Rieccoci con la nostra consueta seconda parte della rubrica dove cerchiamo di indagare le prospettive e gli approcci propri dell’epistemologia delle scienze sociali. La sociologia rientra in questo campo di studi e analisi che, con i suoi metodi, condivide parte del lavoro di riflessione con altre discipline scientifiche interessate alle dinamiche sociali, come la scienza politica, l’antropologia o la storia.

Dunque, questo episodio ha la finalità di illustrare le caratteristiche dei metodi quantitativi, i loro punti di forza e le relative criticità. In questi la metodologia della ricerca prediligerà dei percorsi che partendo da domande sul quantum giungerà alla definizione di numeri, percentuali, e più in generale oggetti quantificabili. Al contrario nei metodi qualitativi – che vedremo prossimamente – la metodologia percorrerà strade proprie delle indagini in profondità, mirate ad analizzare la qualità del fenomeno in questione e il punto di arrivo di questi metodi è rappresentato da narrazioni descrittive.
Fatta questa seppur breve introduzione, possiamo spingerci un po’ più in là, e sforzarci di capire quali sono le specificità che contraddistinguono gli approcci quantitativi. Mentre per un confronto con i metodi qualitativi, come ho già anticipato sopra, rimando all’articolo successivo della rubrica.
Metodi quantitativi: le fasi
Quantificare, appunto. È questo lo scopo precipuo di ogni ricerca che adotti i metodi e le tecniche quantitative. E quantificando, sono possibili a questo proposito le operazioni di misurazione e conteggio del fenomeno sociale sotto la lente di ingrandimento del ricercatore. Facciamo presto un esempio. Poniamo che l’oggetto di studio scelto dal nostro ricercatore sociale sia la partecipazione politica dei cittadini italiani in un determinato periodo di tempo. Il compito e lo scopo della ricerca consisterà allora nel “misurare” la partecipazione politica della popolazione di riferimento, ovvero gli italiani.

Per prima cosa – questo a prescindere dalla ricerca, che sia quantitativa o qualitativa – si procederà con la revisione della letteratura (literature review) per apprendere come si trova la conoscenza del fenomeno allo “stato dell’arte”, cioè che progressi ha fatto la scienza sociologica/politica fino a quel punto (quest’ultima perché di interesse della ricerca dell’esempio, sennò si può reperire letteratura da altre discipline affini, in un’ottica multidisciplinare). Questo passo, dunque, è di fondamentale importanza in quanto permette di individuare (e giustificare) le variabili di cui si farà uso successivamente. La fase di revisione e di studio della letteratura scientifica può portare via molto tempo: per questo è di fondamentale importanza scegliere la teoria giusta di riferimento, che si collochi almeno sulla falsariga dell’intelaiatura paradigmatica che nel ricercatore durante gli anni si è andata formando.
Costruzione delle ipotesi
A seguito di questo passaggio, si va dalla teoria alla costruzione di ipotesi di ricerca, che daranno vita a concetti, i quali dovranno essere rigorosamente definiti, coerentemente ed esaustivamente, in modo da non dare luogo – come insegna Sartori – ad ambiguità, da una parte, e imprecisione, dall’altra, nella dimensione del concetto. Ma torniamo al nostro esempio. Una volta reperita la letteratura adeguata alla ricerca sulla partecipazione politica degli italiani, il passo di seguito consiste nell’individuazione di ipotesi coerenti con le congetture dalle quali si parte: per esempio, speculando sul fatto che gli individui di giovane età partecipino in misura minore alla politica del proprio paese.

Anche questo passaggio, dovuto all’emersione di nuove ipotesi, può dare una nuova spinta verso il reperimento di ricerche più settoriali e specifiche nell’ambito giovanile (come anche indagini di tipo empirico). Infatti, il processo di ricerca, almeno inizialmente, è ancora soggetto a modificazioni in itinere, in modo da strutturare il disegno stesso della ricerca ad hoc, consentendo anche una buona dose di serendipità (serendipity) – come Merton stesso insegna.
Variabili
Abbiamo detto variabili. Questo perché la ricerca quantitativa – per quantificare, appunto, la magnitudo del fenomeno – si nutre di differenze, di eterogeneità tra gli individui, le famiglie, i comuni e così via. Le variabili sono lo strumento precipuo del ricercatore quantitativo, quindi saranno definite come “caratteristiche rilevate su un’oggetto di indagine qualsiasi per rilevare la variabilità di quelle caratteristiche entro una popolazione definita”. Le variabili sono uno strumento di riduzione della complessità del fenomeno per semplificare ulteriormente una situazione di grande incertezza e per scomporre l’oggetto d’analisi in una serie di caratteristiche, dicevamo, dette “proprietà”.

