La scorsa puntata di questa rubrica dedicata all’epistemologia delle scienze sociali ci siamo occupati dei metodi quantitativi. Per quanto riguarda questa ultima puntata, invece, prendiamo in considerazione i metodi qualitativi, antitetici in molti aspetti ai precedenti affrontati. Per un confronto critico tra metodi rimando all’articolo precedente.

Si tratta di percorsi di ricerca che, come i quantitativi, concerne metodi e tecniche specifiche volte alla conoscenza della realtà sociale. Tuttavia quelli qualitativi sono retaggio di discipline affini alla sociologia, quali l’antropologia o l’etnologia, le quali non possono prescindere da un atteggiamento di ricerca che mira ad approfondire le caratteristiche essenziali del fenomeno studiato. Mentre in primo luogo esamineremo le fasi della ricerca che adotta metodi qualitativi, successivamente passeremo all’analisi critica avanzando alcune considerazioni sui meriti e demeriti di questi approcci; in ultimo, per chiudere il cerchio, termineremo con la possibile integrazione dei metodi nello stesso progetto di ricerca.
Metodi qualitativi: le fasi
Se l’obiettivo di prim’ordine della ricerca quantitativa consiste nella quantificazione dei fenomeni sociali, ovvero nella loro traduzione in numeri intellegibili grazie a processi di conversione dell’informazione empirica in dati aggregati, nella ricerca qualitativa tale aspetto di quantificazione del fenomeno, oltre che di (è implicito, ma è meglio ricordarlo) generalizzazione dei risultati alla popolazione studiata, viene meno. Così, nella ricerca che adotta metodi e tecniche qualitative si avrà un obiettivo diverso – quello della profondità – che abbisognerà di percorsi di ricerca meno sofisticati dal punto di vista delle tecniche ma più articolati in un senso soggettivo, cioè che sul ricercatore graverà maggiore responsabilità, in quanto sarà suo carico interpretare e guidare, step by step, l’intera conduzione della ricerca.
Inoltre, sempre rimanendo nell’esaltazione delle differenze tra le due ricerche, possiamo dire, richiamandoci alla metafora spesso citata dal Corbetta, che i metodi quantitativi costruiscono una “mappa” delle caratteristiche di una società per intero, nel suo complesso. Diversamente i metodi qualitativi, di questa mappa, ne approfondiscono vari aspetti, varie “zone” o “aree”, tuttavia pur sempre delle frazioni dell’intero complesso che è la società, a un livello di profondità comunque più o meno notevole.

Descrizione del processo di ricerca
Ma passiamo ora alla descrizione del processo di ricerca qualitativa, sempre riprendendo l’esempio fatto per quella quantitativa sulla partecipazione giovanile alla politica. Intanto, il primo step per approfondire questo fenomeno è comune con la ricerca di tipo quantitativo; infatti, il lavoro di literature review è conditio sine qua non di ogni ricerca, a prescindere da quale scopo si prefigga e quale sia l’oggetto d’interesse.
Il momento di reperimento delle informazioni già emerse e “scoperte” da ricerche antecedenti è preliminare a ogni tipo di ricerca perché è con esso che si può avere accesso a concetti, approcci e visioni che gettano luce là dove noi, come ricercatori, magari non avevamo posato lo sguardo. Inoltre questo è di fondamentale importanza allo scopo di non produrre e dare vita a una ricerca che è già stata condotta da altri e che non avrebbe senso ripetere, anche se, alle volte, questa ripetizione viene utile per la comunità scientifica se viene condotta con criterio, e cioè se la sua ripetizione può essere fruttuosa sul piano comparativo, sia nel tempo che nello spazio.

Così, facendo riferimento al nostro esempio, la prima cosa da fare, è andare a studiare le più autorevoli ricerche empiriche qualitative che sono state condotte in precedenza. Interviste a basso livello di strutturazione, interviste in profondità, life story e life history, analisi di documenti vari (come giornali giovanili, dépliant di associazioni, cartelloni pubblicitari e non, fotografie, ecc.). Ecco, queste sono, per esempio, alcune delle tecniche specifiche di ricerca qualitativa. Le citeremo in seguito.
Il disegno della ricerca
Secondo passaggio da fare è quello del disegno di ricerca, che nella ricerca qualitativa prevede una forte strutturazione orientata all’induzione (ricordate? Questo passaggio si trovava al termine della ricerca quantitativa…). Ciò detto significa che la logica della ricerca tradizionalmente popperiana viene, per così dire, “ribaltata” a favore dell’emersione dei dati a partire dal campo (field theory o, se proprio vogliamo farne esplicito riferimento, la grounded theory di Glaser e Strauss). Ma come fare per raccogliere i dati, se, come invece si fa da prassi nella ricerca quantitativa, non ci si serve più del questionario? Occorreranno all’uopo, allora, una serie di strumenti volti a reperire le informazioni in maniera quanto più scientifica, senza però rispecchiare gli approcci quantitativi; volti, cioè, a comprendere (come abbiamo visto nel primo articolo) la natura del fenomeno in questione andando in profondità.
Così, per tornare sempre al nostro esempio, una possibile opzione di reperimento dati è quella del condurre delle interviste qualitative, non strutturate, interrogando gli attori circa le loro preferenze politiche, i loro atteggiamenti, le loro credenze, abitudini, e così via. Diversamente da un questionario standardizzato – cioè con domande uguali per tutti, senza possibilità di interazione col rilevatore, dove le domande sono decise a priori dal ricercatore –, l’intervista qualitativa, con minor grado di strutturazione, fa leva su quegli aspetti di interattività che nella quantitativa sono assenti o presenti in misura minore.

