Nato a Napoli all’inizio dello scorso secolo e deceduto nel 1965, Ernesto de Martino è stato uno dei maggiori studiosi umanistici italiani moderni e tra i più interessanti storici e antropologi nel panorama internazionale. In eredità ci ha lasciato la metodologia dell’etnocentrismo critico e lo sviluppo di un approccio marxista allo studio delle culture e delle tradizioni.

Il Mondo Magico di Ernesto de Martino

Ernesto de Martino
Ernesto de Martino

Laureato in Lettere e allievo di Benedetto Croce, nel 1948 pubblica un testo destinato ad avere, all’epoca, un enorme risalto per la sua originalità e non poche critiche. In un clima accademico ancora intriso di positivismo e non ancora slegato dal meccanico schematismo di Frazer, il Mondo Magico è un’affascinante analisi di ricerche etnografiche e resoconti di viaggi presso società “semplici”, contraddistinte da forme culturali e fideistiche di tipo magico e superstizioso. Sciamanesimo, fenomeni paranormali e credenze riguardanti il mondo degli spiriti non vengono trattati da Ernesto de Martino come primitive percezioni errate dovute a scarsa conoscenza o relegati a fenomeni residuali. Raccoglie infatti testimonianze che gli permettono di conferire a tali fenomeni e credenze una forma di realtà. Essi sono veri perché hanno luogo in assetti sociali storicamente e geograficamente determinati in cui acquisiscono una particolare funzione, sia in senso sociale che individuale. Si tratta infatti di fenomeni psichici e la stessa psiche – ed è questo il punto centrale dello studioso napoletano – non è data una volta per tutte, ma è essa stessa fenomeno storico, la cui struttura, funzione e confini, variano a seconda dei contesti storico-sociali. Per questo motivo non ha senso riferire la realtà, come noi la intendiamo e la percepiamo, a popoli diversi da noi, che non possiedono una struttura psichica conforme alla nostra.

Il saggio suscitò reazioni avverse, molte delle quali ne criticavano l’irrazionalismo. Anche il suo maestro, Benedetto Croce, scrisse una recensione molto critica ma, grazie al suo profondo acume umanistico, ne comprese la valenza filosofico-politica insita nella storicizzazione estrema che coinvolgeva le stesse categorie conoscitive, operando così lo stesso ribaltamento che Marx aveva effettuato nei confronti della dialettica hegeliana.

L’esistenzialismo e la crisi della presenza

Lo studio dei fenomeni e delle tradizioni nell’Italia meridionale e il confronto con le culture distanti vengono analizzate da Ernesto de Martino come conseguenze adattative della crisi della presenza (intesa in senso heideggeriano).  Riti di passaggio e altri fenomeni vengono analizzati alla luce di questa tensione che irrompe negli schemi comportamentali e si configura spesso come un “essere agito da”, un’influenza estranea sulla psiche e sul corpo tale da determinare comportamenti estremi e bizzarri per l’osservatore. Le esposizioni nei suoi saggi echeggiano spesso in maniera lirica nel descrivere lo sforzo traumatico di trovare un senso alla propria esistenza  – fisica, psichica e sociale – da parte di chi non riesce a emanciparsi dalla miseria popolare. Le condizioni di bisogno, la povertà frutto di un ingiusto sviluppo diseguale, generano credenze come “il singhiozzo di una creatura oppressa, il sentimento di un mondo senza cuore, lo spirito di una condizione priva di spirito” [K. Marx, 1844].

L’etnocentrismo critico e l’umanesimo etnografico

L'antropologa Margaret Mead a Samoa
L’antropologa Margaret Mead a Samoa

Ernesto De Martino si oppone all’etnocentrismo positivista dei classici dell’antropologia culturale, ma anche al relativismo culturale, sviluppato da Margaret Mead sulla scia di Boas. Ammesso che un ricercatore possa realmente essere oggettivo nei confronti delle altre culture, non potrebbe infatti coglierne il vissuto e il senso profondo, nemmeno con un’osservazione partecipante laddove cerchi invano di annullare la propria provenienza culturale. La comprensione avviene infatti attraverso categorie conoscitive insite nei propri modelli culturali. L’antropologo deve prima di tutto mettere a nudo il sistema culturale di cui partecipa per comprendere l’altro da sé. Ne consegue una presa di coscienza che permette, nel comprendere l’altrui cultura, di svelare con spirito critico i modelli insiti nell’osservatore.

Ovviamente questo spirito di ricerca critica non è facile né comune, perché presuppone una grande sforzo e capacità di autoanalisi. Eppure è evidente quanto potrebbe essere utile per analizzare i problemi di integrazione e inclusione degli stranieri e i loro conflitti, abbandonando l’etnocentrismo dogmatico dei paladini dell’occidente ma senza trascurare le differenze che generano incomprensione e divisione, sviluppando nel contempo una lucida e utile critica alle categorie e ai modelli occidentali.

Di seguito l’interessante documentario di Ernesto de Martino sul tarantismo.

Barbara Lattanzi

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