Sebbene vi sia spesso un fascino criptico nel raccontare e sminuzzare accuratamente colla forbice della ragione ogni atto e fatto che possa ricondurre alla figura di un assassino seriale, non dobbiamo perdere di vista il focus per cui queste inchieste, analisi o ricostruzioni andrebbero condotte: il ricordo.  Raccontare dei criminali è altresì ricordare coloro che hanno subito l’oppressione della violenza, affinché la figura della vittima non si svuoti del suo significato intrinseco, riducendosi a mero dato statistico.

Devianza e secolarizzazione.

È innegabile come la società industriale abbia funto da catalizzatore per la diffusione del benessere sociale e della democrazia; allo stesso modo, sono evidenti i suoi aspetti negativi, o meglio nefasti: mai come in quest’epoca la natura è stata manipolata – e dunque devastata – in nome del progresso, e le conseguenze sono quotidianamente sotto gli occhi di tutti.

Accanto ai corollari più evidenti e obiettivi – l’inquinamento, la disumanizzazione dilagante nelle grandi metropoli, il consumismo sfrenato – molti ne adducono altri, spesso tendenziosi, e volti all’idealizzazione dei tempi che furono: solo la società contadina avrebbe conosciuto, secondo certi modi di pensare, i valori autentici della vita – Dio, famiglia, lavoro, ecc. – e, di conseguenza, sarebbe stata immune dalle degenerazioni che connotano invece la civiltà contemporanea, materialista e annichilita: tra esse, la mancanza assoluta di valori spirituali che portano inevitabilmente verso la noia, l’abulia e la delinquenza. [i]

Fobopatia: sangue e popcorn.

Il crescente interesse ludico da parte del pubblico riguardo al fenomeno degli assassini seriali, con particolare enfasi agli aspetti più macabri e morbosi, ha spinto alcuni studiosi della scuola americana a parlare di un nuovo tipo di pornografia[ii]. Questa ricerca morbosa, incrementata dai media e da innumerevoli pagine internet dedicate, ha dato origine ad una delle mistificazioni più memorabili che un argomento criminologico abbia mai prodotto.

Da qui l’esigenza, forse un po’ pretenziosa, di racchiudere questi atteggiamenti anomici e ambigui nel termine fobopatia, dal greco fobos (φόβος) paura e pathos (πάθος) emozionarsi; volendo prendere una tra le altre accezioni positive di questo termine la cui lettura varia in base al contesto. 

il concetto di devianza in sociologia
La devianza in sociologia: un concetto, più visioni

Fobopatia dunque come interesse irrazionale per quei soggetti le cui azioni deviate non vengono ripudiate o temute, bensì glorificate da un inspiegabile processo cognitivo che porta ad una risultanza errata, recependo così l’azione deviata come ammaliante e avvincente. Condizione che non va però confusa con il sadismo, parafilia concettualizzata dallo psichiatra tedesco Richard Freiherr von Krafft-Ebing il quale, ispirandosi alle pratiche illustrate nelle opere del marchese De Sade, racchiude in questo termine quella pratica perversa in cui il piacere è ottenuto mediante la sofferenza causata ad altri[iii].

Nemmeno la lingua tedesca con il suo emblematico Schadenfreude[iv] accorre in nostro aiuto nell’esplicare o esprimere un pieno significato.

La versatilità del campo di applicazione del termine in esame potrebbe benissimo dare adito a dilunganti e fuorvianti teorizzazioni, finendo così per implicare certune scienze umane (e non solo) esumando concetti troppo distanti all’argomento che si intende analizzare. Ci limiteremo quindi a questa mera introduzione del lemma, con la tacita intesa di considerarlo e approfondirlo qualora incontrassimo, per studio o casualità, una fattispecie concreta dell’atto e dell’azione.

Il caso Verzeni.

Nel vasto panorama della devianza criminale made in Italy, tra quei soggetti che ancor oggi suscitano fobopatia, occupa una posizione di spicco, per ferocia e sadismo, Vincenzo Verzeni.

Il vampiro di Buttanaco è stato il primo assassino seriale italiano documentato e tra taluni appassionati del genere viene spesso associato al più insigne collega britannico, ovvero Jack lo Squartatore.  Il modus operandi di Verzeni, seppur più rozzo, fu per certi versi simile a quello che solo quindici anni dopo avrebbe caratterizzato l’omicida londinese: entrambi uccisero esclusivamente donne, mutilando e asportando loro gli organi, ma spetta solo al Verzeni la laude in questo confronto, distinguendosi per aver praticato finanche vampirismo e necrofagia. Nella parte dedicata al sadismo Krafft-Ebing annovera in Psychopathia Sexualis le ferine abitudini sessuali di Verzeni al caso n. 48 tra quelli di uccisione per libidine in cui manca lo stupro vero e proprio e il «trucidamento sadistico rappresenta da solo un sostitutivo del coito […] la vita delle sue vittime dipendeva esclusivamente dal più rapido o meno sopraggiungere dell‟eiaculazione».[v]

Conclusioni.

Oggi, centocinquant’anni dopo, nonostante l’umanità abbia dato più volte prova della propria disumanità ci ritroviamo ancora a studiare, leggere e ricercare di detti figuri deviati, che seppur in negativo sono ormai entrati a far parte della nostra cultura di specie e storia sociale.

Per quale motivo fantasia e interesse s’intrecciano e fondono con fare soave quando ci ritroviamo ad analizzare determinate devianze? Aveva forse ragione il filosofo De La Rochefoucauld nell’affermare che vi sono crimini che diventano innocenti e perfino gloriosi a causa del loro splendore, numero ed eccesso[vi]?

Donato Sergi


Note bibliografiche

  • [i] Salvatore Napoli, Vincenzo Verzeni: il Vampiro della bergamasca, 2020.
  • [ii] Marco Strano, Manuale di criminologia clinica, SEE, Firenze, 2003, pag. 328.
  • [iii] «Sadism, the perverse practice in which pleasure is obtained throu.gh suffering caused to others», Richard Freiherr von Krafft-Ebing, Psychopathia Sexualis. With Especial Reference to the Anthipatic Sexual Instinct. A Medico Forensic Study, Translated from the Twelfth German Edition. First Complete Translation into English, Bell Publishing Company, New York, 1965, pag. 80.
  • [iv] Dal tedesco Schaden “danno” e Freude “gioia“, letteralmente: “Godere della sfortuna altrui“.
  • [v] R. von Krafft-Ebing, Psychopathia Sexualis, Manfredi, Milano 1966, p. 154 (ed. or, Psychopathia Sexualis, Ferdinand Enke, Stuttgart 1886).
  • [vi] «Il y a des crimes qui deviennent innocents et même glorieux par leur éclat, leur nombre et leur excès», François de La Rochefoucauld, Réflexions ou sentences et maximes morales, Au Bureau Principal des Editeurs, Paris, 1829, pag. 57.
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