamo tenere separata quella molteplicità di aspetti che si trovano raggruppati nei vari paradigmi nelle nozioni di “erklären” e “verstehen”. Vediamo nel dettaglio cosa significano queste due espressioni e come possono essere applicate alla sistematizzazione dell’epistemologia nel quadro più ampio delle scienze sociali.
Erklären
Qualsiasi paradigma che si voglia rifare all’erklären – “spiegare”, dal tedesco – si rifà, a sua volta, al retaggio del positivismo ottocentesco con la forza propria dei dati hard, ossia dati quantitativi, i quali vengono elaborati per “scoprire” le leggi che sottendono alle dinamiche sociali, politiche, economiche che siano. Il gran punto di forza di questo approccio “sicuro di sé” consiste nel suo legame col monocausalismo. Questo ambisce alla definizione di un’unica causa come fattore scatenante di un determinato effetto.

Pertanto, nella sua apparente sicurezza, l’approccio erklären si dimentica e trascura la complessa dinamica sociale nel suo dispiegarsi come processo pluricausato e concausato da parti diverse. Così come – e qui emergono i maggiori limiti del positivismo “ingenuo” ottocentesco – è difficile isolare e circoscrivere le cause dagli effetti. Non fare confusione fra di essi, tenerli separati ed analizzarli, poiché come è ben appurato, la società, così come la politica o l’economia, sono oggetti d’indagine altamente sfuggevoli all’analisi anacronistica. Dunque, in questo senso, da questo tipo di approccio si può estrapolare (almeno fino a un certo grado di affidabilità) delle leggi. Per questo si parla di discipline “nomotetiche”.
Verstehen
Al contrario dei paradigmi ispirati all’erklären che si richiamano alla dimensione della causazione, la nozione di verstehen – “comprendere”, dal tedesco – assume fin dall’apice della sua tradizione la centralità dello spirito umano come centro irriducibile alla dimensione deterministica della causazione. Per contro, si tratta di riconsiderare il soggetto kantiano come centro relativamente autonomo di decisioni e scelte, che non può essere trattato alla stregua di un “pupazzo” (così si esprimeva Durkheim a riguardo degli individui). Allora, in qualsiasi caso di indagine umanistica che si voglia dichiarare tale, lo studioso dovrà considerare la comprensione dei soggetti di primaria importanza ai fini dell’indagine.

Per esempio, per saper spiegare adeguatamente il comportamento di un gruppo di rivoluzionari, si dovrà comprendere il punto di vista particolare che adottano i suoi partecipanti. Poi, sulla base della rilevazione empirica effettuata, comprendere valori, norme, ambizioni, emozioni, scopi, tradizioni di gran parte almeno degli attori compartecipanti. È chiaro che il limite di questo tipo di impostazioni risale al fatto che non è possibile inferire a “leggi” proprio come volevano i positivisti di primo Ottocento, quanto piuttosto si può parlare di discipline “idiografiche”, ovvero quelle discipline che cercano di descrivere nei più minimi dettagli un particolare punto di vista.
Una possibile conciliazione
Da questa breve presentazione potrà apparire al lettore una difficoltà di sintetizzazione dei due approcci: l’uno piegato verso la ricerca di nomoi nella vita sociale, cioè di leggi immutabili nel terreno sociale. L’altro ispirato maggiormente dalla ricerca dell’idios, cioè delle specificità di un fenomeno, di un gruppo, di un’individualità, ecc. A questo punto è fondamentale chiarire come, a fronte di diversi interrogativi di ricerca, i due approcci erklären e verstehen possono essere intrecciati nella medesima ricerca con contributi da entrambe le parti.

Dopotutto, cercare nel sociale le regolarità isolando le variabili rilevanti per il ricercatore può portare a scoprire “cosa incoraggia cosa” in termini di cause ed effetti con cui è possibile spiegare un fenomeno. Mentre approfondire il punto di vista adottato da uno o più attori trascina il ricercatore a contrarre un legame empatico con il soggetto studiato e, in termini di profondità e completezza d’analisi, può giungere alla comprensione del fenomeno studiato.
Nonostante la brevità di questo articolo, occorre precisare ancora una questione di basilare importanza. Nella prassi vera e propria, i ricercatori sociali raramente si pongono d’accordo rispetto alla metodologia e alle tecniche specifiche da utilizzare, specie quando collaborano epigoni di un paradigma o dell’altro. Le nozioni di erklären e verstehen a cui abbiamo fatto riferimento sono piuttosto degli idealtipi, nel senso più weberiano del termine. Sono, cioè, delle astrazioni ideali, o dei precetti, che pertengono alla sfera etica del dover-essere, a cui lo scienziato in genere dovrebbe rifarsi.
Etica dello scienziato sociale
L’etica dello scienziato sociale – per quanto possiamo illuderci che questa rappresenti una sorta di “santità” non scalfibile da alcuna passione, ideale alternativo, interesse, ecc. – non è sempre un dovere che viene a coincidere con l’essere. In altre parole, non sempre lo scienziato sociale è disposto a venire a compromessi con la realtà dei fatti, spesso infatti è la teoria di riferimento a prevalere. Egli quindi si attaccherà alle proprie ipotesi così come cercherà nella realtà la loro conferma.
Per concludere, dove sta la conciliazione? Essa esiste nella misura in cui pensiamo che in astratto questi orientamenti paradigmatici possano essere in linea di principio integrati nello stesso quadro teorico, e quindi, essere applicati a dovere nel proprio setting di ricerche volte a confermare o smentire la teoria. Se allo stato dei fatti non è possibile integrare differenti approcci e condividere un medesimo linguaggio all’interno della stessa disciplina, dobbiamo ricordarci che è solo lo sforzo teso a superare queste barriere che permette alla scienza di progredire.
Bibliografia:
- Di Zio S., Agustoni A., Maretti M., Metodologia della ricerca, Milano, Einaudi, 2012.
- Corbetta P., La ricerca sociale: metodologia e tecniche. Cfr. I paradigmi di riferimento, Bologna, il Mulino, 2003.

Studente della triennale di sociologia all’Università di Trento. Guardo alla scrittura come esercizio di riflessione e di responsabilità, uniti a un impegno per invitare alla conoscenza della sociologia in Italia.