Per tornare all’esempio: alcune variabili che possono essere individuate in base alla teoria possono essere: genere, età, orientamento politico, occupazione lavorativa, reddito, ecc. Queste sono le più comuni. Per cercare di capire se esiste una relazione tra queste variabili si provvederà a procedere ad un’analisi prima monovariata, poi bi (tri, quadri, ecc.), poi multivariata. Insomma, questo per giungere a delle conclusioni che possano suffragare le ipotesi di partenza.
L’emergere dei dati grezzi
La fase successiva alla raccolta dei dati si ha con l’emergere dei primi risultati, anche se ancora “grezzi”. Questo perché non sono stati ancora trattati sostantivamente, cioè interpretati. La fase che segue all’emersione dei risultati, infatti, è proprio l’interpretazione degli stessi in chiave teorica. Si deve, cioè, capire se, in base alle ipotesi di partenza, i risultati confermano o smentiscono le ipotesi e in che misura possono essere considerati significativi. Sempre riferito all’esempio fatto in precedenza: i risultati possono mostrare che non è vero che i giovani partecipano poco alla vita politica del proprio paese, o viceversa, confermare le ipotesi di partenza. Questo a seconda che dall’incrocio delle variabili emerga una relazione significativa o meno. A questo punto non si fa altro che tornare, con un processo detto di “induzione”, alle teorie, contribuendo ad arricchire il panorama scientifico delle teorie già esistenti, confermandone alcune, falsificandone altre.

Quindi, per riassumere il processo inerente alla logica della ricerca quantitativa, tale processo si articola nei seguenti punti:
- Literature review;
- Formulazione delle ipotesi;
- Raccolta dati;
- Analisi dei dati;
- Interpretazione dei dati.
Metodi quantitativi: considerazioni critiche
Seppur molto brevemente, dovuto a questioni di spazio, il ragionamento che abbiamo fin qui condotto necessita di una qualche considerazione critica. Nonostante per parlare con cognizione di causa sovente si fa ricorso alle indagini empiriche quantitative, questo approccio “per numeri” non è esente da punti di debolezza. Vediamone alcuni.

In primis, l’affidabilità del comportamento verbale del rispondente non garantisce una sicura e certa rilevazione da utilizzare nell’elaborazione statistica. Sì che in fin dei conti se consideriamo che i grandi numeri garantiscono un’approssimazione tale da avvicinarsi comodamente al valore “vero” di ogni rilevazione, essi non tengono però conto della fondamentale discrepanza tra categorie interpretative dello scienziato sociale e quelle del pensiero di senso comune. Faccio solo un esempio a titolo esplicativo. Poniamo che si presenti, in un questionario a domande strutturate, la domanda circa la propria adesione o comunque vicinanza a un partito politico in una scala da 1 a 7: siamo davvero sicuri che il rispondente sia in grado di ripercorrere, nelle proprie esperienze passate, le azioni, i pensieri, i sentimenti che sono riconducibili al concetto di “adesione” o “vicinanza” (o altri ancora come “simpatia”, ancora più ambiguo peraltro) che il questionario richiede?
Capacità di introspezione del rispondente
E qua veniamo al secondo punto di criticità, ossia la capacità di introspezione del rispondente. Pongo la questione con una domanda piuttosto provocatoria: come facciamo a misurare certe caratteristiche sociali (come quella poc’anzi citata rispetto alla ricerca sulla partecipazione politica) senza tenere in conto che la capacità di introspezione – così come la capacità di memoria e di selezionarne gli eventi salienti – non è la stessa per tutti gli individui? Cioè, in altre parole: chi ci assicura che i risultati delle survey siano corrispondenti alla medesima domanda posta, al medesimo stimolo indotto?

Ma, a parte questi elementi dubbiosi, è indubbio che i metodi quantitativi abbiamo almeno un’eminente utilità pratica. D’altronde sono in gran parte diffusi negli ultimi anni nel campo delle scienze sociali, grazie ai grandi database e alla cosiddetta svolta informatica che ha investito tutti i campi della ricerca con software e speciali programmi per elaborare dati con efficienza ed efficacia mai viste prima.
Bibliografia:
- Di Zio S., Agustoni A., Maretti M., Metodologia della ricerca, Milano, Einaudi, 2012.
- Corbetta P., La ricerca sociale: metodologia e tecniche. Cfr. I paradigmi di riferimento, Bologna, il Mulino, 2003.

Studente della triennale di sociologia all’Università di Trento. Guardo alla scrittura come esercizio di riflessione e di responsabilità, uniti a un impegno per invitare alla conoscenza della sociologia in Italia.