I comizi fanno parte da tempo immemore del linguaggio politico in Italia. L’uso delle parole per traghettare discorsi a favore o contro determinate questioni hanno un peso notevole. Nella nostra storia politica un momento risulta importante: la nomina di Giorgia Meloni come primo presidente del consiglio donna d’Italia.
A tal proposito è parso utile provare a fare un esercizio di analisi di un comizio in particolare, tenutosi il 19 ottobre 2019, durante la manifestazione di Piazza San Giovanni (Roma). Giorgia Meloni prese la parola e pronunciò frasi molto dure sull’immigrazione e costruì diverse alterità criminalizzandole e stigmatizzandole. Ma vediamo insieme nel dettaglio.
Il linguaggio politico di Giorgia Meloni: l’orgoglio italiano
La manifestazione in questione fu nominata “orgoglio italiano”. Questo fu un evento politico organizzato il 19 ottobre 2019 da parte del centrodestra italiano. L’obiettivo della manifestazione era quello di riunire i sostenitori dei partiti come Fratelli d’Italia, la lega e Forza Italia, per esprimere il loro sostegno alle idee e ai valori del centrodestra italiano.
Durante l’evento, i leader di questo panorama politico, tra cui Giorgia Meloni di Fratelli d’Italia, Matteo Salvini della Lega e Silvio Berlusconi di Forza Italia, hanno tenuto discorsi in cui hanno presentato le proprie posizioni politiche e hanno criticato il governo di allora, che era formato da una coalizione tra il MoVimento 5 Stelle e il Partito Democratico.
La crescita nei sondaggi di Giorgia Meloni
La manifestazione “orgoglio italiano” ha avuto un’ampia partecipazione e ha rappresentato un momento significativo per la coalizione di quei partiti nel ribadire i propri valori e rafforzare la propria base elettorale. La leader di Fratelli d’Italia, Giorgia Meloni, a quel tempo dirigeva un partito in forte crescita nei sondaggi. La sua propaganda politica si basava sulla difesa dell’identità italiana, minacciata, tra le altre cose, dai fenomeni migratori. La segretaria di Fratelli d’Italia proponeva la costruzione di muri, sia materiali che simbolici, per difendere la comunità da lei immaginata.
Si ritiene molto importante evidenziare come il partito guidato da Giorgia Meloni crebbe in modo esponenziale nel corso del 2019. Questo si ritiene importante perché dimostra come questi discorsi d’odio vennero recepiti positivamente da una larga parte del popolo italiano, tanto da ricevere massimi consensi nelle ultime elezioni politiche del 25 settembre 2022, dove ottenne circa il 26% dei voti. Qui di seguito si mostra un grafico creato da Youtrend, una società di rilevamento dati che offre servizio di sondaggi di opinione, dove vengono registrati diacronicamente (anno di riferimento: 2019) i consensi che il partito di Giorgia Meloni ottenne nel periodo del comizio (evidenziato in rosso)
Giorgia Meloni: un nuovo populismo?
Una delle grandi presenze nascoste in questa narrazione è il fenomeno del populismo. Infatti, per delineare il contesto in cui questo discorso si inserisce, non si può escludere dall’analisi questa nuova modalità di fare politica. Si riconosce la non novità storica del populismo in sé, ma al contempo si ravvisano delle modalità e caratteristiche che rendono il populismo degli anni 2000 diverso da quello del ‘900. Il populismo odierno ha come principale caratteristica quella della propagazione di una ideologia dell’odio e dell’esclusione che vede nell’estraneo alla comunità di appartenenza, nel diverso, un bersaglio ideale. Infatti, per citare lo storico Federico Finchelstein, “nel caso del populismo c’è un alto livello di «demonizzazione» del nemico” (2020, 316).
L’autore cerca di dimostrare come il populismo odierno, quello che noi cerchiamo di analizzare come sfondo politico-sociale, sia molto vicino al fascismo rispetto al populismo “storico” del Novecento incarnato, per esempio, dalla figura di Juan Domingo Peròn.
“Nel fascismo quindi il popolo è una comunità razziale e religiosa che esclude «l’altro», anche se cittadino (…) Ed è proprio in questo aspetto fondamentale che assistiamo a notevoli cambiamenti tra il populismo storico e quello «nuovo» di Salvini e Trump, dove il concetto di popolo è molto più simile a quello fascista. In tal senso vale la pena ricordare che, non a caso, il lancio della campagna di Trump coincise con l’annuncio sul «muro», e soprattutto con il razzismo contro i messicani e i latinos in generale” (ivi, 317)
Il populismo contemporaneo in Italia oggi è incarnato da Giorgia Meloni, che nel discorso oggetto di studio utilizza queste tecniche oratorie demonizzanti per descrivere l’altro.
