George Floyd: una questione di razza e di classe

Le proteste che stanno avendo luogo negli Stati Uniti rappresentano l’emersione delle contraddizioni intrinseche ad un modello di sistema che a lungo ha dato prova delle criticità che mirano le sue fondamenta.
La conseguente repressione scaturita dalle numerose insurrezioni emerse nelle principali città del Paese delinea un quadro in cui è possibile focalizzare i rapporti di forza esistenti all’interno della società americana.
L’omicidio di George Floyd, la cui matrice è ben nota e che va al di là della semplice interpretazione individuale, si esprime lungo due versanti principali: la venatura razzista, dominante ai vertici del sistema militare e talvolta politico della società statunitense, e l’impostazione classista della ripartizione dell’ordine sociale.
Fattori che, seppur divisi in termini di valutazione, sono strettamente correlati fra loro.


L’ottica razziale è il primo nucleo d’analisi ai fini dell’inserimento di tale avvenimento in un’interpretazione complessiva.
Il sistema socio-politico statunitense, per sua stessa natura, anche in relazione alla rigidità valutativa della ripartizione delle relazioni sociali al suo interno, si mostra incline al perseguimento di un indirizzo statico lungo tale orientamento.


Alla luce del progressivo assoggettamento e della conseguente repressione ai danni della minoranza afroamericana, un’interpretazione sociologica non può inserire tali episodi all’interno del catalogo dei “casi isolati”. La violenza perpetuata ai danni di tali minoranze, se la si analizza in chiave storiografica, risulta infatti essere sistematica. Manifestazioni di violenza di questa portata emergono poi con maggiore chiarezza e aggressività in momenti in cui il sistema sociale è già condizionato da fattori di tensione mirati all’indebolimento sociale ed economico dello stesso. La logica di fondo però è rappresentata da una mentalità governante i metodi d’azione e di intervento nella gestione dell’ordine civile, la quale trae origine da elementi riscontrabili nella storia statunitense, che certo non è carente in materia di discriminazione ed emarginazione, sociale e culturale, delle minoranze etniche.

Murales in memoria di George Floyd


Il punto chiave lo si avverte nel momento in cui, alla luce delle emersione delle contraddizioni più stringenti del sistema americano, la sistematizzazione della violenza rivolta ai danni degli strati sociali più disagiati diviene quotidianità ed elemento caratterizzante l’attività dell’apparato di repressione; il quale diviene monopolio di una quota sempre più consistente dei settori più radicalizzati delle forze dell’ordine.

La questione di classe è poi la seconda dimensione costitutiva di tale fenomeno.
La violenza, infatti, per quanto spesso venga presentata in un’ottica trasversale e interclassista, mostra la sua massima capacità di espansione e di esercizio quando viene rivolta allo strato proletario.
Gli Stati Uniti sono il Paese che più di altri mostra una distanza abissale fra classi sociali. Le quali si collocano lungo due versanti diametralmente opposti, in termini di ricchezza e di benessere diffuso fra la popolazione.
Le sempre maggiori diseguaglianze e l’elevata divaricazione fra i due estremi generano le condizioni proprie del conflitto sociale interno allo stesso ordine. Conflitto che viene poi concentrandosi nei periodi di maggiore tensione.


L’esistenza di una classe sociale avente maggiore ricchezza tende in tale contesto ad omologare il panorama sociale, il quale si mostra propenso a supportare le istanze e le prerogative di quest’ultima. Le ambizioni della classe dominante si concretizzano poi nell’emarginazione e nella violenza strategica e ripetitiva ai danni della classe meno abbiente, specie se afroamericana (in tal caso in chiave di pregiudizio razziale).

La vicenda di George Floyd è la piena espressione di tali dinamiche.
Vicenda che mette in luce la disgregazione di un sistema sociale carente sul versante del conferimento dell’ordine da esso stesso costruito.

Print Friendly, PDF & Email