Prima di parlare di giustizia riparativa bisogna fare una premessa doverosa. Il male è parte integrante della nostra società. Pur non essendo qualcosa di “identificabile” concretamente fa parte, volente o nolente, della vita di ogni singolo individuo che vive in un contesto sociale. Quest’ultimo cambia in relazione agli innumerevoli impulsi che provengono dall’esterno e i cambiamenti sono anche il frutto di una globalizzazione sempre più veloce e penetrativa nei contesti politici, economici e culturali.

Quando parliamo del male, inteso nella sua accezione di comportamento sbagliato, non conforme alle norme scritte, agli usi e consuetudini, è solito associare tale concetto all’azione di qualcuno nei confronti di qualcun altro. È un nesso comportamentale, quindi, un’azione talvolta pensata e voluta conseguente ad un’azione precedentemente subita. Il male si riceve e si dà/fa. Non sempre è un’azione unilaterale. Se qualcuno fa del male è perché in qualche modo ne è stato vittima precedentemente e talvolta si tende anche a giustificare determinate azioni, quasi come a volersi scusare per quello che si sta facendo pur essendo consapevoli che trattasi di azioni sbagliate.

Giustizia riparativa: tra bene e male

Ma è normale agire in questo modo? È giusto che gli uomini tentano di risolvere determinate situazioni muovendosi nel male? In determinate circostanze i comportamenti dell’uomo si celano dietro inspiegabili atti di violenza (individuale e collettiva) che hanno come fine ultimo quello di ristabilire un equilibrio rotto. Sembra che ci sia qualcosa di contrapposto in questo pensiero. Come può essere ristabilito un equilibrio che per antonomasia è qualcosa di lineare, positivo, buono, con azioni buie e negative? È possibile fa conciliare il male con il bene?

Quando si parla del male subito si grida alla vendetta, alla giustizia e, tornando a quanto detto poc’anzi, è importante scindere i due concetti. Il male è chiaro che è qualcosa di sbagliato. Avere giustizia vuol dire fare chiarezza, tirare fuori la verità, capire il perché di una determinata azione e, laddove possibile e necessario, porre rimedio onde evitare di imbattersi nella medesima situazione. Il male si debella con il confronto costruttivo non con “occhio per occhio, dente per dente”. Sarebbe una continua generazione incessante di male senza mai arrivare ad una soluzione.

Il punto d’incontro tra reo e vittima

Certo, è innegabile che chi subisce un torto di qualunque genere sia ferito nell’animo (e non solo) e per risollevarsi cerca di ripagare con la stessa moneta ma è davvero così che si fa giustizia? È un po’ come essere complici dei mali della società. Il binomio male-giustizia porta inevitabilmente a porre l’attenzione sul tema della giustizia riparativa (Restorative Justice). È una luce, nel dibattito internazionale, puntata sulla riparazione dell’offesa arrecata alle vittime di un reato. Tale riparazione può avvenire solo attraverso l’attuazione di azioni positive, è da intendersi non solo in una prospettiva compensatoria e di indennizzo ma anche come la possibilità per la vittima e il reo di progettare, in modo condiviso, un agire responsabile per il futuro.

Gli studi sulla giustizia riparativa, a partire dal ‘900, sono stati affiancati da studi di vittimologia e antropologia giuridica che, mettendo al centro l’uomo come individuo, hanno modificato anche i concetti di pena e sanzioni. Si supera quindi il pensiero che il carcere sia l’unica risposta adeguata al male e si inizia a parlare di partecipazione, collaborazione e conciliazione.

Ma come può avvenire tutto ciò? Come può il reo trovare un punto d’incontro con la vittima? In questo frangente assume un ruolo importante il facilitatore, un intermediario che aiuta gli interessati (chi ha commesso il male e chi lo ha subito) ad “incontrarsi” cercando di spiegare, soprattutto al reo, quali sono state o quali potevano essere le conseguenze delle sue azioni. Nel momento in cui reo e vittima sono coinvolti in questo vortice controllato si innesca un meccanismo di riparazione per entrambe le parti, quasi come un gioco di ricollocazione degli stessi nel mondo.

L’illecito penale per la giustizia riparativa

Visto attraverso la prospettiva della giustizia riparativa, l’illecito penale non è soltanto l’offesa di un bene giuridico protetto dall’ordinamento o ancora la violazione di una norma penale nei confronti di un soggetto, è anche, e soprattutto, interazione tra le parti. Il ladro che tenta di entrare in casa per rubare (violazione di proprietà privata e appropriazione indebita di beni altrui) interrompe un rapporto di equilibrio che la vittima (il proprietario di casa) ha con la collettività e con l’ambiente circostante. In questo caso l’offesa è stata provocata dal ladro e il proprietario di casa ha subito, quindi l’origine della rottura è stata provocata dal momento in cui il ladro è entrato in casa. Oppure l’offesa può avere origine all’interno di un conflitto: due persone che discutono animatamente hanno rotto una relazione di conviviale dialogo che può portare anche ad un tentato omicidio.

Quali sono quindi le caratteristiche fondamentali di un approccio riparativo? In primis considerare il reato in termini non formali ma come “esperienziali”, ovvero come una lesione che può essere vissuta sia da un singolo che dalla collettività; ritenere che al reo siano mostrate le conseguenze dannose delle sue azioni ponendo particolare riguardo a quanto subito dalla vittima. Ancora cercare di riparare non solo le azioni del reo ma anche della vittima e di tutti coloro che a vario titolo sono coinvolti nella situazione. Infine ricercare una soluzione condivisa tra i soggetti.

La giurisprudenza, a partire dagli anni Ottanta negli Stati Uniti, ha iniziato a porre maggiore attenzione alle vittime, come parte lesa, nel processo penale. Inizia a farsi strada il riconoscimento dei diritti delle vittime ma senza tralasciare i diritti del reo. A livello europeo, soprattutto negli anni Duemila, raccomandazioni e direttive hanno istituito norme minime in materia di diritti, assistenza e protezione delle vittime di reato. L’amplificazione dell’applicazione della giustizia riparativa in Italia vede coinvolto l’ambito della giustizia minorile e quello della giustizia ordinaria.

La giustizia minorile

Dai documenti istituzionali sulle linee di indirizzo della RJ – giustizia minorile di comunità del 2019 – appare evidente che il concetto di riparazione si traduca all’interno del procedimento penale, in un percorso socio-pedagogico in grado di aprire un dialogo con i minori autori di reato, utilizzando una prospettiva relazionale, fondata sul confronto/dialogo tra autore e vittima. Si tratta quindi di un lavoro socio-educativo che si auspica in una crescita e presa di coscienza da parte del reo tale da consentirgli il reinserimento nel tessuto sociale. Il pensiero va inevitabilmente agli IPM, strutture che non sono considerate carcerarie ma come riformatori, luoghi in cui i ragazzi possono ritrovare loro stessi e cercare di ristabilire il contatto con l’esterno abbattendo ogni tipo di pregiudizio e discriminazione una volta fuori.

La giustizia riparativa ha quindi come fine ultimo quello di ri-formare i soggetti che hanno commesso un reato, in un’ottica di interazione ed inclusione con il contesto circostante e soprattutto con coloro che sono vittime delle loro azioni.

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