Negli ultimi anni il fenomeno del bullismo è cresciuto esponenzialmente. La sua crescita può essere considerata anche direttamente proporzionale al massiccio utilizzo dei social, infatti la “supremazia” dei più forti sui più deboli è sempre più postata in rete. Questo fenomeno può essere interpretato sia da un punto di vista psicologico sia sociologico.

Da un’accezione psicologica lo si considera come un comportamento intenzionale e violento che è ripetuto nel corso del tempo a discapito di soggetti più deboli o considerati svantaggiati per vari motivi. Uno di questi è sicuramente la percezione da parte del bullo che la persona presa di mira è un bersaglio facile da colpire, una persona che non ha la capacità di difendersi.

Dal punto di vista sociologico il concetto di bullismo può essere sicuramente collegato al concetto di devianza. Nel corso degli anni abbiamo assistito ad un drastico cambiamento sociale, soprattutto da parte dei più giovani che, in balia di comportamenti irresponsabili, senza capire determinate circostanze, si scagliano contro i più deboli celando talvolta atti di inspiegabile violenza collettiva dietro comportamenti definiti “scherzosi”. Il bullismo è una nuova forma di devianza che necessita di grande attenzione, una piaga tra gli adolescenti della nostra società anche se alcune forme di bullismo si possono riscontrare anche tra i bambini che frequentano le scuole dell’infanzia e elementari.

Ma come poter affrontare questo argomento tanto delicato ma allo stesso tempo così presente nella nostra quotidianità? È un problema sociale che non può essere trascurato ed anche per questo è diventato oggetto di studio delle discipline sociali. 

Abbiamo avuto il piacere di affrontare questo discorso con la dott.ssa Paglino Margherita, sociologa e counselor referente Modavi Trieste e Presidente Sociolpan. In un’intervista ricca abbiamo affrontato il discorso sul bullismo e sulle attività che la dott.ssa porta avanti nella speranza di debellare questo fenomeno.

#genarazione locandina

Il contesto sociale in cui ci troviamo oggi, secondo Lei, è la causa o la conseguenza di determinati atti di violenza collettiva?

La violenza nelle sue diverse forme ed espressioni, come il bullismo, è sempre esistita. Quella che cambia è la percezione del fenomeno in base al grado di accettazione dello stesso da parte della società in cui si manifesta. Oggi nella società occidentale il fenomeno della violenza è ampiamente ritenuto inaccettabile dalla collettività, dal punto di vista morale e culturale, e gli enti governativi, educativi e mediatici condannano tale fenomeno. Nel contesto sociale attuale si avverte un’alta percezione del fenomeno, soprattutto in riferimento alla violenza giovanile e alla violenza contro le donne. A ciò va aggiunto comunque che nell’epoca attuale le agenzie di educazione primaria (scuola e genitori) sono sempre più in difficoltà rispetto alla loro responsabilità educativa e che viviamo in una società che esalta il protagonismo (non quello eroico: si pensi per esempio alle sfide lanciate sui social), l’individualismo, una società che bistratta le regole del senso civico, dove il fallimento è vissuto come qualcosa di cui vergognarsi e non come qualcosa che fa parte della vita.

Il fenomeno del bullismo riguarda solo gli adolescenti o si estende anche all’età adulta?

Basta andare a leggere qualsiasi contenuto chat dei genitori per scoprire che il fenomeno del bullismo riguarda anche – e forse soprattutto – gli adulti. Oppure proviamo a pensare alle trasmissioni opinioniste in TV e ai post su Facebook di ‘sedicenti adulti’.

Alla base del bullismo possono esserci disturbi della personalità da parte di chi “commette” il fatto?

Cyberbullismo vignetta

Potrebbe, ma non è detto. Il Disturbo di Personalità è un concetto che racchiude in sé patologie di vario tipo, con in comune “un pattern abituale di esperienza interiore e di comportamento che devia marcatamente rispetto alle aspettative della cultura dell’individuo, è stabile nel tempo, è pervasivo e determina un disagio clinicamente significativo a livello di due o più delle seguenti aree di funzionamento: cognitività, affettività, funzionamento interpersonale e controllo degli impulsi” (DSM-5).

Il quadro clinico descritto lascia immaginare l’effetto che ha sulle diverse aree di vita dell’individuo, minando diverse capacità come ad esempio il relazionarsi con il prossimo e l’autoregolazione del proprio comportamento. Entrambi i disturbi a volte si possono correlare, e capita che rappresentino l’uno l’evoluzione dell’altro. Il bullo e l’individuo affetto da disturbo di personalità presentano tratti comuni: l’abusare di soggetti considerati più deboli, il non provare pentimento rispetto alle proprie azioni, la non percezione degli stati d’ansia e l’essere maggiormente inclini a sindrome depressiva.

Detto questo, possiamo fare due distinzioni: il fenomeno bullismo dal punto di vista psicologico e il fenomeno bullismo dal punto di vista sociologico.

Studi sul bullismo hanno individuato 6 ruoli che i componenti di un gruppo possono assumere in un evento di bullismo: la vittima, il bullo, l’aiutante, il sostenitore, il difensore, l’esterno. Questo ci indica la dimensione di quanto sia complesso il fenomeno nella la sua natura sociale. Per questo motivo ogni intervento nei confronti del fenomeno dovrebbe considerare tale complessità per incidere sul cambiamento, a vari livelli. Insomma, non basta punire il bullo e sostenere la vittima, ma intervenire su un sistema di gran lunga più complesso, dove il bullismo è il risultato dell’interazione di più fattori psico-sociali.

Il soggetto che è bullizzato perché spesso tende a non denunciare l’accaduto?