Analisi del testo del comizio di Giorgia Meloni
Nel comizio tenuto da Giorgia Meloni si possono ravvisare tanti segnali, retorici e simbolici, che hanno costruito l’alterità. Il primo di questi fu la bandiera italiana, lanciata da qualcuno verso di lei. Anche se non è chiaro se sia stata lanciata apposta, questa bandiera si cristallizzò per tutto il comizio, dato che la relatrice decise di tenerla con sé, attaccandola alla struttura da cui leggeva le sue parole.
L’immagine della bandiera italiana rappresenta la comunità, minacciata dall’immigrazione e dai grandi cambiamenti che la modernità porta con sé.
Infatti, questa lotta contro il cambiamento e la nostalgia del passato sembra ricordare l’analisi svolta da Tonnies sulla comunità. L’autore, nel descrivere le differenze tra la società (quella moderna che stava vivendo) e la comunità (quella passata, appunto pre-moderna) nota come fossere più saldi i legami nel passato, nel vivere comunitario (Battistini e Cipollini, 2020). Infatti:
“Per Tönnies il passaggio dalla comunità alla società rappresenta inequivocabilmente una perdita di significato, di valori, di certezze e, non a caso, la Gemeinschaft è analizzata con una evidente venatura di nostalgia” (ivi 2020,29)
Sembra infatti che ci sia quella “Voglia di comunità” descritta dal sociologo polacco Zygmunt Bauman (2001). Il soggetto postmoderno, di fronte alle incertezze sempre più fastidiose della nostra epoca, cerca conforto nella chiusura e nelle certezze che una volta regalava la comunità. Lo stato moderno, inteso da Bauman, era uno stato ossessionato dall’ordine, tanto da essere definito “Stato giardiniere” (Bauman 1991), e non tollerava le incertezze, affetto da una fobia del molteplice, dell’eterogeneo e del mutevole (Bauman 1999).
Bauman e lo straniero
Oggi di fronte alla “società delle incertezze”, il bisogno di una “dimora sicura” diventa sempre più forte (anche se irraggiungibile). Per questo motivo i politici populisti intercettano questo bisogno e costruiscono “l’altro” come fonte dei problemi dell’individuo “residente”. Come suggerisce Bauman:
“Un persistente senso di minaccia è espressione di una diversità che può destabilizzare ogni residua, fragile certezza: lo straniero è un presagio di instabilità, un rischio per la coesione delle unità sociali, una figura in grado di compromettere equilibri faticosamente raggiunti e di impegnare in un confronto non desiderato. L’opposizione allo straniero rappresenta, in questo quadro, l’estrema difesa degli ultimi baluardi di stabilità personale e sociale, una lotta estrema contro l’incertezza e contro le difficoltà di costruzione di un’identità stabile” (Battistini e Cipollini, 2020, 402).
Lo straniero rappresenta un minaccia, per la sua ambivalenza, il suo non schieramento e viene additato come “minacciosi portatori di incognite” (Bauman 1999, 93). Il sociologo descrive la creazione dello straniero “ante portas”, “il precipitato della follia del molteplice” (ivi, 96). Questo è uno straniero negativo, portatore di incertezze e minaccia ai valori, in questo caso, cristiani, della famiglia tradizionale e della civilizzazione.
Il Noi e l’alterità
Per poter creare l’alterità, di fondamentale importanza è la costruzione di un’identità collettiva, chiusa e rigida. Proprio come le forme d’identificazione comunitarie descritte da Tonnies, oppure come le forme elementari di società a solidarietà meccanica descritte dal sociologo francese Durkheim. La caratteristica che le unisce è la forza dei legami e la identità collettiva che precedere quella individuale.
Il Noi
Tra i tentativi di costruzione di un noi, Giorgia Meloni richiama la religione:
“Perché Roma, la capitale d’Italia e d’Europa, del Mediterraneo, della cristianità, merita un sindaco alla sua altezza!”