Così, per esempio, si può domandare a un giovane se è soddisfatto dell’attuale politica italiana, senza però (come avviene invece nel questionario) proporgli una scala in cui inserire il proprio grado di soddisfazione. Può emergere, infatti, grazie anche alla possibilità di interazione, il punto di vista dell’intervistato, poiché a seguito della “domanda guida” possono essere chiamate in causa altre dimensioni del rapporto giovani-politica, come la comunicazione politica, il linguaggio di alcuni politici, l’impatto che gli output del sistema politico hanno sui giovani (o comunque come vengono percepiti da questa categoria sociale), e via discorrendo.
L’interpretazione dei dati
Per quanto riguarda l’analisi dei dati, passaggio successivo del processo, una volta raccolti questi tramite videoregistratori per le interviste, catalogazione dei documenti e ordinazione di questi sulla base di un criterio comune, appunti vari emersi dalle interviste (anche se si fa più sovente uso del registratore), ecc., ecco che il compito più gravoso per il ricercatore qualitativo consiste nell’interpretazione sostantiva di quest’accozzaglia di informazioni (è chiaro che, per rispettare i criteri di scientificità richiesti dalla comunità, maggiore è la quota di informazioni analizzate, maggiore sarà la profondità della comprensione del fenomeno in questione). Questo, come si potrà capire, rappresenta la più grande fetta di lavoro che il ricercatore deve intraprendere, in quanto questo lavoro di analisi, confronto e riflessione porta via tempo e risorse, oltre che, naturalmente, energie.

In questo senso, una ricerca che aspiri a comprendere l’atteggiamento dei giovani nei confronti della politica dovrà passare in rassegna parecchie interviste, documenti vari che abbiamo descritto sopra, tra cui giornali, fotografie, blog online, ecc. e dunque estrapolare da questi dati ciò che di più importante la soggettività del ricercatore sociale ritiene di dover selezionare. Non si tratta affatto di un’operazione semplice, più facile a dirsi che a farsi, siccome alcune di queste ricerche portano via molto tempo e non possono essere replicate nel giro di pochi anni. Ciò dipende dagli investimenti fatti in ricerca e in questo particolare settore della ricerca, quella sociale, appunto.
L’ultimo punto, quello che segue all’interpretazione dei dati, contribuisce a far sì che dall’indagine condotta si possa arricchire il panorama letterario della comunità scientifica, tramite la redazione di report, articoli scientifici, libri, manuali e tutto ciò che concorre allo sviluppo della conoscenza di un particolare settore della realtà sociale e politica (in questo caso della partecipazione giovanile alla politica). Il tutto ferma restante la trasparenza di metodo, vale a dire la descrizione nel dettaglio di come è stata condotta la ricerca. Letteratura presa in considerazione, tecniche adottate e loro giustificazione, quantità del campione degli intervistati, ecc.

In ultimo, per riassumere, ecco la sequenza della logica della ricerca qualitativa, simile a quella quantitativa, ma con delle serie differenze a livello di tecniche specifiche utilizzate, e nonostante il pluralismo metodologico presente nella qualitativa che può essere ricondotto ai seguenti passaggi tipici.
- Literature review;
- Raccolta dati “sul campo”;
- Analisi dei dati;
- Interpretazione dei dati.
Metodi qualitativi: considerazioni critiche
La debolezza insita in questa impostazione, che fa uso di metodi qualitativi, non è rintracciabile solamente nella presunta mancanza di oggettività di cui è spesso accusata. E’ il caso di far notare, piuttosto, la difficile conciliabilità tra la generalizzazione dei risultati e lo scientismo oggettivista che vuole l’universalizzazione di questi tramite un processo di inferenza. Questo problema non è di poco conto. Tutta l’impalcatura su cui si fonda la scienza non è altro che una legittimazione epistemologica di ciò che l’uomo ha da dire sulla realtà. Rinunciare a questo obiettivo, significa da un lato contribuire ad allargare quella forbice di discrepanza tra scienze “dure” (che fanno uso di hard data) e scienze “molli” (che fanno uso di soft data). Dall’altro significa delegittimare progressivamente la portata e il valore della conoscenza scientifica.

