In psicologia sociale lo studio delle dinamiche di gruppo ha avuto come concetto di partenza quello di etnocentrismo. In base a esso queste vennero analizzate in termini di conflitto e competizione. Famoso a tal proposito è stato lo psicologo Gustave Le Bon.
Protagonisti negativi
Un primo contributo europeo alla formazione di un punto di vista psicologico-sociale lo si trova nel lavoro di Gustave Le Bon che col suo volume “La psicologia delle folle” (1895) fomentò una serie di discussioni di stampo filosofico-sociologico che vennero prese in analisi da Freud ed equivocate, ammirate e utilizzate per scopi propagandistici da Hitler e Mussolini. Tale ammirazione deriva dall’ideologia autoritaristica e antidemocratica che l’analisi psicosociale di Le Bon pareva propugnare. Le folle (intese come movimenti di massa per la lotta per i diritti civili) per Le Bon erano protagoniste negative della società: inquietavano timore nelle istituzioni ma anche nelle folle più pacifiche, poiché creavano una nuova soggettività, una consapevolezza del sé che minava al principio di autorità che aveva sempre governato il mondo.
Un pericolo latente
Gli uomini, per Le Bon, sono separati da irriducibili differenze dipendenti dalla razza (superiore o inferiore) di appartenenza, e non modificabili dalle istituzioni e dall’educazione. Queste disuguaglianze possono essere solo controllate, in modo che gli inferiori non producano troppi danni. I poveri, ma anche tutti gli altri uomini, non hanno colpa se sono ignoranti, ma vanno tenuti a freno, poiché in tutti gli uomini c’è una passione latente che si può scatenare da un momento all’altro. Le folle hanno una natura impulsiva, che quindi impedisce loro di assoggettarsi completamente alle leggi dello stato. Non sono capaci di avere opinione propria ma solo una “riflessa” di chicchessia. Si lasciano dedurre da coloro che riescono a far breccia nel loro spirito.
Scarsa intelligenza
Secondo l’autore, dunque, il comportamento umano è sorretto da motivi inconsci che sono largamente comuni e ciò comporterebbe l’annullamento di qualsiasi forma di intelligenza individuale all’interno del gruppo. Le folle non sono sensibili alla dimostrazione logica ma all’impressione: conoscere l’arte di impressionare l’immaginazione delle folle vuol dire conoscere l’arte di controllarle. Ci sarebbero meccanismi che stanno alla base di queste caratteristiche e sono:
- il senso di potenza, che viene agli uomini quando, riunendosi, si affievolisce il loro senso di responsabilità e il loro rapporto concreto con la realtà;
- il contagio mentale, che propagando atti e sentimenti, spinge a confondersi con l’anima collettiva;
- la suggestionabilità, che messa in moto dall’affievolirsi della coscienza, abolisce la volontà personale trasformando l’individuo in una specie di automa.
Questione di personalità
Su queste folle dominano le personalità dei capi: uomini d’azione spesso nevrotici ma dotati di una forte volontà, maestri nell’uso dell’affermazione breve, nella ripetizione e nel contagio che assicurerà l’espandersi dell’opinione. Gli eventi storici su cui si basavano queste concezioni spinsero una parte della psicologia sociale a voler spiegare come avvenimenti tanto tragici fossero stati possibili, anche al fine di individuare delle possibili strategie di prevenzione, dedicandosi allo studio delle variabili che entrano in gioco nei conflitti tra i gruppi.
Francesco D’Ambrosio
Riferimenti bibliografici e sitografici

Hr specialist, orientatore e giornalista pubblicista laureato in Sociologia con lode. Redattore capo di Sociologicamente.it.
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