Poi prosegue con la difesa dalla minaccia dello straniero, rimarcando l’importanza di un noi immaginario, patriota e fedele agli ideali e simboli italiani:
“Ma qui noi difenderemo quei simboli, quelle chiese e difenderemo la nostra identità. Difenderemo Dio, la Patria e la famiglia, e fatevene una ragione.”
L’essenza ricoperta dall’identità chiara, solida e ordinata, viene continuamente minacciata, secondo la leader di Fratelli d’Italia. Essa semina il panico, o cavalca l’onda dello stesso, sostenendo che il noi si stia letteralmente trasformando in un quello che vorrei definire un “niente fluido”:
“Perché la famiglia è un nemico, l’identità nazionale è un nemico, l’identità di genere è un nemico. Per loro tutto ciò che definisce è un nemico. È il gioco del pensiero unico: ci devono togliere tutto quello che siamo, perché quando non avremo più un’identità e non avremo più radici, noi saremo privi di consapevolezza e incapaci di difendere i nostri diritti.”
Dopo aver analizzato la costruzione del noi come comunità minacciata, ma pronta a combattere, si analizza adesso la costruzione dell’altro.
L’alterità
Come inizialmente è stata sottolineata l’appartenenza religiosa alla cristianità, l’alterità nemica viene rappresentata dall’islam:
“Ci batteremo contro l’islamizzazione dell’Europa, perché non abbiamo alcuna intenzione di diventare un continente musulmano”
Questa ulteriore comunità islamica considerata omogenea e minacciosa viene utilizzata per incutere paura, tanto da immaginarla impermeabile ad ogni tipo di integrazione, dati i presupposti (e immaginati) rifiuti da parte della comunità islamica ad accettare i “valori” italiani:
“E lo voglio dire un’altra volta: se vi sentite offesi dal Crocifisso o dal presepe, beh non è qui che dovete vivere! Il mondo è grande, ed è pieno di Nazioni islamiche dove non incontrerete un Crocifisso perché i cristiani vengono perseguitati e le chiese rase al suolo”
Sembra riecheggiare il pensiero di Elias e la sua ricerca condotta a Winston Parva, in cui l’autore, seppur studiando un contesto micro-sociologico, cerca di generalizzare dei presupposti comuni dei rapporti tra insiders e outsiders. Uno di questi è la creazione di un’omogeneità, dove essa non c’è, per fare fronte comune contro l’altro. Egli afferma però che tali differenziazioni tendono a scomparire in presenza di nuovi arrivati, estranei al complesso tessuto di strutture valoriali, culturali e storiche che, nonostante tutto, rendono coesa la comunità” (M Battisti R. Cipollini et al., 2018, 313) E continua:
“Esclusione e stigmatizzazione degli outsiders da parte del gruppo integrato erano perciò armi di potere usate al fine di difendere la propria identità, di ribadire la propria superiorità, di mantenere gli altri stabilmente al proprio posto.” (ivi, 318)
La continua discriminazione dell’altro serve per creare un forte senso di identità di gruppo:
“Il gruppo integrato considera gli outsiders come «inaffidabili, indisciplinati e privi di regole, e quindi, in grado di destabilizzare il proprio sistema di identificazione e il proprio status. In questo contesto il gruppo integrato proietta sugli outsiders un’immagine di inferiorità umana, di devastante assenza di valori, di comportamenti umani deprecabili.” (ivi, 321)
Esiste una comunità?
Il discorso dell’attuale presidente del consiglio Meloni rende possibile analizzare come l’altro venga definito per meglio costruire un noi omogeneo. Risulta chiaro a chi scrive l’insensatezza del credere che esista una comunità omogenea, che unisca quanto opprima, proprio come la comunità descritta da Tonnies. Bauman nel suo saggio più celebre “Modernità liquida” (2011) dedica un capitolo al concetto di comunità. L’autore asserisce che una configurazione sociale, così solida e al tempo stesso opprimente, non sia possibile, nonostante la creazione di questi desideri da parte dei politici come Meloni.
Questa impossibilità deriva dalla stessa volontà dell’individuo postmoderno che, seppur veda con nostalgia i tempi in cui tutto era ordinato secondo le ferree leggi della comunità, non desideri realmente un’isola protetta da cui però non uscire mai per paura di un oceano in tempesta. Bauman descrive piuttosto un altro tipo di comunità desiderata.