Fortunatamente sembrerebbe diminuire questa paura, da parte delle vittime di bullismo e cyberbullismo, merito anche della forte campagna di sensibilizzazione che si è fatta negli ultimi anni e nella quale gli organi istituzionali hanno investito molto.

Ad ogni modo se ancora c’è chi non denuncia la violenza subita, spesso è da attribuire a due motivi: un contesto e/o retaggio culturale basato sulla vergogna, l’inadeguatezza e il senso di colpa, o ancora sulla paura di ritorsioni da parte dei ‘carnefici’, anche a danno dei propri cari.

Per quanto riguarda il primo caso, forse è più incisivo l’esempio riguardo a violenze e bullismo perpetrati contro il genere femminile. Quante volte capita di sentir dire ‘aveva la minigonna, poi di cosa si lamenta…’ oppure ‘aveva iniziato lei, provocandolo, e poi all’ultimo si è tirata indietro, cosa pretendeva?’. Queste frasi sono la fotografia di una volgarità sociale, che giustifica atti di violenza e non condanna invece gli individui che non hanno acquisito la capacità di autoregolazione del proprio comportamento e del proprio istinto, a discapito degli altri, necessari per vivere in una società civile e per vivere in salutogenesi nella collettività.

Perché un bullo spesso è considerato “leader” in un gruppo di pari?

Partiamo da una considerazione: i giovani e giovanissimi, compresi i bambini, si aggregano tra loro creando dei gruppi; al loro interno ognuno, in base alle sue inclinazioni, assume un ruolo. Il gruppo ha una valenza sociale importante, ma accade che associarsi in gruppo può divenire negativo, quando ad esempio si incomincia a chiudere, ad escludere e rischia di degenerare. Immaginiamo una serie di giovani, che vivono un disequilibrio interiore, si uniscono in un gruppo chiuso e riconoscono nel più carismatico un leader da seguire. Immaginiamo ancora che questo ‘leader’ manchi completamente di empatia e sia un violento con lo scopo di sottomettere le persone che ritiene più deboli o contro i quali riversa il suo disagio, anche attraverso la forza fisica. Ora immaginiamo le persone facenti parte del gruppo che cercano ad ogni costo la sua approvazione come iniezione di autostima e bisogno di appartenenza. Questi saranno pronti a seguire il loro leader anche a costo di compiere azioni illegali. Uniti dalla forza del gruppo, inebriati da un senso di onnipotenza, i gregari seguiranno il bullo ‘leader’ che prevaricherà le sue vittime. Le motivazioni che spingono i gregari non sempre sono le stesse. Ognuno ha la sua, e volendo possiamo elencarne qualcuna: l’essere incapaci di opporsi al leader, il bisogno di sottomissione alla figura carismatica, la condivisione di idee, la mancanza di una solida base educativa e di solidi punti di riferimento genitoriali, disagi psichici.

Gli individui che fanno parte di questi gruppi negativi e pericolosi, sono quasi sempre consci delle proprie azioni e spesso i leader non si pentono delle proprie azioni. Guai quindi a giustificarli, anche con frasi del tipo ‘era una bravata, una ragazzata!. È fondamentale riconoscere il loro comportamento deviante e far sì che personale qualificato intraprenda azioni capaci di aiutarli nell’interiorizzare le norme sociali del contesto di appartenenza, al contempo occorre agire tramite l’effettiva punizione dei loro atti.

Il progetto “GenerAzione” quali finalità ha?

Il progetto “#GenerAzione: giovani attivi contro violenza, discriminazioni e intolleranza” ha la finalità di realizzare un percorso multidimensionale per la prevenzione ed il contrasto della violenza, della discriminazione e dell’intolleranza, nelle varie forme con cui si presentano, soprattutto in riferimento al bullismo e al cyberbullismo, attraverso l’attuazione di un piano di intervento efficace che si propone di divenire una buona prassi nazionale, in grado di focalizzare l’attenzione sul fondamentale ruolo delle attività di prevenzione nell’ambito del contrasto alla diffusione della cultura della violenza e della supremazia del più forte sul più debole. Il titolo “GenerAzione” è stato accuratamente scelto: termine aggregato che richiama al tema della generazione, del genere e dell’azione. Questi sono appunto i tre nuclei su cui si fonda il progetto, che punta a fare dei giovani, in quanto generazione in fieri, i protagonisti attivi del cambiamento positivo. L’idea progettuale, altresì, fa riferimento alla definizione del Libro Bianco del CoE “Vivere insieme in pari dignità” secondo cui “inclusione indica un processo a doppio senso e l’attitudine a vivere insieme, nel pieno rispetto della dignità individuale, del bene comune, del pluralismo e della diversità, della non violenza e della solidarietà.

A Trieste, in particolare, abbiamo realizzato 12 laboratori di due ore ciascuno nelle scuole medie e superiori, atti a sensibilizzare e prevenire azioni di bullismo, cyberbullismo e violenza di genere. Inoltre sono stati coinvolti in ulteriori laboratori i ragazzi iscritti ad un’associazione sportiva agonistica dilettantistica. Ma non solo: è stato distribuito ai giovani triestini un questionario che indagava la percezione e la conoscenza del fenomeno bullismo e cyberbullismo, che ha prodotto dei risultati molto interessati.

I risultati sono stati discussi durante il convegno finale del progetto, che ha coinvolto autorità istituzionali locali, psicologi, rappresentanti delle istituzioni scolastiche e della polizia postale. Dal convegno è emersa l’importanza della collaborazione tra le diverse parti, per un lavoro capillare, vista anche la complessità del fenomeno a livello sociale, e l’auspicio di riuscire a proseguire con queste iniziative. Posso anticipare infatti che in ‘cantiere’ ci sta già un nuovo progetto pronto a partire.

Filomena Oronzo

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