La scarpetta, quel semplice gesto di raccogliere con un pezzo di pane il sugo rimasto nel piatto, si presenta come un atto apparentemente banale ma denso di significati che intrecciano storia, antropologia, cultura e società. Le sue implicazioni spaziano dal valore simbolico del pane, alla percezione del gesto come indice di appartenenza sociale, fino alla rivalutazione contemporanea che ne ha fatto un’icona di autenticità gastronomica. Ma andiamo per ordine.

Radici storiche e culturali della “scarpetta”

La pratica della scarpetta affonda le sue origini in un contesto di economia domestica tipico delle società rurali. Nel mondo contadino, il pane era un bene prezioso, spesso il principale alimento a disposizione, e ogni parte del pasto doveva essere valorizzata al massimo. Non si trattava solo di soddisfare un bisogno fisiologico, ma di rispondere a una visione del mondo in cui il cibo era un dono da rispettare profondamente. Questa sacralità attribuita al cibo, in particolare al pane, trova riscontro in molte tradizioni religiose e popolari. Nella cultura cristiana, il pane rappresenta il corpo di Cristo e ha sempre avuto una connotazione simbolica potente, tanto da rendere il suo spreco un atto quasi sacrilego.

La scarpetta, dunque, non era un semplice espediente per “ripulire” il piatto, ma un gesto intriso di gratitudine e rispetto per il lavoro umano e per la natura. Le tracce di sugo o condimento nel piatto non erano viste come residui, bensì come parte integrante del pasto, degna di essere gustata fino in fondo. Questo atteggiamento si lega a un ethos economico e simbolico che Pierre Bourdieu, nel suo studio sul “distinzione sociale”, avrebbe descritto come un indicatore di pratiche culturali legate alle classi popolari, in contrasto con le formalità delle élite.

La dimensione socio-antropologica della scarpetta

Dal punto di vista socio-antropologico, la scarpetta è un gesto che riflette l’umanità stessa del rapporto con il cibo. La sociologa Mary Douglas, nel suo saggio Purity and Danger, analizza come le pratiche alimentari siano cariche di significati simbolici e sociali, evidenziando che le modalità con cui si consuma il cibo definiscono i confini culturali e identitari di un gruppo. La scarpetta, vista in questo contesto, rappresenta un atto che sovverte temporaneamente le norme della tavola formale per riaffermare la dimensione sensoriale e conviviale del pasto.

Questo gesto, apparentemente informale, esprime una connessione profonda con il piacere del cibo e un rapporto diretto con il piatto. Antropologicamente, può essere visto come una forma di “ritorno alle origini”, un momento di contatto primordiale con il nutrimento. Si collega inoltre al concetto di “commensalità”, ovvero la condivisione del cibo come rito sociale. Nella scarpetta, c’è un elemento di disinibizione che spezza la rigidità delle regole del galateo e rende l’atto del mangiare più autentico e personale.

Origini e critiche storiche

Nel passato, soprattutto durante l’ascesa della borghesia tra il XIX e il XX secolo, la scarpetta veniva stigmatizzata come un gesto di maleducazione. Ma perchè?

scarpetta sociologicamente

Questo stigma è storicamente associabile allo spreco alimentare, soprattutto, di primo acchito, viene in mente quello del XIX secolo, con la nascita della borghesia. Essa aspirava a distinguersi sia dalle classi popolari sia dall’aristocrazia, adottando comportamenti improntati a una rigida etichetta. La scarpetta, volendo schematizzare, era considerata da un lato:

  • Un gesto volgare poiché percepita come tipica della cucina “di necessità” delle classi lavoratrici, dove non sprecare nulla era fondamentale.
  • Un fattore di disordine a tavola. Era considerato poco elegante e troppo informale in un contesto che dava grande importanza al mantenere il decoro durante i pasti.
  • Un segnale di “avere meno”, che implicava il bisogno di sfruttare ogni residuo del cibo, cosa in contraddizione con l’abbondanza che la borghesia cercava di ostentare per avvicinarsi ai modelli aristocratici.

L’opulenza delle cucine dell’Ancien Régime

Volendo ragionare a ritroso, durante l’Ancien Régime, la nobiltà francese era famosa per i banchetti opulenti e l’esibizione di ricchezza attraverso il cibo. Questo stile di vita, volto più a impressionare che a nutrire, portava a un notevole spreco: enormi quantità di cibo venivano preparate e servite senza essere consumate. Inoltre, il contrasto con le condizioni di fame della popolazione contadina amplifica la percezione di spreco associata a quell’epoca.

Tuttavia, lo spreco alimentare non nasce in quel periodo. Già nelle società antiche, come l’antica Roma, esistevano pratiche di eccesso e abbondanza, soprattutto tra le classi agiate. I banchetti romani, descritti da autori come Petronio nel Satyricon, includono episodi di consumo eccessivo e sprechi. Questo comportamento era legato al potere e al prestigio.

Lo spreco alimentare moderno, però, è un fenomeno diverso, legato alla produzione industriale, alla distribuzione globale, e alla mentalità consumistica sviluppatasi dal XIX secolo in poi. Con l’industrializzazione, il cibo è diventato più abbondante e accessibile, ma al contempo più soggetto a deterioramento e a sprechi lungo tutta la filiera.

La scarpetta diventa simbolo di trasgressione

Manuali di galateo, come quelli di Giovanni della Casa nel Rinascimento, avevano definito rigide norme per il comportamento a tavola, marginalizzando tutto ciò che potesse ricordare la cultura contadina. La scarpetta divenne simbolo di “trasgressione” rispetto a queste regole di compostezza e ordine.

scarpetta stellata
Si può fare la scarpetta nei ristoranti stellati? certo che sì! alcuni grandi chef inseriscono la pratica come parte dell’esperienza che offrono.

Con il tempo, però, la cucina è tornata a valorizzare il contesto popolare e autentico da cui molte tradizioni culinarie hanno origine. Nel panorama contemporaneo, chef stellati come Massimo Bottura e Gualtiero Marchesi hanno rivalutato l’importanza della memoria e del gusto genuino, integrando nei loro piatti elementi che richiamano le radici culinarie più autentiche. Bottura, in particolare, ha espresso più volte l’idea che il cibo debba raccontare storie e connettere il consumatore alle sue origini. In questa prospettiva, la scarpetta non è più vista come un gesto volgare, ma come una celebrazione dell’essenza stessa della cucina: il piacere.

Significato sociale e sostenibilità della scarpetta

In una società che affronta problemi legati allo spreco alimentare, la scarpetta assume anche una valenza etica. Il cibo, sempre più al centro di dibattiti sulla sostenibilità, è oggi percepito come un bene da preservare e non sprecare. La pratica di raccogliere il sugo con il pane diventa così un atto di rispetto verso le risorse e il lavoro di chi produce e cucina. Questo approccio si collega alla crescente attenzione verso la cucina circolare e il consumo responsabile.

Inoltre, la scarpetta incarna un contrasto con la standardizzazione alimentare tipica della globalizzazione: rappresenta un atto intimo e personale, una riaffermazione della relazione unica tra il commensale e il piatto. In questo senso, diventa un gesto di autenticità che si oppone alla rigidità di una cultura gastronomica elitista e distante.

Riferimenti