Bauman e la comunità
La chiama “comunità guardaroba” oppure “comunità carnevalesche”. Queste forme di comunità non sono “per sempre”, sono piuttosto momentanee, contestuali. L’individuo postmoderno non vuole rinunciare in toto alle possibilità e ai privilegi che offre l’individualismo moderno. Vuole piuttosto alternare il senso di libertà ottenuto con la modernità con momenti di unione in comunità contestuali. La retorica di Meloni che fa credere che ci sia uno straniero pronto a invadere la nostra isola felice (o meglio, la nostra penisola felice) non fa altro che marciare sulla nostra voglia di comunità, anche se non potrà mai realizzarsi pienamente.
Questa incoerenza di prospettiva è il vero tema da analizzare. L’altro in questione, lo straniero, ci informa di quanto sia fragile il nostro vivere postmoderno, ma, al contempo, ci rassicura avere un capro espiatorio da incolpare e rendere il responsabile del nostro disagio. Sempre Bauman che ci aiuta a leggere questo rapporto tra insider e outsider utilizzando le sue categorie analitiche di “turisti” e “vagabondi”:
“I turisti stanno in un luogo o si muovono come vogliono. Abbandonano un porto quando nuove opportunità, non ancora sperimentate, chiamano altrove. I vagabondi sanno che non staranno a lungo in un posto, per quanto possa loro piacere, perché dovunque si fermino non sono accolti con entusiasmo. I turisti si muovono perché trovano che il mondo alla loro portata (globale) è irresistibilmente attraente, i vagabondi si muovono perché trovano che il mondo alla loro portata (locale) è inospitale, fino ai limiti della sopportazione. I turisti viaggiano perché lo vogliono; i vagabondi perché non hanno altra scelta sopportabile (1998, 103).
La sovrapposizione tra straniero e vagabondo
Il sociologo continua sostenendo che, seppur queste categorie siano agli antipodi, in realtà esse sono legate indissolubilmente. Il vagabondo, incarnato dallo straniero, è la conditio sine qua non del benessere del turista e viceversa. Infatti, da un lato il turista, che sa che la sua vita non è perfetta, si rassicura vedendo chi sta peggio, da un lato il vagabondo vede nel turista una stella polare, una bussola che gli detta la strada e gli insegna cosa deve diventare:
“Il vagabondo è perciò l’incubo del turista, il suo «demone interiore», che va quotidianamente esorcizzato. Vedere il vagabondo fa tremare il turista, non per ciò che il vagabondo è, ma per ciò che il turista potrebbe diventare. Mentre pretende che il vagabondo sia nascosto sotto il tappeto, fa bandire il mendicante e il barbone dalla strada, confinandolo in lontani ghetti dove «non si va», chiedendone l’esilio o l’incarcerazione, il turista cerca disperatamente, ma tutto sommato invano, di cancellare le proprie paure. Resta però il problema che la vita dei turisti non sarebbe affatto gradevole se non ci fossero i vagabondi a mostrare l’alternativa a quella vita, la sola alternativa che la società dei viaggiatori renda realistica” (ivi,108).
Si ritiene, quindi, che le sofferenze post-moderne, vengano canalizzate, nel panorama politico italiano, verso l’alterità. Questa creazione di un capro espiatorio consente ad un noi (turisti) di alleviare il dolore, stigmatizzando lo straniero (vagabondo) e accusandolo dell’impoverimento generale della popolazione. Lo straniero, per questo, viene visto (o meglio viene fatto vedere) come minaccia,“ante portas” come direbbe Bauman. Il frame che Giorgia Meloni costruisce nel suo discorso indirizza gli sguardi verso la paura, la paura del diverso. Un’alterità omogenea, un blocco unico di persone tutte uguali, criminali e clandestini.
Andrea Leonardi
Riferimenti
- M. Battisti R. Cipollini (et al.), 2018, Straniero. Percorso di analisi in sociologia, Roma, Aracne editrice.
- F. Finchelstein, 2020, Sul Populismo, Il Mulino, Fascicolo n.2
- Z. Bauman, 1991, Modernità e ambivalenza, Torino, Bollati Boringh
- Z.Bauman, 1998, Dentro la globalizzazione: le conseguenze sulle persone, Bari, Editori Laterza.
- Z. Bauman, 1999, La società dell’incertezza, Bologna, il Mulino.
- Z. Bauman, 2001, Voglia di comunità. Bari, Editori Laterza.
- Z. Bauman, 2011, Modernità liquida, Bari, Editori Laterza.
- https://www.youtrend.it/2019/12/30/il-2019-dei-partiti-lascesa-di-fratelli-ditalia/