Molte questioni che riguardano la nascita e la fine della vita sono “zone di frontiera o zone grigie” dove non è subito evidente quale sia il vero bene. Si sente parlare sempre più spesso di eutanasia e di testamento biologico. I due termini sono usati come sinonimi per indicare il fine-vita. In realtà si tratta di due cose differenti anche se, entrambi, indicano la volontà di un paziente di porre fine alla propria vita. Il dibattito bioetico intorno alla legittimità o illegittimità di anticipare una morte comunque inevitabile, e risparmiare al soggetto che chiede aiuto a morire sofferenze insopportabili, si avvale del termine “eutanasia”. Eutanasia è l’anticipazione della morte resa possibile dall’intervento umano, per pazienti privi di ragionevoli prospettive di sopravvivenza. L’eutanasia può mostrarsi in forma attiva o passiva ma, in entrambi i casi, rappresenta la morte di un paziente, per sua stessa volontà, attraverso l’assistenza medica. Si parla di eutanasia attiva quando il paziente, in fase terminale o comunque senza possibilità di guarire, chiede che venga posta fine alla sua vita. È invece passiva quando si sospendono i trattamenti necessari per mantenere in vita il paziente. L’eutanasia avviene attraverso la sedazione profonda con antidolorifici potenti che agiscono direttamente sul cuore. L’eutanasia è vietata in tutta Europa, tranne che in Belgio, Paesi Bassi e Lussemburgo.

Il tabù della morte

Come fa notare il professor Paolo De Nardis nel suo testo “Sulle orme di Endimione. Una riflessione sociologica sull’eutanasia”, con il processo di secolarizzazione attuato nelle società occidentali, i tabù della procreazione come quelli della morte subita e vissuta nella dignità hanno perso il proprio valore. L’attore sociale è costituito dalla sua identità; volerne disporre con il suicidio o con l’eutanasia programmata, significa in qualche modo distaccarsene. L’atto di colui che mette fine ai propri giorni con il pretesto che ha vissuto abbastanza, conferma il valore assoluto della vita. La rimozione culturale della morte, tipica del nostro tempo, così come la sua esclusiva medicalizzazione, costituisce uno dei problemi più rilevanti per la riflessione sociologica. L’eutanasia, in tal senso, è entrata a pieno titolo all’interno della querelle pubblica negli ultimi anni. Che cosa si intenda con “vita degna” non si può definire in termini generali, universalmente validi per tutti e in tutte le circostanze. Sicuramente non può la vita essere definita degna da nessuna norma. Una legge che non tenga conto delle decisioni che danno forma alle “vite” e alla morte, che non tenga conto della diversità della condizione umana e della valutazione diversa dei beni e della sofferenza, viola la giustizia e l’umanità. Dj Fabio, Fabiano Antoniani, Eluana Englaro, Piergiorgio Welby sono solo alcuni nomi che si associano alla scelta di porre fine a una vita di dolore. Si stempera l’emozione per la scelta di Dj Fabio, morto in Svizzera grazie al suicidio assistito, dopo che un incidente l’aveva reso cieco, tetraplegico e perennemente assistito dai familiari.

Eutanasia in Europa

Attualmente il Belgio e i Paesi Bassi sono gli unici stati ad aver autorizzato l’eutanasia sui minori di diciotto anni. Nei Paesi Bassi, però, l’eutanasia è ammessa solo per i neonati e i maggiori di dodici anni (nel giugno 2015 l’associazione dei pediatri olandesi ha chiesto di rimuovere il limite, ma ancora non c’è stata alcuna modifica in questo senso). Il testamento biologico (detto anche biotestamento, direttive anticipate o DAT), consiste in un vero e proprio atto legale del paziente: questi, ancora in salute e nel pieno delle proprie facoltà mentali, dichiara a quali trattamenti sanitari vuole sottoporsi e quali invece rifiutare, soprattutto in caso di malattia terminale o incidente. Nessuna discussione sul testamento biologico può prescindere da una discussione sull’eutanasia, proprio perché in entrambi i casi si chiede di evitare l’accanimento terapeutico, ossia un’ostinazione nell’impartire trattamenti sanitari che risultano sproporzionati per le condizioni del paziente. Il termine accanimento terapeutico è utilizzato quasi esclusivamente in Italia, mentre negli altri Paesi viene sostituito da “terapie futili o inutili”. Non esiste infatti una legge che chiarisca quale sia il limite tra la cura e l’abuso della cura. È proprio in questo punto che si inserisce il rischio di non rispettare il paziente e le sue volontà.

La proposta di legge in Italia

In diversi comuni italiani esiste un registro dei testamenti biologici; la proposta di legge sulle “Dichiarazioni anticipate di trattamento” (DAT) contiene gli stessi principi del testamento biologico. Le Dat devono essere redatte in forma scritta (o videoregistrate a seconda delle condizioni del paziente) e vincolano il medico che è tenuto a rispettarne il contenuto. Tuttavia, le Dat possono essere disattese qualora appaiano palesemente incongrue o le condizioni nel frattempo siano mutate e se siano sopraggiunte nuove terapie non prevedibili al momento della loro compilazione. Con la medesima forma scritta, le Dat sono rinnovabili, modificabili e revocabili in ogni momento. In caso di emergenza possono essere modificate o annullate anche a voce. Ciò nonostante, in assenza di una disciplina specifica per quanto riguarda il fine vita, la ricostruzione del quadro normativo di riferimento si realizza a partire dai principi di autodeterminazione, tutela del consenso e diritto al rifiuto dei trattamenti sanitari.

Emanuela Ferrara

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