Questo non ci deve però scoraggiare nell’uso dei metodi qualitativi. È bene dunque evidenziarne l’eminente utilità. Per esempio, possiamo citare in causa il fatto che è solo grazie a questo tipo di metodi e di tecniche specifiche che i ricercatori possono approfondire aspetti della realtà sociale che le statistiche trascurano. Non a caso, i fenomeni come le migrazioni clandestine sono indagabili con tecniche quali l’osservazione partecipante o le interviste in profondità, e ciò permette quindi di fare emergere conoscenza che non viene rilevata dalle statistiche, dato lo status di migrante clandestino. Con questi strumenti è reso possibile quel processo che, dicevamo seguendo la metafora citata nel Corbetta, fa della “mappa” una mappa estremamente dettagliata.
Una possibile conciliazione
Sovente nel panorama paradigmatico della sociologia si rintraccia un pluralismo, una molteplicità di prospettive, che fa sorgere in noi un immediato dubbio: come è possibile conciliare all’interno della stessa comunità scientifica questa divergenza di vedute? Come si ricorderà dal precedente contributo, quando abbiamo analizzato le nozioni di erklären e verstehen, anche in questa sede è mio dovere cercare di dare una sintesi.

Innanzitutto, dobbiamo riconoscere almeno tre criteri per operare una scelta di tecniche di ricerca che sia adeguata e scientifica. L’adesione a un determinato paradigma, le caratteristiche dell’oggetto di studio, le risorse di cui si dispone.
- Come abbiamo avuto modo di osservare dalla prima puntata, le due nozioni prese in esame rappresentano due poli opposti paradigmatici di quelle che sono le correnti in sociologia. Tuttavia, si deve tener presente che esistono molte sfaccettature al suo interno. Prendiamo alcuni esempi di paradigmi. Gli approcci che si rifanno al positivismo o alla sua nuova versione – il neopositivismo –, come il paradigma lazarfeldiano, prediligeranno un percorso di ricerca che passi per l’indagine campionaria, dopo aver molto probabilmente analizzato la letteratura basata su statistiche ufficiali, al fine di spiegare il loro senso. Al contrario per un sociologo che approcci col paradigma weberiano alla realtà sociale, egli si dovrà servire di tecniche che prevederanno l’osservazione sul campo, partecipante o non, che permetta di comprendere il punto di vista degli attori coinvolti.
- Quanto alle caratteristiche dell’oggetto di studio, dipende come e in che misura è possibile analizzarlo. Se stiamo trattando di casi di discriminazione sul lavoro, possiamo sì utilizzare a pieno regime i metodi quantitativi per avere una magnitudo dell’impatto che questa ha su una particolare fascia di popolazione, ma ciò potrebbe non essere abbastanza: siamo sicuri di aver individuato anche quei casi di discriminazione che normalmente non vengono denunciati per timore di ritorsione, vergogna, paura, o semplicemente perché non viene “definita” tale dagli attori stessi? In questo caso vengono d’aiuto i metodi qualitativi come l’osservazione partecipante che consentono una maggiore profondità nella comprensione del fenomeno.
- Alcune tecniche di ricerca sono più semplici da attuare e costano di meno, altre sono più complesse e portano via più tempo e risorse, dunque sono gravose sul budget di cui si dispone. Non sempre è facile conciliare queste esigenze con scientificità, interesse e accuratezza. Per esempio, per quanto riguarda l’indagine campionaria, grazie alle nuove tecnologie di raccolta dati, elaborazione di questi e conservazione in grandi banche dati è possibile maneggiare grosse quantità di dati in poco tempo e spendendo relativamente poco in termini di risorse; al contrario l’osservazione partecipante richiede del tempo per farsi accettare dal gruppo che si intende studiare, è una pratica prolungata nel tempo, può essere rischiosa o eticamente discutibile, ecc. Dunque, abbiamo appreso che si realizza molto raramente la ricerca idealmente “perfetta” ed esente da criticità di fondo – ontologiche, epistemologiche e metodologiche.

Per concludere, possiamo dire che la conciliazione di queste due antitetiche prospettive polari si ha quando, seguendo i tre criteri sopra citati, si fa stare assieme la propria forma mentis – il soggetto studiante –, le caratteristiche che presenta il fenomeno d’interesse – l’oggetto studiato –, e infine (da non sottovalutare, sennò non si va da nessuna parte!) le risorse a disposizione – tempo, fondi, lavoro, collaboratori, ecc.
Bibliografia:
- Di Zio S., Agustoni A., Maretti M., Metodologia della ricerca, Milano, Einaudi, 2012.
- Corbetta P., La ricerca sociale: metodologia e tecniche. Cfr. I paradigmi di riferimento, Bologna, il Mulino, 2003.

Studente della triennale di sociologia all’Università di Trento. Guardo alla scrittura come esercizio di riflessione e di responsabilità, uniti a un impegno per invitare alla conoscenza della sociologia in Italia.